Pubblicato il 09/07/2024
N. 06073/2024REG.PROV.COLL.
N. 08844/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8844 del 2020, proposto da BRT s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Emiliano Fumagalli, Andrea Manzi e Laura Scambiato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, n. 33;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 7576/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi e Beatrice Gaia Fiduccia dell'Avvocatura generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso del 2019 la società BRT ha chiesto al Tar per il Lazio:
(i) l’accertamento:
che nessun contributo è dovuto dalla ricorrente all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2019;
(ii) il consequenziale annullamento:
per quanto occorrer possa, dell’avviso in data 4 aprile 2019, trasmesso alla ricorrente sulla base dell’erroneo presupposto che essa sia tenuta a contribuire alle spese di funzionamento dell’Autorità;
(iii) in subordine, l’annullamento:
- della delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 528/18/CONS del 30 ottobre 2018 concernente «Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2019 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 43 del 20 febbraio 2019;
- del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 26 novembre 2018 (non conosciuto), con cui è stata approvata la delibera n. 528/18/CONS;
- della delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 20/19/CONS del 22 gennaio 2019 concernente «Modello telematico e istruzioni relativi al contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2019 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali», ivi compresi gli allegati A e B, pubblicata sul sito dell’Autorità a decorrere dal 19 febbraio 2019;
- ove occorra, della delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 603/18/CONS del 12 dicembre 2018 concernente la «Approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2019 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 22 febbraio 2019;
- nonché di ogni ulteriore atto presupposto, connesso o comunque consequenziale agli atti di cui sopra.
1.1 Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la società BRT ha chiesto anche l’annullamento:
- della delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 329/19/CONS recante «Diffida alla società BRT s.p.a. al pagamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2019», notificata alla ricorrente in data 2 agosto 2019, ivi compresa la relazione del Commissario Antonio Nicita (citata nella delibera ma non allegata alla stessa e non conosciuta dalla ricorrente), nonché di ogni atto ad essa connesso, presupposto o consequenziale, ivi compreso, per quanto occorrer possa, il sollecito di pagamento prot. n. 265026 del 18 giugno 2019, trasmesso in pari data.
1.2 Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la società BRT ha chiesto anche l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 26 novembre 2018, con cui è stata approvata la delibera n. 528/18/CONS.
2. Le premesse in fatto possono essere così sintetizzate:
- la società BRT (già Bartolini s.p.a) è uno dei più importanti corrieri espresso nazionali e svolge l’attività di autotrasporto merci per conto terzi, spedizione, deposito e logistica sotto il marchio “BRT Corriere Espresso”;
- sin dal 2002 essa si è munita dell’autorizzazione generale prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo 22 luglio 1999 n. 261, pur dichiarando di aver fatto ciò “cautelativamente” giacché essa ritiene di non svolgere “attività postale” in senso proprio;
- nel presente giudizio viene in esame il contributo che anche i corrieri espressi, quali operatori attivi nel settore postale, sono tenuti a versare annualmente per la copertura degli oneri di funzionamento dell’Autorità nazionale di regolamentazione del settore postale (“ANR”);
- nel tempo è cambiato il soggetto che svolge il ruolo di ANR (attualmente è AGCOM) e sono cambiate le norme che disciplinano il contributo dovuto all’ANR (attualmente: art. 65 del d.l. n.50/2017, convertito in legge n. 96/2017), per effetto del quale «a decorrere dall’anno 2017, alle spese di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in relazione ai compiti di autorità nazionale di regolamentazione del settore postale, si provvede esclusivamente con le modalità di cui ai commi 65 e 66, secondo periodo, dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, facendo riferimento ai ricavi maturati dagli operatori nel settore postale…»;
- a seguito delle modifiche legislative introdotte dal citato d.l. n. 50/2017 il Consiglio dell’AGCOM ha adottato la delibera n. 528/18/CONS del 30 ottobre 2018, concernente «Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2019 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali».
3. A sostegno dell’impugnativa avverso la delibera da ultimo indicata (e gli ulteriori atti in precedenza elencati) sono stati proposti i seguenti motivi di ricorso:
I. Sulla non riconducibilità dell’attività svolta dalla ricorrente all’attività di “offerta al pubblico di servizi” e sulla consequenziale insussistenza in capo ad essa di alcun obbligo contributivo: violazione dell’articolo 6 del decreto legislativo 22 luglio 1999 n. 261 - Violazione degli articoli 23, 41 e 97 della Costituzione – Violazione dell’art. 1.65 della legge n. 266/2005 - Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità manifesta, sviamento, ingiustizia grave e manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.
Si sosteneva che:
- l’attività svolta da BRT, anche nell’anno di riferimento della delibera del contributo, ossia il 2019, non si è mai configurata quale “offerta al pubblico” (ove per tale deve intendersi all’evidenza l’offerta generalizzata di un servizio standardizzato, predeterminato unilateralmente in tutti i suoi contenuti essenziali, ivi compreso il prezzo);
- i contenuti dei contratti da essa stipulati nell’anno di riferimento, ivi compreso il prezzo delle singole spedizioni, sono sempre stati il frutto di pattuizioni specifiche e talvolta molto complesse con la propria clientela (pressoché integralmente costituita da clientela business), in funzione delle esigenze da quest’ultima di volta in volta rappresentate;
- i contratti stipulati da BRT con la propria clientela costituiscono sempre il risultato di una libera trattativa di mercato (sia per quel che concerne le caratteristiche dei servizi, sia per quel che concerne i corrispettivi), svolta nell’ambito della piena autonomia contrattuale delle parti e del tutto avulsa, sia in astratto che in concreto, da qualsivoglia esigenza regolatoria di AGCOM.
II. Violazione dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, dell’articolo 1.9 della legge 31 luglio 1997 n. 249 e dell’articolo 1.65 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 - Violazione della direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 – Violazione degli artt. 3 e 23 della Costituzione.
Si sosteneva che:
- l’art. 1, comma 65, d.lgs. n. 266 del 2005, prevede una duplice forma di finanziamento dell’Autorità, costituita non solamente dai contributi degli operatori privati, ma anche da risorse statali (espressamente previste anche dall’art. 1, comma 9, legge 249/1997, istitutiva dell’AGCOM);
- al contrario, nella delibera impugnata, l’intero fabbisogno dell’Autorità riferito alle funzioni di regolazione sul settore dei servizi postali, viene finanziato soltanto dagli operatori del mercato di riferimento, senza alcuna forma di cofinanziamento statale (a carico della fiscalità generale);
- la necessità di un concorso statale alle spese di funzionamento dell’Autorità trova conferma nella normativa anteriore, soltanto parzialmente abrogata dal d.l. n. 50 del 2017, la quale prevedeva che le risorse finanziarie del MISE destinate alla funzione di ANR dei servizi postali, fossero trasferite alla neoistituita Agenzia postale di regolamentazione dei servizi postali (v. d.l. n.201/2011);
- l’entrata in vigore del d.l. n. 50 cit. non ha né abrogato, né modificato, le norme che hanno attribuito all’AGCOM le funzioni della (mai istituita) Agenzia di regolamentazione e l’obbligo di trasferire alla nuova Autorità le risorse finanziarie degli enti soppressi (vale a dire l’art. 21, comma 13-14-15, del d.l. 201/2011 convertito in l. 214/2011);
- un obbligo di finanziamento delle spese di funzionamento dell’AGCOM a carico del bilancio dello Stato è comunque espressamente previsto dalla legge istitutiva della medesima Autorità (legge n. 249/1997, art. 1, comma 9);
- considerato che, ai sensi dell’articolo 23 della Costituzione, “nessuna prestazione … patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, la delibera n. 528/18/CONS del 30 ottobre 2018 è illegittima in quanto pone per intero a carico degli operatori del settore le presunte spese di funzionamento dell’AGCOM quale autorità di regolamentazione del settore postale, quantificate nell’importo di 9.160.000 euro, e la delibera n.603/18/CONS è a sua volta illegittima in quanto approva un bilancio che non contempla alcun tipo di finanziamento da parte dello Stato e conferma nell’importo di 9.160.000 euro l’ammontare del contributo degli operatori del settore postale.
III. Violazione dell’articolo 9 della direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997, dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, dell’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 - Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione, nonché della violazione del principio di proporzionalità.
Si sosteneva che:
- la delibera impugnata si pone in contrasto con l’art. 9 della direttiva e con le altre disposizioni sopra menzionate per avere quantificato nell’esorbitante importo di 9.160.000 euro il presunto ammontare delle spese che nel 2019 l’AGCOM dovrà sostenere per svolgere la propria attività di regolamentazione del settore postale;
- la delibera, però, non ha però fornito la minima motivazione o documentazione per giustificare tale ammontare;
- la delibera è inoltre illegittima in quanto non spiega il percorso logico-giuridico che ha condotto a quantificare l’aliquota contributiva di cui si tratta nell’1,35 per mille;
- la stessa entità della cifra quantificata non è giustificata alla luce degli importi, nettamente inferiori, stimati per il 2015 ed il 2016, il che denota anche violazione dei principi di proporzionalità, trasparenza, precisione ed univocità che devono ispirare l’operato dei pubblici poteri nella determinazione del contributo annuo (arg. ex art. 9 direttiva 97/67/CE).
IV. Ulteriore violazione dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50 e dell’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005 n. 266.
Si sosteneva che:
- la delibera n. 528/18/CONS ha stabilito che sono esentati dal versamento del contributo «i soggetti il cui imponibile sia pari o inferiore a euro 100.000,00, le imprese che versano in stato di crisi avendo attività sospesa, in liquidazione, ovvero essendo soggette a procedure concorsuali e le imprese che hanno iniziato la loro attività nell’anno 2018» (articolo 1);
- conseguentemente tutti gli altri operatori sono assoggettati ad un contributo maggiore di quello dovuto;
- l’esenzione prevista per le imprese in crisi non ha base normativa.
V. Violazione dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50.
Si sosteneva che:
- per rispettare l’articolo 65 del decreto legge n. 50/2017 l’AGCOM avrebbe dovuto prevedere una verifica al termine dell’anno e, ricorrendone le condizioni, avrebbe dovuto provvedere alla restituzione degli importi eventualmente versati in più dagli operatori;
- in violazione di tale articolo nulla di tutto ciò è stato previsto dalla delibera n.528/18/CONS, che pertanto deve essere annullata anche per questa ragione.
VI. Eccesso di potere sotto il profilo dell’illegittimità degli atti presupposti.
Si sosteneva che l’illegittimità della delibera dell’AGCOM n. 528/18/CONS determina l’illegittimità derivata della delibera dell’AGCOM n. 20/19/CONS e di tutti gli ulteriori atti impugnati, anche se non conosciuti, ivi compreso il d.p.c.m. del 26 novembre 2018.
VII. Violazione dell’art. 65 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 - Dell’art. 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 - Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e dei presupposti – Difetto di motivazione - Violazione dell’art. 97 della Costituzione.
Si sosteneva che:
- il decreto del Presidente del Consiglio (menzionato nelle premesse della delibera n.20/19/CONS) non risulta allegato alla delibera stessa, con la conseguenza che la ricorrente non ne può conoscere i contenuti;
- in nessuna parte degli atti impugnati si dà conto dell’avvenuta richiesta e dell’avvenuta acquisizione del prescritto parere del MEF.
VIII. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione.
Si sosteneva, quale ulteriore profilo di illegittimità della delibera n.603/18/CONS del 12 dicembre 2018 (con la quale è stato approvato il bilancio preventivo dell’AGCOM per il 2019), che detta delibera è stata preceduta dal parere espresso il 7 dicembre 2018 dalla competente Commissione di garanzia, ai sensi dell’articolo 42 del Regolamento concernente la gestione amministrativa e la contabilità AGCOM: nessuno dei rilievi della Commissione è stato seguito da coerenti provvedimenti dell’AGCOM volti, in particolare, al contenimento di specifiche voci di spesa.
3.1 Successivamente alla scadenza del termine per il pagamento del contributo, l’AGCOM ha adottato la delibera n. 329/19/CONS recante «Diffida alla Società BRT S.P.A. al pagamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2019», notificata alla ricorrente in data 2 agosto 2019.
Tale delibera è stata impugnata per i seguenti motivi aggiunti:
IX. Eccesso di potere sotto il profilo dell’illegittimità degli atti presupposti.
Si eccepiva l’illegittimità derivata in rapporto ai motivi del ricorso principale.
X. Violazione dell’art. 97 della Costituzione - Violazione del principio del contraddittorio - Eccesso di potere per difetto di motivazione - Carenza dei presupposti - Illogicità - Violazione del principio di trasparenza - Violazione del principio affermato in cause identiche dal giudice amministrativo (ordinanze n. 3280/2018, n. 2396/2018 e 3080/2019 Cons. Stato, VI Sezione) - Violazione dell’art. 6 del decreto legislativo n. 261/1999 - Violazione dell’art. 23 della Costituzione - Violazione dell’art. 65 del d.l. n. 50/2017 - Carenza dei presupposti – Illogicità.
Si sosteneva che la delibera impugnata con i motivi aggiunti è in contrasto con elementari principi dell’azione amministrativa, in quanto la ricorrente si era fatta carico di rappresentare, a fronte dell’invito al pagamento del 18 giugno 2019, che la medesima situazione si era verificata in precedenza con riferimento ai contributi relativi agli anni 2017 e 2018, e che in quella sede il giudice amministrativo, con i provvedimenti cautelari adottati in relazione ai diversi ricorsi proposti, aveva ritenuto che nessun contributo dovesse essere versato nelle more della definizione del contenzioso nel merito.
3.2 BRT ha proposto ulteriori motivi aggiunti avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 26 novembre 2018, con cui è stata approvata la delibera n. 528/18/CONS (prodotta in giudizio dall’AGCOM solo in data 27 novembre 2019). Di seguito la descrizione di questi secondi motivi aggiunti.
XI. Eccesso di potere sotto il profilo dell’illegittimità degli atti presupposti.
Si deduceva l’illegittimità in via derivata del decreto presidenziale da ultimo citato.
XII. Eccesso di potere sotto il profilo dell’illegittimità degli atti presupposti, della carenza di istruttoria e della carenza di motivazione - Violazione dell’articolo 1.65 della legge 23 dicembre 2005 n. 166 – Incompetenza.
Si sosteneva che:
- la funzione attribuita dalla legge al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella specie, è stata esercitata dalla Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- i provvedimenti volti ad “arginare” la discrezionalità dell’Autorità non possono risolversi in pure e semplici “prese d’atto” delle decisioni dell’Autorità stessa, ma devono essere il frutto di un’attenta ed approfondita istruttoria e devono essere sorrette da una puntuale motivazione;
- nel caso in esame non v’è alcuna traccia di una siffatta istruttoria;
- anche i provvedimenti del Ministero sono del tutto carenti ed inadeguati: quello della Ragioneria Generale si limita a riportare il contenuto di altri atti e a concludere “per i profili di competenza, di non avere osservazioni da formulare in ordine all’approvazione della delibera in parola …”; quello del Dipartimento del Tesoro è privo del ben che minimo contenuto motivazionale;
- non emerge minimamente per quale ragione si sia ritenuto che la delibera sul contributo 2019 potesse essere approvata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, nonostante la presenza di varie criticità e nonostante la inadeguatezza e la incompletezza della documentazione trasmessa alle Amministrazioni centrali;
- i richiamati provvedimenti si risolvono in mere “prese d’atto” delle decisioni dell’AGCOM e essi violano l’articolo 1.65 della legge n. 266/2005 in quanto non costituiscono “un significativo argine procedimentale alla discrezionalità” dell’Autorità, ed alla “sua capacità di determinare da sé le proprie spese”.
4. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l’AGCOM chiedendo il rigetto dei gravami.
5. Con sentenza n. 7576/2020 il Tar per il Lazio ha rigettato il ricorso principale e i ricorsi per motivi aggiunti.
5.1 Preliminarmente il Tar ha motivato la decisione di trattenere la causa in decisione nonostante la richiesta di differimento avanzata dai legali di BRT, al fine di poter svolgere la discussione orale della causa “in presenza” in una successiva udienza pubblica da tenersi nelle forme ordinarie non ammesse dal “rito emergenziale” vigente alla data del 20 maggio 2020, ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020 (a causa dell’emergenza Covid era esclusa la discussione in presenza).
5.2 Il Tar ha ricostruito la normativa in materia di finanziamento dell’ANR e la giurisprudenza che si è formata sulle discipline previgenti a quella del 2017 su cui, viceversa, si fondano gli atti impugnati in questa sede.
5.3 Il primo giudice ha quindi richiamato un proprio precedente (Tar per il Lazio n. 3024 che ha respinto il ricorso ugualmente proposto da BRT in relazione al contributo per l’anno precedente a quello di cui si discute in questa sede, ovvero il 2018).
5.4 Il Tar ha respinto il secondo motivo di ricorso sostenendo che:
- con il 2017 il quadro di riferimento normativo è radicalmente cambiato a seguito dell’avvenuta abrogazione, ad opera dell’art. 65 del d.l. n. 50 del 2017, delle norme contenute nel d.lgs. n. 261 del 1999;
- la vicenda per cui è causa deve dunque inquadrarsi nel nuovo sistema disciplinato dai soli commi 65 e 66 dell’art. 1 del d.lgs. n. 266/2005 ove non vige più l’obbligatorietà del cofinanziamento statale delle attività della ANR, poiché è soltanto previsto che le spese delle autorità di regolazione sono finanziate dal mercato di competenza “per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato” (comma 65);
- la parte coperta dal finanziamento statale può anche essere, per ciascuna annualità considerata, pari a zero, secondo quanto previsto dalla Legge di bilancio annuale, senza che ciò possa determinare vizio dell’atto amministrativo adottato dall’Autorità, atteso che non vi era, per l’anno in esame, alcuna norma di legge che imponesse o autorizzasse l’Amministrazione a fissare una ipotetica quota a carico dello Stato e a quantificarne l’entità.
5.5 Il Tar ha respinto il primo motivo, afferente alla dedotta non riconducibilità dell’attività svolta dalla ricorrente all’attività di “offerta al pubblico di servizi”, rifacendosi al proprio precedente Tar per il Lazio 3 aprile 2020, n. 3767, anch’esso emesso nei confronti dell’odierna ricorrente.
In particolare il Tar ha affermato che:
- è difficile pensare, già su un piano logico, a contratti tagliati su misura sui singoli utenti e mittenti per ogni singola transazione, nell’epoca dell’e-commerce di cui BRT è sicuramente una delle protagoniste attive in Italia (si pensi ad es. ai rapporti tra la società e Amazon): un numero così elevato di consegne non è oggettivamente gestibile, se non operando secondo schemi e modalità standardizzate che, com’è normale, vengono sì ad adattarsi ed a variare in funzione di diversi parametri di riferimento, ma secondo un approccio tipologico e categoriale, non certo mediante moduli di personalizzazione “caso per caso” o “ad personam”;
- si perviene così, semmai, ad un mix tra le varie tipologie di offerte disponibili e predeterminate, secondo modalità analoghe a quanto praticato dalle aziende operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche;
- trattasi di modalità che, proprio per evidenti ragioni di trasparenza ed orientamento del consumatore, rendono necessario e particolarmente rilevante il rispetto degli obblighi informativi di cui all’art. 8 della Delibera n. 413/14/CONS;
- le affermazioni che precedono non sono confutate dalla circostanza che, in molti casi (peraltro documentati dalla ricorrente), BRT ricorra a contratti personalizzati con singole aziende mittenti, con le quali sono stati instaurati specifici rapporti negoziali, legati alla elevata entità delle consegne da eseguire normalmente;
- ciò esula infatti dalla massa dei servizi eseguiti a beneficio degli utenti “comuni” e spesso occasionali che non vanno intesi soltanto come “mittenti” ma anche come “destinatari”;
- conduce a quest’ultima conclusione la definizione di cui all’art. 2, n. 17 della direttiva 97/67/CE, secondo cui l’utente del servizio postale è «qualunque persona fisica o giuridica beneficiaria di una prestazione del servizio postale in qualità di mittente o di destinatario [….] Gli operatori che svolgono attività nel settore postale debbono, dunque, porre in condizione di esercitare i propri diritti di utenti, non soltanto le aziende mittenti, ma anche i singoli utenti destinatari dell’invio, assicurando loro, quanto meno, la conoscenza minima di quelle informazioni basilari afferenti a prezzi dei vari servizi, modalità di erogazione di essi, modalità di reclamo, recapiti a cui rivolgersi ecc., elementi dalla cui cognizione non può prescindersi, in generale, per porre rimedio ad un eventuale disservizio afferente al recapito postale»;
- le considerazioni che precedono portano a concludere che i servizi di un operatore come BRT non possano non essere (anche) rivolti alla massa dei potenziali consumatori e dimostrano l’infondatezza del primo motivo di gravame.
5.6 Il Tar ha respinto il terzo motivo con il quale si lamentava la mancanza di una istruttoria verificabile nella determinazione del contributo e la carenza delle motivazioni sulla base delle quali il contributo è stato determinato nella misura dell’1,35 per mille. Secondo il primo giudice:
- la documentazione prodotta dimostra come la delibera sia stata oggetto di vaglio favorevole e sostanziale da parte del MEF e come, all’esito delle positive valutazioni degli stessi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ne abbia ammesso l’esecutività;
- l’importo quantificato appare congruo.
5.7 Il Tar ha quindi respinto il quarto motivo con il quale si contestava l’esonero dalla contribuzione stabilito a favore delle imprese in crisi e di quelle con fatturato inferiore ad euro centomila, richiamando i principi stabiliti nella citata sentenza del Tar per il Lazio n. 3024/2020.
In tale sede si è sostenuto che:
- l’art. 1, comma 66, della legge n. 266/2005 demanda all’Autorità le eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione e che, alla stessa, debbono riconoscersi dei margini discrezionali di manovra sulle modalità di riscossione, finalizzati alla semplificazione delle procedure;
- si deve inoltre tener conto della necessaria correlazione tra l’obbligazione contributiva di natura impositiva per cui è causa ed il ruolo dell’AGCOM quale garante della concorrenzialità del mercato, elemento che giustifica, sul piano della proporzionalità e della ragionevolezza, la scelta dell’Autorità di far gravare le spese finalizzate al corretto funzionamento del mercato sulle sole imprese caratterizzate da presenza significativa nel mercato stesso e dotate di significativa capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività economiche (cfr. Corte Costituzionale n. 269/2017).
5.8 Il Tar ha respinto il quinto motivo in quanto, come eccepito dalla difesa erariale, il meccanismo di restituzione al mercato delle eventuali eccedenze contributive è disciplinato dall’art. 34, comma 2-ter, del d.lgs. n.259/2003, secondo la stessa procedura disciplinata per il mercato delle comunicazioni elettroniche che trova applicazione anche per il mercato postale.
5.9 Il Tar ha respinto i motivi (del ricorso principale e dei motivi aggiunti) che facevano leva sulla illegittimità derivata.
5.10 Il Tar ha escluso che ci sia stato il difetto di istruttoria lamentato nel settimo motivo.
5.11 Il Tar ha ritenuto infondato l’ottavo motivo di ricorso con il quale si criticava l’approvazione del bilancio di previsione da parte dell’AGCOM, che avrebbe omesso di considerare i rilievi negativi contenuti nel parere reso dalla Commissione di Garanzia in data 7.12.2018: proprio il citato parere, pur suggerendo all’Autorità, sul piano dell’opportunità, l’adozione, nel futuro, di condotte maggiormente oculate e parsimoniose con riguardo a specifiche voci di spesa, resta un parere positivo che non impone né rettifiche né integrazioni.
5.12 Sui primi motivi aggiunti il Tar ha osservato che non vi era alcun dovere, per l’AGCOM, di attendere la definizione del ricorso prima di poter intimare il pagamento delle somme da essa accertate come dovute dalla BRT.
5.13 In relazione alle autonome censure sollevate con i secondi motivi aggiunti il primo giudice ha statuito che:
- la quantificazione dei costi da finanziare, per il settore postale, si basa su una stima dei costi futuri;
- le censure di parte ricorrente si limitano ad esporre dei generici dubbi di congruenza su di una serie di voci, senza però pervenire alla allegazione di elementi probatori a supporto di quanto dedotto a sostegno del motivo;
- non sono stati forniti dalla società ricorrente elementi atti a smentire la correttezza dei dati contabili forniti (sui quali, peraltro, vigila la Corte dei conti) mentre i Dipartimenti statali intervenuti nel controllo del bilancio e della relazione dell’AGCOM dimostrano di avere compiuto una disamina effettiva e sostanziale sull’attendibilità delle cifre e sui criteri impiegati dall’Autorità ai fini della quantificazione dei costi riferibili alla propria attività nel settore postale;
- quanto alla eccepita incompetenza della Sottosegretaria di Stato che ha firmato il d.p.c.m. di approvazione dell’esecutività della delibera impugnata, l’Amministrazione resistente ha dimostrato che l’ambito delle deleghe di firma conferite a e il riferimento esplicito ai “compiti relativi alle autorità amministrative indipendenti” consentivano pienamente l’intervento espletato.
6. Avverso la sentenza n. 7576/2020 del Tar per il Lazio ha proposto appello la società BRT per i motivi che saranno più avanti esaminati.
7. Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l’AGCOM chiedendo il rigetto dell’appello.
8. Con ordinanza n. 7111/2020 la Sezione ha ritenuto che le esigenze cautelari evidenziate dalla parte appellante potessero essere tutelate mediante la sollecita fissazione dell’udienza del merito.
9. Il 19 aprile 2021 l’AGCOM ha trasmesso a BRT comunicazione recante «Intimazione di pagamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2019 (delibera di diffida n. 329/19/CONS) ai sensi della sentenza del Tar del Lazio n. 7576/2020)» con cui BRT è stata intimata a provvedere al pagamento del contributo relativo al 2019 entro il termine del 30 aprile 2021.
9.1 Con ordinanza n. 4340/2021 (pronunciandosi su una domanda cautelare di esecuzione della citata ordinanza n. 7112/2020 proposta da BRT) la Sezione ha statuito che «nelle more della discussione di merito l’Autorità dovesse astenersi dall’adozione di interventi volti a procedere alla riscossione del contributo contestato e che pertanto l’intimazione al pagamento del 19 aprile 2021 debba essere dichiarata inefficace».
10. Con ordinanza n. 2066/2022 la Sezione ha sollevato questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti:
I. «se l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, e paragrafo 3, nonché l’articolo 22 della direttiva 97/67/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, come modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, quale quella rilevante nell’ordinamento italiano (espressa dagli articoli 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e 65 decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 giugno 2017, n. 96), che consente di porre esclusivamente a carico dei fornitori del settore postale, inclusi quelli che non forniscono servizi che rientrano nell’ambito di applicazione del servizio universale, l’obbligo di contribuire finanziariamente ai costi operativi dell’autorità di regolamentazione per il settore postale, in tale modo ammettendo la possibilità di escludere qualsiasi forma di cofinanziamento pubblico a carico del bilancio statale»;
II. «se l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, e l’articolo 22 della direttiva 97/67/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, come modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, devono essere interpretati nel senso di consentire di annoverare tra i costi operativi finanziabili dai fornitori di servizi postali anche i costi da sostenere per attività di regolamentazione riguardanti servizi postali esulanti dall’ambito di applicazione del servizio universale, nonché i costi per strutture amministrative e di indirizzo politico (c.d. strutture “trasversali”) la cui attività, pur non essendo direttamente destinata alla regolamentazione dei mercati dei servizi postali, risulta comunque funzionale allo svolgimento di tutte le competenze istituzionali dell’Autorità, con conseguente possibilità di una sua attribuzione in via indiretta e parziale (pro quota) al settore dei servizi postali»;
III. «se il principio di proporzionalità, il principio di non discriminazione, l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, e terzo comma, nonché l’articolo 22 della direttiva 97/67/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, come modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, ostino ad una normativa nazionale, quale quella italiana (espressa dagli articoli 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e 65 decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 giugno 2017, n. 96), che impone di porre a carico dei fornitori del settore postale l’obbligo di contribuire al finanziamento dell’autorità di regolamentazione per il settore postale, senza possibilità di distinguere la posizione dei fornitori dei servizi di corriere espresso dalla posizione dei fornitori del servizio universale e, dunque, senza possibilità di valorizzare la diversa intensità dell’attività di regolamentazione svolta dall’ANR in relazione alle differenti tipologie di servizi postali».
11. Con sentenza del 7 settembre 2023, nella causa C-226/22 la Corte di Giustizia UE ha statuito quanto segue:
«I. L’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, e paragrafo 3, della direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, come modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, in combinato disposto con l’articolo 22 della direttiva 97/67, come modificata, deve essere interpretato nel senso che:
esso non osta a che uno Stato membro opti per un meccanismo di finanziamento dell’autorità nazionale di regolamentazione responsabile del settore postale alimentato esclusivamente mediante contributi imposti agli operatori di tale settore ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, di tale direttiva, come modificata, ad esclusione di qualsiasi finanziamento da parte del bilancio dello Stato, purché tale sistema garantisca che l’autorità nazionale di regolamentazione interessata disponga effettivamente delle risorse indispensabili per assicurare il suo buon funzionamento e l’adempimento, in piena indipendenza, dei suoi compiti di regolamentazione del settore postale o dei mezzi giuridici che le consentano di acquisire tali risorse.
II. L’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, della direttiva 97/67, come modificata dalla direttiva 2008/6, in combinato disposto con l’articolo 22 della direttiva 97/67, come modificata, deve essere interpretato nel senso che:
la nozione di «costi operativi» di cui alla prima di tali disposizioni comprende, da un lato, i costi sostenuti dalle autorità nazionali di regolamentazione del settore postale per le loro attività di regolamentazione relative ai servizi postali esulanti dall’ambito di applicazione del servizio universale e, dall’altro, i costi generati dalle attività di tali autorità che, pur non essendo direttamente connesse ai compiti di regolamentazione di queste ultime, sono funzionali all’esercizio delle loro competenze di regolamentazione del settore postale.
III. Il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di proporzionalità e di non discriminazione nonché l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, della direttiva 97/67, come modificata dalla direttiva 2008/6, devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a una normativa nazionale la quale, al fine di garantire all’autorità nazionale di regolamentazione responsabile del settore postale un finanziamento idoneo a consentirle di adempiere in piena indipendenza i suoi compiti relativi alla regolamentazione di tale settore, impone, in modo uniforme, all’insieme degli operatori di detto settore un obbligo di contribuire al finanziamento dei costi operativi di tale autorità senza tener conto dell’intensità delle attività di regolamentazione e di monitoraggio svolte in relazione ai diversi tipi di servizi postali e senza operare alcuna distinzione, a tal fine, tra fornitori del servizio postale universale e operatori di corriere espresso, purché l’obbligo imposto da tale normativa a detti operatori sia, peraltro, trasparente, accessibile, preciso e univoco, e purché esso sia reso pubblico anticipatamente e sia basato su criteri oggettivi».
12. All’udienza del 27 giugno 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in procedendo per non aver il Tar accolto l’istanza di differimento dell’udienza – Violazione del diritto di difesa.
L’appellante stigmatizza il mancato accoglimento, da parte del primo giudice, dell’istanza di differimento dell’udienza proposta al fine di poter discutere la causa in presenza e non da remoto alla luce delle disposizioni introdotte per far fronte all’emergenza Covid (84, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, convertito in l. 24 aprile 2020, n. 27).
Facendo leva sui principi statuiti nell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 2539 del 21 aprile 2020 l’appellante sostiene che:
- trattandosi di controversia instaurata solo nel maggio 2019, il diritto della controparte ad una ragionevole durata del processo non sarebbe stato leso nel caso di un breve rinvio dell’udienza;
- il primo giudice ha travisato il concetto di “semplicità” della causa, laddove ha ritenuto di rinvenire nella specie tale requisito per il sol fatto che il Tar per il Lazio si era già espresso con la sentenza 3024/2020 su questioni in parte analoghe con riferimento al contributo del 2018;
- il differimento dell’udienza al fine di consentire la discussione orale della causa si rendeva vieppiù necessario proprio considerato che il medesimo Tar, già in altre controversie in parte analoghe, aveva manifestato di non condividere le ragioni di doglianza che presentavano similitudini strettissime con quelle dedotte nel giudizio de quo da BRT;
- lo svolgimento della discussione orale avrebbe sicuramente creato i presupposti per un confronto verbale su alcune questioni di rilevanza centrale;
- il Tar non ha valutato i potenziali effetti irreversibili sul diritto di difesa: se lo avesse fatto avrebbe accolto l’istanza allora presentata dall’odierna appellante, senza sacrificare la pienezza del diritto di difesa dell’appellante e, così, i benefici che spesso reca con sé l’oralità del contraddittorio;
- il rinvio dell’udienza si sarebbe anche reso necessario in forza della richiesta istruttoria avanzata fino all’ultimo dall’odierna appellante ma del tutto pretermessa dal giudice di prime cure, che al riguardo non ha espresso alcuna posizione;
- nella specie il mancato differimento dell’udienza ha comportato la lesione del diritto di difesa della società.
L’appellante, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., rimette al Collegio ogni valutazione circa la rimessione del presente contenzioso al giudice di primo grado, previo annullamento della sentenza appellata.
2. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando sul secondo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante violazione dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, dell’articolo 1.9 della legge 31 luglio 1997 n. 249 e dell’articolo 1.65 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 - Violazione della direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 – Violazione degli artt. 3 e 23 della Costituzione.
Dopo aver (i) premesso che l’appello segue l’ordine dei motivi così come esaminati nella sentenza impugnata e (ii) precisato di aver interesse primario ad una pronuncia favorevole sul terzo motivo perché avente carattere assorbente, l’appellante sostiene che:
- il Tar ha respinto il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente aveva lamentato l’illegittimità dei provvedimenti principalmente impugnati per avere essi imposto ai soli operatori postali (ed ai corrieri espresso, ad essi assimilati) l'intero finanziamento delle attività di AGCOM afferenti al settore postale, senza prevedere anche un’adeguata quota di finanziamento pubblico;
- ma anche alla luce del d.l. 50/2017 le spese relative alle attività esercitate dall’AGCOM per il settore postale non devono essere interamente finanziate dagli operatori di detto settore per varie ragioni;
- (i) l’articolo 1.65 della legge n. 266/2005, espressamente richiamato dalla normativa del 2017, stabilisce in maniera assolutamente chiara che le spese relative alle attività esercitate dall’AGCOM per il settore postale sono finanziate dal mercato di competenza, solamente “per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato”: tale norma dà per presupposto il finanziamento statale determinandone, quindi, l’obbligatorietà;
- ritenere che per la singola annualità considerata la parte coperta dal finanziamento statale possa anche essere pari a zero darebbe luogo ad un’inammissibile interpretazione contraria alla lettera e, vieppiù, alla stessa ratio della disposizione;
(ii) gli articoli 9, comma 2 e 22 della direttiva comunitaria 15 dicembre 1997 n. 97/67 confortano la tesi propugnata perché: a. prevedono solo una forma di compartecipazione degli operatori al finanziamento degli oneri relativi al funzionamento dell’Autorità; e b. l’indipendenza dell’Autorità non sarebbe garantita se fosse finanziata solo (ovvero in misura preponderante) dagli operatori;
- l’argomento, speso dal Tar, secondo il quale «"il sistema di “auto-finanziamento” integrale attuato dal legislatore italiano non costituisce una anomalia ma, al contrario, appare logicamente in linea con il normale evolversi delle attività di una ANR chiamata a regolare un mercato che deve ancora aprirsi alla piena concorrenza» non regge se si considera che altre Autorità sono destinatarie di finanziamenti statali;
- ne deriva il contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'ingiustificata maggiore onerosità del trattamento riservato agli operatori del settore postale rispetto a quello riservato agli operatori soggetti all’attività di altre Autorità di regolamentazione;
(iii) il finanziamento statale è previsto dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 249/1997 di cui non è stata disposta l’abrogazione e che non è superata come affermato dal Tar (la tesi è sostenuta argomentando da un parere della Commissione di Garanzia).
3. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando e carenza di motivazione sul primo motivo dell’impugnazione di primo grado, sulla non riconducibilità dell’attività svolta da BRT all’attività di “offerta al pubblico di servizi” e sulla consequenziale insussistenza in capo ad essa di alcun obbligo contributivo: violazione dell’articolo 6 del decreto legislativo 22 luglio 1999 n. 261 - Violazione degli articoli 23, 41 e 97 della Costituzione – Violazione dell’art. 1.65 della legge n. 266/2005 - Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità manifesta, sviamento, ingiustizia grave e manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.
L’appellante chiede la riforma della sentenza del Tar di primo grado e, così, l’accoglimento del primo motivo di gravame, con cui si era chiesto al giudice a quo di accertare o comunque dare atto che BRT non rientra fra i soggetti tenuti alla contribuzione a favore di AGCOM.
In prima battuta l’appellante richiama quanto sostenuto nel primo motivo del ricorso di primo grado sostenendo che:
- in base all’art. 6 del decreto legislativo n. 261/99 più volte citato, sono soggetti ad autorizzazione unicamente coloro i quali “offrano al pubblico” servizi postali;
- per “offerta al pubblico” deve intendersi l’offerta generalizzata di un servizio standardizzato secondo il modello previsto dall’articolo 1336 del Codice Civile;
- il legislatore nell’esercitare la facoltà d’introdurre l’autorizzazione generale ha individuato, in piena coerenza con le direttive europee, nella contrattazione standard il minimo comune denominatore afferente i fornitori postali (rientrino essi nel servizio universale o meno) e perciò previsto l’offerta al pubblico tecnicamente intesa ex art. 1336 c.c. quale presupposto indefettibile dell’autorizzazione generale;
- vero è che BRT ha a suo tempo richiesto l’autorizzazione generale, ma è del pari vero che lo ha fatto in via meramente cautelativa, come da sempre dichiarato, fin dal ricorso introduttivo, e ciò in considerazione dell’incertezza della portata del quadro normativo;
- l’attività svolta da BRT non si è mai configurata quale offerta al pubblico di servizi postali, ove per tale deve intendersi all’evidenza l’offerta generalizzata di un servizio standardizzato e predeterminato unilateralmente in tutti i suoi contenuti essenziali, ivi compreso il prezzo;
- si devono considerare le seguenti circostanze: (i) i contenuti dei contratti stipulati da BRT, compresi i corrispettivi, sono sempre stati il frutto di pattuizioni specifiche con i propri contraenti; (ii) BRT non ha alcuna tariffa univoca né di condizioni né di contenuti contrattuali standard; (iii) i contratti stipulati da BRT sono sempre molto diversificati fra loro per quel che riguarda: tariffe; tempi e modalità di raccolta; quantità massime giornaliere di merce movimentate; processo di consegna e di gestione dei pacchi; gestione dei reclami; gestione dei resi; previsione di un servizio clienti ad hoc per i destinatari;
- detti contratti non sono mai stati il frutto di una mera adesione del cliente ad un’ipotetica offerta al pubblico di servizi postali, paradigma del tutto estraneo al tradizionale modus operandi di BRT;
- i contratti stipulati da BRT con la propria clientela avevano sempre costituito il risultato di una libera trattativa di mercato (sia per quel che concerne le caratteristiche dei servizi, sia per quel che concerne i corrispettivi), svolta nell’ambito della piena autonomia contrattuale delle parti e del tutto avulsa, sia in astratto che in concreto, da qualsivoglia esigenza regolatoria di AGCOM;
- di tal che, considerato che il presupposto per l’assoggettamento all’obbligo di contribuzione a favore dell’Autorità di Regolamentazione è lo svolgimento dell’attività di “offerta al pubblico” oggetto di autorizzazione generale la società aveva concluso che, non esercitando essa detta attività, non poteva rinvenirsi in capo ad essa alcun obbligo contributivo.
Quindi l’appellante sostiene che:
- il Tar ha dichiarato l’infondatezza del motivo sulla base di quanto già sostenuto dallo stesso organo giudicante nella sentenza del 3 aprile 2020 n. 3767, pronunciata in altro giudizio nel quale BRT aveva impugnato la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata nei suoi confronti da AGCOM, per la presunta violazione di obblighi discendenti a carico della società per effetto della Delibera 413/14/CONS, recante «Direttiva generale per l’adozione da parte dei fornitori di servizi postali delle carte dei servizi» (vengono riprodotti alcuni stralci della pronuncia);
- i contratti prodotti in giudizio sono pienamente rappresentativi del modus operandi della società, che “taglia su misura” ogni singolo contratto in base alle esigenze concrete della propria clientela;
- condividendo la statuizione con cui il giudice di primo grado sostanzialmente riconosce che i “contratti personalizzati con singole aziende mittenti” fuorescono dall’ambito di applicazione dell’art. 6 cit., l’appellante contesta la sentenza appellata nella parte in cui non ha ritenuto (perché “difficile da pensare”) che l’intera attività svolta da BRT possa essere caratterizzata dalla specificità e della personalizzazione dei rapporti negoziali con i propri clienti, e ciò sulla base della presunzione per cui “un numero così elevato di consegne non è oggettivamente gestibile, se non operando secondo schemi e modalità standardizzate”;
- l’estraneità del modello dell’offerta al pubblico dal modus operandi di BRT risulta da numerose circostanze: (i) attraverso il sito web gli “utenti comuni o occasionali” non sono in condizione di ottenere una prestazione aderendo ad un prezzo ed a condizioni predeterminate con un semplice clic, ma per potere accedere ai servizi della società deve mettersi in contatto con una filiale o comunque con un operatore BRT e quindi negoziare ad personam tutte le condizioni della prestazione; (ii) per quel che riguarda il rapporto con Amazon (richiamato dal Tar) esso è cosa diversa dai contratti stipulati da Amazon con i propri clienti; (iii) i contratti stipulati dagli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche sono sempre standard e non hanno nulla a che vedere con quelli stipulati da BRT;
- non può condividersi l’iter argomentativo del Tar laddove fa riferimento ai consumatori destinatari: è la natura di fornitore di servizio postale (in quanto operatore che, per quel che qui rileva, fa offerta al pubblico di servizi postali ai sensi dell’art. 6) a determinare la natura “postale” del proprio servizio e così del proprio utente, giammai viceversa;
- in ogni caso nessun bisogno di tutela nei confronti di BRT, e di corrieri espresso che svolgano attività analoga, può configurarsi in capo ai consumatori destinatari dei pacchi;
- i destinatari, proprio in quanto soggetti terzi rispetto al rapporto contrattuale instaurato tra BRT e l’azienda sua cliente, non sono direttamente soggetti alle tariffe praticate da BRT e, conseguentemente, non sono ad esse interessati: l’attività di regolazione da parte dell’Autorità non avrebbe alcuna utilità a tutela del consumatore;
- la tesi esposta trova ulteriore conferma nello schema di provvedimento relativo all’analisi del mercato dei servizi di consegna dei pacchi di cui all’allegato B alla delibera n. 350/19/CONS;
- non rientrando, per tutto quanto sopra considerato, l’attività commerciale di BRT fra le attività standardizzate e non essendo conseguentemente integrato il primo requisito richiesto dall’art. 6 (esercizio di un’attività di offerta al pubblico), le disposizioni finalizzate ad individuare ed a caratterizzare il servizio postale, nonché la relativa utenza, non possono assumere alcuna rilevanza nella specie e, dunque, non possono trovare applicazione nei confronti di BRT;
- solo gli utenti comuni o occasionali, ossia coloro che non hanno stipulato un contratto ad hoc con la società (ammesso e non concesso che tale categoria di utente vi sia), potranno essere attratti nella sfera della c.d. offerta al pubblico di cui all’art. 6, con la conseguenza che la necessità di regolazione da parte dell’Autorità si porrebbe, a tutto concedere, unicamente per quei rapporti (facenti capo appunto agli “utenti comuni e spesso occasionali”) “standardizzati”, cioè non oggetto di “negoziazione ad hoc”, rispetto ai quali, utilizzando l’espressione contenuta in sentenza, “esulano” i rapporti “contrattualizzati” ad personam.
4. Il quarto motivo di appello è rubricato: Error in procedendo per omessa pronuncia sull’istanza istruttoria - Violazione del diritto di difesa.
Parte appellante censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sull’istanza istruttoria presentata da BRT in primo grado in vista dell’udienza di merito del 20 maggio 2020, resasi necessaria in quanto, AGCOM, nel giudizio de quo, non ha provveduto a produrre parte della stessa.
Trattasi in particolare, fra gli altri, della Relazione tecnica-finanziaria richiamata nel parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23 novembre 2018, il cui esame si rendeva indispensabile per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa in capo alla società, visto che detta Relazione costituisce il documento contenente il dettaglio delle singole voci di spesa previste per il funzionamento di AGCOM in relazione al settore postale per l’anno di esercizio 2019.
L’appellante sostiene che non è assolutamente ammissibile che l’AGCOM pretenda il pagamento di un contributo, peraltro tutt’altro che esiguo, senza fornire ai soggetti interessati una analitica e puntuale dimostrazione circa la fondatezza delle sue pretese economiche.
5. Il quinto motivo di appello è rubricato: Error in iudicando e carenza di motivazione sul terzo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante violazione dell’articolo 9 della direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997, dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, dell’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 - Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione, nonché della violazione del principio di proporzionalità.
L’appellante chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto adeguate ed esaurienti l'istruttoria e la motivazione che sorreggono la delibera 528/18/CONS e ha conseguentemente respinto il terzo motivo del ricorso proposto da BRT avverso la delibera medesima.
L’appellante ricorda gli argomenti esposti per fondare il terzo motivo di ricorso relativamente alla determinazione del contributo nella misura dell’1,35 per mille:
- gli operatori del settore, in quanto chiamati a “contribuire” alle spese di funzionamento dell’AGCOM nel settore postale, devono essere necessariamente posti nella condizione di conoscere le voci che costituiscono la stima complessiva di tali spese;
- la delibera n. 528/18/CONS ha quantificato nell’esorbitante importo di 9.160.000 euro il presunto ammontare delle spese per lo svolgimento dell'attività di regolamentazione del settore postale da svolgersi ad opera di AGCOM nel 2019, senza fornire la minima motivazione, senza produrre la minima documentazione per giustificare tale ammontare, e senza che detta motivazione e detta documentazione siano riportate né nel bilancio approvato con la delibera n. 603/18/CONS, né in alcun altro atto;
- una motivazione sarebbe stata necessaria perché: (i) l’importo previsto era di gran lunga superiore a quello degli anni precedenti; e (ii) l’AGCOM non ha mai svolto alcuna concreta attività regolatoria con riferimento allo specifico settore in cui opera l’appellante;
- l’Autorità avrebbe dovuto (sempre secondo BRT): a) indicare, previa attenta verifica, l’ammontare presunto delle spese derivanti dal funzionamento dell’Autorità per la regolamentazione del settore postale, per il 2019; b) individuare la parte di tali oneri coperta dal finanziamento previsto dalla legge a carico del bilancio dello Stato; c) per differenza, individuare la parte delle predette spese da coprire mediante il contributo degli operatori del settore postale; d) accertare ed indicare espressamente i ricavi complessivi conseguiti dagli operatori del settore postale nell’esercizio finanziario 2017, con riferimento all’attività svolta nel settore postale; e) ed, infine, calcolare le percentuali da applicare a quest’ultimo dato per ottenere un importo sufficiente a coprire unicamente gli oneri di cui alla precedente lettera “c”.
- l’entità macroscopica della stima è palese sintomo della violazione del principio di proporzionalità: l’AGCOM avrebbe dovuto fare di tutto per contenere tali oneri il più possibile, dando adeguata dimostrazione di aver scelto la strada implicante il minor sacrificio economico possibile da porre a carico degli operatori;
- tutti questi argomenti sono stati liquidati con poche non condivisibili parole dal primo giudice;
- peraltro, la relazione tecnico-finanziaria, di cui apparentemente è citato il contenuto nella nota in questione non è mai stata prodotta da AGCOM nel giudizio di primo grado (per tale ragione parte ricorrente aveva presentato apposita istanza istruttoria, su cui però il Tar non si è pronunciato).
6. Il sesto motivo di appello è rubricato: Error in iudicando sul quarto motivo dell’impugnazione di primo grado, recante ulteriore violazione dell’articolo 65 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50 e dell’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 – Violazione dell’articolo 23 della Costituzione.
L’appellante chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’esonero dalla contribuzione in favore dell'Autorità per le imprese in crisi e per quelle con fatturato inferiore a 100.000,00 euro e ha conseguentemente respinto il quarto motivo di ricorso.
In particolare si sostiene che:
-non sono state contestate presunte "variazioni della misura e delle modalità della contribuzione", ma il fatto che l'AGCOM abbia esentato dal pagamento del contributo intere categorie di imprese;
- la sentenza della Corte costituzionale n. 269/2017 in realtà conforta le tesi di parte appellante;
- anche alla contribuzione prevista dalla legge in favore dell'AGCOM deve essere riconosciuta natura tributaria, con conseguente applicazione delle garanzie stabilite dagli articoli 3 e 53, nonché della riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione;
- a differenza del caso del contributo AGCM, dove la scelta di imporre la contribuzione in esame esclusivamente a carico di determinate categorie di imprese è prevista dalla legge, nel caso del contributo AGCOM tale scelta non è stata operata dal legislatore ma è stata operata dall'Autorità e pertanto la scelta medesima è senz'altro illegittima;
- dal momento che nella fattispecie oggetto del presente giudizio la scelta di imporre la contribuzione in favore dell'AGCOM esclusivamente a carico di determinate categorie di imprese è stata operata con delibera dell'Autorità, tale delibera viola indubbiamente la riserva stabilita all’art. 23 Cost., essendo "onere per il legislatore di indicare compiutamente il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta, mentre l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima".
7. Il settimo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando sul sesto, nono e undicesimo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante eccesso di potere sotto il profilo dell’illegittimità degli atti presupposti.
Si sostiene che la fondatezza, per le ragioni dianzi esplicitate, delle censure presupposte, afferenti alla delibera n. 528/18/CONS, comporta la fondatezza del sesto, del nono e dell'undicesimo motivo di ricorso e la necessità che la sentenza impugnata sia riformata in parte qua.
8. L’ottavo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando sull'ottavo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione.
L’appellante sostiene che:
- con l'ottavo motivo di ricorso era stata criticata l’approvazione del bilancio di previsione da parte dell’AGCOM, avvenuta con la delibera n. 603/18/CONS del 12 dicembre 2018, avendo tale delibera omesso di considerare i rilievi negativi contenuti nel parere reso dalla Commissione di Garanzia in data 7 dicembre 2018;
- a differenza di quanto sostiene il Tar, la Commissione incaricata ha indubbiamente inserito nel parere medesimo indicazioni che avrebbero presupposto l'adozione di "rettifiche" ed "integrazioni";
- molte indicazioni contenute nel parare facevano desumere l’invito da parte della Commissione ad una generale razionalizzazione delle spese;
- si pensi in particolare all'indicazione che reca un esplicito invito a ridurre la posta delle missioni, oppure all'indicazione che invita ad un contenimento delle spese per forniture esterne di servizi e in generale;
- eppure, con la delibera 603/18/CONS, pur richiamando espressamente il riportato parere, l’AGCOM ha approvato il bilancio 2019 senza apportarvi alcuna modifica, disattendendo così tutte queste richieste, e senza fornire alcuna motivazione al riguardo.
9. Il nono motivo di appello è rubricato: Error in iudicando e carenza di motivazione sul dodicesimo motivo dell’impugnazione di primo grado, recante eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione - Violazione dell’articolo 1.65 della legge 23 dicembre 2005 n. 166 – Incompetenza.
Si chiede la riforma della sentenza impugnata, anche nella parte in cui ha respinto il tredicesimo motivo sollevato con il secondo ricorso per motivi aggiunti presentati avverso la documentazione istruttoria depositata da AGCOM successivamente all’instaurazione del giudizio (documentazione incompleta per l’omessa produzione della relazione tecnico-finanziaria citata dal parere della Ragioneria Generale del 23 novembre 2018).
Con riferimento al profilo della carenza di istruttoria e di motivazione si sostiene che:
- nell'ambito del giudizio di primo grado l'Autorità non ha affatto dimostrato "di avere compiuto una disamina effettiva e sostanziale";
- di contro è documentato per tabulas che il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’economia e delle finanze, chiamati dall’ordinamento ad “arginare” la discrezionalità dell’AGCOM in sede di determinazione del citato contributo, di fatto abbiano omesso del tutto ogni necessaria verifica;
- questo vale anzitutto per il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale non contiene alcuna specifica motivazione, limitandosi a richiamare una serie di note senza mai dare conto né menzionare alcuna indagine istruttoria condotta all’interno della Presidenza;
- il decreto si è appiattito acriticamente sulle – del tutto inadeguate – risultanze degli atti ministeriali richiamati;
- anche i provvedimenti del Ministero sono del tutto carenti ed inadeguati: quello della Ragioneria Generale si limita a riportare il contenuto di altri atti e a concludere “per i profili di competenza, di non avere osservazioni da formulare in ordine all’approvazione della delibera in parola…”;
- nessuno degli atti ministeriali richiama le necessarie indagini istruttorie che avrebbero dovuto essere condotte all’interno del Ministero, intese a verificare la veridicità e la correttezza dei dati forniti dall’Autorità, ad accertare l’effettivo contenuto della Relazione tecnico-finanziaria (mai prodotta in giudizio), e ad individuare, approfondire ed eventualmente risolvere le eventuali criticità sottese alla quantificazione operata dall’ AGCOM;
- le Amministrazioni centrali chiamate per legge a verificare l’autoderminazione dei propri costi da parte dell’Autorità avrebbero fra l’altro dovuto pronunciarsi anche sulla circostanza che l’AGCOM non pare aver tenuto in alcuna considerazione le entrate che nell’anno di riferimento sarebbero prevedibilmente derivate dall’applicazione delle sanzioni di competenza dell’autorità (almeno di ciò non v’è traccia in alcuno dei documenti acquisiti agli atti);
- i richiamati provvedimenti si risolvono in mere “prese d’atto” delle decisioni dell’AGCOM, e si pongono in contrasto con l’articolo 1.65 della legge n. 266/2005 in quanto non costituiscono “un significativo argine procedimentale alla discrezionalità” dell’Autorità, ed alla “sua capacità di determinare da sé le proprie spese”;
- è evidente il contrasto con i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 7 aprile 2017 n. 69 , con cui la Corte, in materia analoga, ha chiarito che “l’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze costituisce un significativo argine procedimentale alla discrezionalità dell’ART e alla sua capacità di determinare da sé le proprie spese”, ragion per cui i provvedimenti ministeriali non possano risolversi in pure e semplici “prese d’atto” delle decisioni dell’Autorità, ma debbano essere il frutto di un’attenta ed approfondita istruttoria e debbano essere sorrette da una puntuale motivazione;
- le voci di costo esposte dall’ AGCOM, lungi dall’essere “sobrie”, “trasparenti”, “proporzionate”, “precise ed univoche”, sono macroscopiche, oltreché del tutto ingiustificate ed indimostrate, come si è ampiamente e diffusamente argomentato nei motivi dedotti;
- tanto il Presidente del Consiglio dei Ministri quanto il Ministero dell’economia e delle finanze avrebbero dovuto compiere ogni più opportuna indagine circa la pretesa esattezza e la pretesa congruità di tale importo;
- la contribuzione degli operatori del settore dovrebbe dunque atteggiarsi quale puro atto di fede;
- di tal che risulta confermata la totale carenza di istruttoria e di motivazione, nonché la lamentata violazione del principio di proporzionalità: proprio perché gli oneri relativi sono posti, sia pur illegittimamente, esclusivamente a carico dei privati, infatti, l’Autorità avrebbe dovuto fare di tutto per contenerli il più possibile, cosa che evidentemente non ha fatto, e comunque né il Presidente del Consiglio né il Ministero hanno dato atto di aver compiuto alcuna verifica puntuale con riferimento alle macroscopiche voci di costo indicate dall’AGCOM.
Con riferimento all'eccepita incompetenza della Sottosegretaria di Stato che ha firmato il d.p.c.m. di approvazione dell’esecutività della delibera impugnata si sostiene che:
- secondo il giudice a quo l’Amministrazione resistente avrebbe dimostrato "che l’ambito delle deleghe di firma conferite a e il riferimento esplicito ai “compiti relativi alle autorità amministrative indipendenti” consentivano pienamente l’intervento espletato";
- in realtà nelle difese avversarie non vi è traccia della dimostrazione cui fa riferimento il giudice a quo, essendosi l'Avvocatura limitata ad asserire, che la Sottosegretaria di Stato non aveva avuto “una delega “in bianco” rispetto a tutti gli atti da adottarsi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri riferiti alle Autorità Indipendenti” ma piuttosto era stata “delegata al compimento di atti aventi natura meramente amministrativa” e ciò in quanto nel d.p.c.m. del dicembre 2016 alla Sottosegretaria medesima era stata “delegata la firma dei decreti, degli atti e dei provvedimenti di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri, ad esclusione di quelli che richiedono una preventiva deliberazione del Consiglio dei ministri”;
- tale assunto non è affatto dirimente tenuto conto che la delega di tutti “i compiti relativi alle autorità amministrative indipendenti” non ha alcuna base normativa e di fatto comporta la totale abdicazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri di ogni funzione attribuitagli dalla legge in un campo (quello delle Autorità Indipendenti appunto) particolarmente delicato e sensibile;
- per essere legittima la delega nella specie avrebbe dovuto essere conferita ad hoc, con specifico riferimento alla funzione attribuita dalla disposizione sopra richiamata.
10. L’Avvocatura dello Stato ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi.
Si sostiene che il gravame pare risolversi nella mera non condivisione della decisione del Tar da parte dell’operatore, limitatosi a riproporre pedissequamente le identiche doglianze di primo grado con le medesime argomentazioni e tesi, imputando al giudice di prime cure un generico error in iudicando di cui non viene tuttavia illustrata la riferibilità specifica alle singole statuizioni, né vengono dedotte le specifiche ragioni in cui si sostanzierebbe.
10.1 L’eccezione non merita accoglimento.
Affinché sia soddisfatto il requisito di specificità dell'impugnazione di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a., non occorre che l'atto di appello contesti analiticamente ogni singolo passaggio argomentativo in cui si articola la trama motivazionale della sentenza appellata, laddove dal complessivo contenuto dell'appello si evincano le ragioni essenziali per le quali il ragionamento posto dal Tar a fondamento della statuizione gravata non possa ritenersi, dal punto di vista dell'appellante, condivisibile, ciò anche attraverso la contrapposizione, al filo argomentativo che attraversa la sentenza appellata, di una diversa chiave di lettura del materiale istruttorio raccolto dall'Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 28/11/2023, n.10201).
Nel caso di specie l’appello contiene una critica specifica ai diversi capi della sentenza impugnata.
11.L’appello è infondato.
12. È utile premettere alcune considerazioni di ordine generale al fine di perimetrare l’oggetto, la natura e i confini del sindacato di questo Collegio.
Nel presente giudizio viene in esame il contributo che gli operatori attivi nel settore postale sono tenuti a versare annualmente per la copertura degli oneri di funzionamento dell’Autorità nazionale di regolamentazione del settore postale.
Come ricordato in narrativa, la Sezione (con ordinanza n. 2066/2022) ha investito la Corte di Giustizia UE di alcune questioni interpretative pregiudiziali necessarie per valutare il fondamento almeno di parte dei motivi di appello.
Con sentenza del 7 settembre 2023, nella causa C-226/22 (più diffusamente richiamata in narrativa) la Corte di Giustizia UE ha canonizzato i seguenti principi:
a) il finanziamento dell’Autorità di regolazione ben può essere alimentato facendo leva esclusivamente sui contributi imposti agli operatori di tale settore;
b) i costi operativi citati nell’art. 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, della direttiva 97/67 comprendono i costi per le attività relative a servizi postali diversi dal servizio universale e i costi generati dalle attività di tali autorità che sono funzionali all’esercizio delle loro competenze di regolamentazione del settore postale;
c) è possibile imporre l’obbligo di contribuzione in modo uniforme a tutti gli operatori del settore senza operare alcuna distinzione, a tal fine, tra fornitori del servizio postale universale e operatori di corriere espresso.
Alla luce dei ridetti principi il Collegio è chiamato a valutare della legittimità dell’atto generale di imposizione del contributo da versare, per un determinato anno, all’Autorità di regolazione del settore postale, ovvero se ci sia stato un esercizio corretto del potere nel determinare l’ammontare del ridetto contributo.
La fonte del potere dell’AGCOM di fissare il contributo dovuto dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali è rappresentata dall’art. 65 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito in l. 21 giugno 2017, n. 96, in cui è stabilito che «[a] decorrere dall’anno 2017, alle spese di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in relazione ai compiti di autorità nazionale di regolamentazione del settore postale, si provvede esclusivamente con le modalità di cui ai commi 65 e 66, secondo periodo, dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, facendo riferimento ai ricavi maturati dagli operatori nel settore postale. Sono abrogate le norme di cui all’articolo 2, commi da 6 a 21, e di cui all’art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo 22 luglio 1999 n. 261».
Tale contributo (argomentando dai principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 269/2017) ha natura tributaria.
Il provvedimento con il quale l’Autorità fissa l’ammontare del contributo (impugnato in questa sede) ha natura di atto amministrativo generale attuativo di norme impositive di tributi (si veda Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2023 n. 9956, anche per i richiami alle pronunce della Corte di Cassazione emesse in relazione alla portata dell’art. 7 del d.lgs. 546/1992, che confortano tale affermazione).
Come previsto dall’articolo 3 della legge 241/1990 per gli atti a contenuto generale non è richiesta una specifica motivazione. È nondimeno necessario che l’ammontare del contributo dovuto all’Autorità venga definito sulla base di criteri proporzionati, obiettivi e trasparenti.
La determinazione dell’ammontare del contributo dovuto per ciascun anno costituisce una delle voci delle entrate del bilancio di previsione di AGCOM, bilancio che viene redatto secondo la normativa di riferimento (non impugnata in questa sede).
La legge prescrive anche la procedura per l’approvazione della delibera con la quale AGCOM definisce il proprio fabbisogno (e, quindi, l’ammontare dei contributi richiesti agli operatori). In particolare la procedura è descritta dall’art. 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (espressamente richiamato dall’art. 65 del d.l. 50/2017 più sopra citato) che così recita: «A decorrere dall’anno 2007 le spese di funzionamento (omissis) dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (omissis) sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità. Le deliberazioni, con le quali sono fissati anche i termini e le modalità di versamento, sono sottoposte al Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, per l’approvazione con proprio decreto entro venti giorni dal ricevimento. Decorso il termine di venti giorni dal ricevimento senza che siano state formulate osservazioni, le deliberazioni adottate dagli organismi ai sensi del presente comma divengono esecutive».
In altre parole l’approvazione (a) del bilancio dell’AGCOM e (b) del fabbisogno di AGCOM (in quest’ultimo caso con l’intervento Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze che però possono anche mancare con il risultato che le delibere AGCOM diventano esecutive) sono dei procedimenti tipizzati. Al giudice spetta verificare se il procedimento sia stato osservato e se i soggetti coinvolti abbiano espresso ritualmente le proprie determinazioni per quanto di competenza.
Chi è soggetto a contributo non può sindacare come è strutturato il bilancio (peraltro, nella specie, come detto, non sono state neanche impugnate le norme che disciplinano le modalità di redazione del bilancio AGCOM sotto il profilo del tipo di spese ammissibili). E non può neanche sindacare (se non sotto il profilo della manifesta sproporzione) aspetti quale la dimensione dell’Autorità, il numero di risorse umane necessarie e simili. Al più si dovrebbe dimostrare che ci sono somme non dedicate all’attività dell’Autorità. Ma questo, nella specie, non è stato né addotto né provato. Peraltro alla luce della pronuncia della Corte di giustizia nella causa C-226/22 dianzi citata non è necessario che ci sia un criterio di stretta correlazione tra entità del contributo e singola funzione esercitata (cfr. punto 57 «Pertanto, alla luce del margine di discrezionalità menzionato al punto 38 della presente sentenza, il principio di proporzionalità nonché l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, e paragrafo 3, della direttiva 97/67 non possono essere interpretati nel senso che debba esistere una correlazione precisa tra l’importo del contributo imposto a un operatore e i costi effettivamente sostenuti dall’ANR interessata per la sua attività di regolamentazione nei confronti di tale operatore».
I motivi di appello verranno esaminati alla luce di queste premesse generali.
Il tema del finanziamento dell’AGCOM è anche un tema di natura politica. Gli interessi che gli operatori hanno cercato di far valere in questa sede per molti versi danno corpo ad istanze che possono trovare reale ascolto solo dal legislatore.
Un esempio tra tutti. La legge vigente non esclude che possa esistere un finanziamento dell’Autorità anche ad opera della fiscalità generale. Ma che questo avvenga in concreto, ogni singolo anno, è una decisione che spetta al legislatore: quando le condizioni della finanza pubblica lo permetteranno, ben potrà il Parlamento permettere che il finanziamento dell’Autorità sia assicurato dallo Stato (anche per scongiurare in maniera più incisiva quel rischio di “cattura” del controllore da parte del controllato paventato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 269/2017).
13. Passando all’esame dei motivi in modo specifico, non merita accoglimento la richiesta proposta dall’appellante di rimettere il presente contenzioso al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., in ragione del mancato accoglimento, da parte del Tar, dell’istanza di differimento dell’udienza proposta al fine di poter discutere in presenza la causa e non da remoto alla luce delle disposizioni introdotte per far fronte all’emergenza Covid (art. 84, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, convertito in l. 24 aprile 2020, n. 27).
Nella specie non si è verificata una radicale mancanza di contraddittorio. Semplicemente non è stata accolta l’istanza di rinvio per poter discutere la causa in presenza. L’incidenza concreta di siffatta evenienza non può portare al rinvio al primo giudice. Al più fornisce la base per un motivo di appello. L’appellante può discutere in presenza in grado d’appello e questo è puntualmente avvenuto all’udienza di discussione del 27 giugno.
In ogni caso il primo giudice ha fatto puntuale applicazione dei principi statuiti nell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 2539 del 21 aprile 2020 sulla quale fa leva l’appellante per fondare la propria pretesa.
Nella citata ordinanza la Sezione ha stabilito che «l’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020,va interpretato nel senso che: ciascuna delle parti ha facoltà di chiedere il differimento dell’udienza a data successiva al termine della fase emergenziale allo scopo di potere discutere oralmente la controversia, quando il Collegio ritenga che dal differimento richiesto da una parte non sia compromesso il diritto della controparte ad una ragionevole durata del processo e quando la causa non sia di tale semplicità da non richiedere alcuna discussione potendosi pur sempre, nel rito cartolare, con la necessaria prudenza, far prevalere esigenze manifeste di economia processuale».
Correttamente il primo giudice ha ritenuto che, nella specie, ricorressero entrambe le circostanze appena richiamate: a) era necessario per l’Autorità riscuotere le somme dovute da BRT al fine di assicurare il proprio funzionamento b) il Tar si era già espresso con orientamento consolidato in materia: sussisteva, dunque, la “semplicità” della risoluzione della controversia.
13.1 Parte appellante sostiene che il rinvio dell’udienza si sarebbe anche reso necessario in forza della richiesta istruttoria avanzata dalla stessa appellante. Come si dirà nel prosieguo, tale richiesta non ha gli effetti che l’appellante vuole attribuirle. Pertanto la circostanza non inficia la conclusione qui raggiunta.
14. È infondato il secondo motivo di appello che fa leva sulla tesi secondo la quale sarebbe illegittimo far ricadere sui soli operatori il finanziamento dell’Autorità.
Rispondendo alla specifico quesito posto da questa Sezione, la Corte di Giustizia UE (con sentenza del 7 settembre 2023, nella causa C-226/22) ha chiarito uno Stato membro può optare per un meccanismo di finanziamento dell’Autorità nazionale di regolamentazione responsabile del settore postale alimentato esclusivamente mediante contributi imposti agli operatori di tale settore escludendo qualsiasi finanziamento da parte del bilancio dello Stato (purché tale sistema garantisca che l’Autorità nazionale di regolamentazione interessata disponga effettivamente delle risorse indispensabili per assicurare il suo buon funzionamento e l’adempimento, in piena indipendenza, dei suoi compiti di regolamentazione del settore postale o dei mezzi giuridici che le consentano di acquisire tali risorse).
12.1 Non ha pregio sostenere che le norme nazionali, anche dopo il 2017, continuano a disciplinare la materia delineando un sistema di finanziamento “misto”, cioè alimentato con contributi degli operatori di settore e con contributi statali.
Il fatto che l’art. 1, comma 65, della legge n. 266/2005 (richiamato dall’art. 65 della l. 50/2017) menzioni la parte delle spese di funzionamento «non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato», non può essere interpretato nel senso di ritenere che una parte finanziata dallo Stato debba necessariamente esserci.
La Sezione, nell’ordinanza n. 2066/2022 con cui sono stati proposti i quesiti interpretativi alla Corte di Giustizia UE ha affermato quanto segue: «56. Con la riforma del 2017 (d.l. 24 aprile 2017, n. 50 cit.) il legislatore ha inteso superare la necessaria duplicità delle fonti di finanziamento, rendendo il cofinanziamento statale eventuale e rimesso a decisioni future da assumere dagli organi politici, di regola nell’ambito della legge di bilancio, in relazione a ciascuno degli esercizi annuali presi in considerazione. Una diversa interpretazione, volta a riaffermare la necessaria duplicità delle forme di finanziamento anche per il periodo successivo al 2017, priverebbe, dunque, la riforma normativa del suo effetto utile, volto, come emergente dall’evoluzione storica della disciplina positiva, ad assicurare la transizione da un sistema di contribuzione incentrato su una compartecipazione statale obbligatoria ad uno fondato su una compartecipazione statale meramente eventuale».
15. È infondato il terzo motivo di appello che fa leva sulla asserita non assoggettabilità di BRT al contributo attesa la peculiarità della sua posizione non riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 6 del d.lgs. 261/1999 (secondo l’appellante il contributo deve essere versato solo da chi svolge attività di offerta al pubblico).
La Corte di Giustizia UE (sempre con la sentenza del 7 settembre 2023, nella causa C-226/22) ha chiarito che è ben possibile imporre in modo uniforme, all’insieme degli operatori del settore postale, un obbligo di contribuire al finanziamento dei costi operativi dell’Autorità di regolazione senza tener conto dell’intensità delle attività di regolamentazione e di monitoraggio svolte in relazione ai diversi tipi di servizi postali e senza operare alcuna distinzione, a tal fine, tra fornitori del servizio postale universale e operatori di corriere espresso, purché l’obbligo imposto da tale normativa a detti operatori sia trasparente, accessibile, preciso e univoco, e purché esso sia reso pubblico anticipatamente e sia basato su criteri oggettivi.
La Corte ha precisato che proprio un’imposizione uniforme consente di preservare la garanzia del finanziamento.
Ai fini della assoggettabilità al contributo, pertanto, non è rilevante distinguere tra fornitori del servizio postale universale e operatori di corriere espresso (e, all’interno di questi ultimi, tra operatori che svolgono attività di offerta al pubblico e operatori che non svolgono attività di offerta al pubblico): tutti indistintamente sono soggetti al contributo.
Mette conto notare, peraltro, che al contrario di quanto sostenuto dall’appellante, la giurisprudenza non riserva una posizione particolare agli operatori che non svolgono attività di offerta al pubblico: cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 settembre 2022 n. 7980.
16. Con il quarto motivo di appello parte appellante censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sull’istanza istruttoria presentata da BRT in primo grado in vista dell’udienza di merito del 20 maggio 2020, resasi necessaria in quanto, AGCOM, nel giudizio de quo, non ha provveduto a produrre parte della stessa (in particolare: la Relazione tecnica-finanziaria richiamata nel parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23 novembre 2018).
Su tale motivo si tornerà più avanti nel quadro di un ragionamento più generale che si andrà a svolgere.
17. È infondato il quinto motivo di appello con il quale si chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto adeguate ed esaurienti l'istruttoria e la motivazione che sorreggono la delibera 528/18/CONS.
L’appellante ritiene che l’Autorità debba dare agli operatori del settore una analitica dimostrazione delle singole voci di costo: BRT si spinge ad elencare tutte le attività che AGCOM dovrebbe porre in essere quando formula un bilancio di previsione.
Ma non esiste una base normativa che fondi queste argomentazioni. Esistono precise normative (si veda la delibera AGCOM 17/98, del 16 giugno 1998, recante “Approvazione dei regolamenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento, la gestione amministrativa e la contabilità ed il trattamento giuridico ed economico del personale dell’Autorità” e in particolare l’Allegato B recante “Regolamento concernente la gestione amministrativa e la contabilità dell’Autorità”) che disciplinano le modalità di formazione e approvazione del bilancio dell’Autorità (peraltro non impugnate in questa sede). Tali normative definiscono le modalità utili a determinare il volume delle entrate e le tipologie di spesa.
Inoltre la legge prevede il procedimento che porta alla approvazione della delibera che annualmente fissa l’entità del contributo (art. 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Nelle norme appena richiamate non è dato rinvenire alcun elemento che dia conforto alla tesi di parte appellante.
Come si è detto, non esistono norme che attribuiscono a chi è soggetto a contributo il diritto di sindacare come è strutturato il bilancio ovvero di sindacare aspetti quale la dimensione dell’Autorità, il numero di risorse umane necessarie e simili, salvo il caso di scelte manifestamente erronee o sproporzionate e previa impugnazione degli atti fonte che disciplinano il bilancio o le politiche assunzionali dell’Autorità.
Nel caso di specie la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia hanno posto in essere il procedimento tipico previsto per l’approvazione della delibera dell’Autorità che fissa l’entità del contributo.
Dall’esame degli atti procedimentali emerge come la delibera sia stata oggetto di vaglio sostanziale da parte dei competenti Dipartimenti tecnici del MEF (in particolare si veda la nota della Ragioneria Generale dello Stato del 23/11/2018 prodotta in primo grado allegato 009 alla memoria del 27/11/2019) e come, all’esito delle positive valutazioni degli stessi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ne abbia ammesso l’esecutività.
Di certo non emergono elementi di palese illogicità o evidente sproporzione che soli avrebbero potuto portare questo Collegio a stigmatizzare l’attività istruttoria svolta, che invece appare legittima e motivata.
È appena il caso di rilevare che sarebbe spettato alla parte appellante dimostrare illogicità e sproporzione delle diverse poste economiche, ma tale dimostrazione non è stata neanche abbozzata.
Conviene anche ricordare che la Corte di Giustizia UE (sempre con la sentenza del 7 settembre 2023, nella causa C-226/22) ha chiarito che, mediante il contributo richiesto agli operatori postali, possono essere coperti tutti i “costi operativi” dell’Autorità che “sono funzionali all’esercizio delle loro competenze di regolamentazione del settore postale”.
18. È infondato il sesto motivo di appello con il quale si chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’esonero dalla contribuzione in favore dell'Autorità per le imprese in crisi e per quelle con fatturato inferiore a 100.000,00 euro.
L’art. 1, comma 66, l. 266/2005 (richiamato dall’art. 65 della l. 50/2017) attribuisce all’Autorità il potere discrezionale di stabilire “le eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione”.
Nella specie l’esenzione appare ragionevole. È coerente con il meccanismo tributario di contribuzione e con il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. Inoltre non ha un impatto significativo in grado di influire in maniera apprezzabile sugli altri operatori.
19. È infondato il settimo motivo di appello con il quale si sostiene che la fondatezza delle censure presupposte, afferenti alla delibera n. 528/18/CONS, comporta la fondatezza del sesto, del nono e dell'undicesimo motivo di ricorso.
Per le ragioni esposte in via generale e fino ad ora è da escludere la fondatezza delle censure proposte avverso gli atti presupposti per cui nessuna illegittimità derivata affligge gli ulteriori atti impugnati con i motivi quinto, sesto e settimo.
20. È infondato l’ottavo motivo di appello che stigmatizza l’approvazione del bilancio di previsione da parte dell’AGCOM (delibera n. 603/18/CONS) avvenuta ignorando i rilievi negativi contenuti nel parere reso dalla Commissione di Garanzia in data 7 dicembre 2018.
La Commissione ha fornito un parere positivo senza imporre alcuna modifica o integrazione, talché non sussisteva alcun obbligo di motivare la scelta di mantenere fermo l’impianto della delibera di previsione di bilancio. Diversamente, l’Autorità non avrebbe potuto adottare la delibera.
Il profilo è stato correttamente colto dal primo giudice che in motivazione sul punto ha affermato che proprio il citato parere, pur suggerendo all’Autorità, sul piano dell’opportunità, l’adozione, nel futuro, di condotte maggiormente oculate e parsimoniose con riguardo a specifiche voci di spesa, resta un parere positivo che non impone né rettifiche né integrazioni (naturalmente la questione assume evidenza amministrativa in considerazione della esistenza di una riserva di legge relativa altrimenti le scelte relative al contributo sarebbero tutte consegnate alla fonte primaria ossia ad un giudizio eminentemente politico ma tale evidenza amministrativa della scelta è sindacabile nei limiti della sindacabilità degli atti di alta amministrazione). La nozione di atto politico – in disparte le scelte operate dal Parlamento per legge - non riceve una delimitazione diretta ad opera della legge. In effetti, è stato l'andamento della giurisprudenza, anche se non sempre lineare e coerente, a precisarne i termini. Deve, peraltro, escludersi che gli atti politici costituiscano un numero chiuso e predeterminato dal diritto positivo, poiché deve invece farsi riferimento, per la loro perimetrazione, ai due generali criteri di individuazione rinvenibili nella necessità che gli atti siano emanati dagli organi costituzionali (apicali) dello Stato nell' esercizio delle loro superiori funzioni di governo (criterio soggettivo); nell' esigenza che essi si connotino per essere atti «liberi nel fine», fatto salvo il solo rispetto delle norme e dei principi costituzionali (criterio oggettivo-funzionale). In altri termini, gli atti politici costituiscono espressione di libertà (di azione politica) che spetta, sulla base della Costituzione, ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie e indivisibili a questo inerenti e sono liberi nella scelta dei fini, diversamente dagli atti amministrativi che, anche ove connotati da assai ampia discrezionalità (si pensi ai c.d. atti di alta amministrazione), devono comunque rispettare i limiti e le finalità poste dalla legge e, pertanto, sono soggetti al sindacato giurisdizionale di legittimità imposto dall' art. 113 Cost.. Ne consegue che l’atto generale di determinazione del contributo dell’AGCOM è un atto di alta amministrazione che integra – per opera della riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost. – la fonte legislativa specificando e concretizzando alcuni presupposti della pretesa tributaria, e conservando una connotazione ampiamente discrezionale proprio per detta funzione integrativa. Il sindacato giurisdizionale in questo quadro, pur avendo primariamente natura estrinseca e formale, può essere esercitato sul corretto esercizio del potere solo con riferimento alla verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia non affetta da vizi di manifesta irragionevolezza o sproporzione.
21. È infondato il nono motivo di appello con il quale si chiede la riforma della sentenza impugnata, anche nella parte in cui ha respinto il dodicesimo motivo sollevato con il secondo ricorso per motivi aggiunti presentati avverso la documentazione istruttoria depositata da AGCOM successivamente all’instaurazione del giudizio.
21.1 Si è già detto in precedenza che compito del Collegio è solo quello di valutare eventuali palesi illogicità negli atti che hanno portato all’adozione degli atti impugnati.
Il Ministero (che non è l’Autorità) ha ritenuto attendibili i dati forniti e sufficienti a formulare un giudizio positivo sugli esiti raggiunti.
Correttamente, pertanto, il primo giudice ha osservato che la quantificazione dei costi da finanziare, per il settore postale, si basa su una stima dei costi futuri.
Peraltro le censure si limitano ad esporre dei generici dubbi di congruenza su di una serie di voci, senza però pervenire alla allegazione di elementi probatori precisi a supporto di quanto dedotto a sostegno del motivo che ne dimostrino la insussistenza.
21.2 Parte appellante insiste nell’affermare che i competenti Dipartimenti ministeriali non avrebbero compiuto l’istruttoria che ad avviso della stessa appellante avrebbero dovuto condurre.
Di certo non emergono elementi di palese illogicità o evidente sproporzione che soli avrebbero potuto portare questo Collegio a stigmatizzare l’attività istruttoria svolta, che invece appare, quando non preclusa da omessa impugnativa di atti presupposti, legittima e motivata (come quella relativa al dimensionamento dei costi del personale che potrebbero essere rivisti ad esempio con apposite scelte legislative da operarsi a monte sul modello organizzativo dell’ente al fine di ottenerne uno snellimento e non in sede di redazione di un bilancio previsionale che “fotografa” scelte legislative ed amministrative incontestate e stratificatesi nel tempo: in proposito la nota del Ragioniere Generale fa riferimento significativamente riferimento alla rendicontazione economico-analitica del 2017 come base per la stima dei costi finanziabili a contributo e la tabella allegata al bilancio di previsione 2019 le dettaglia).
È appena il caso di rilevare che sarebbe spettato alla parte appellante dimostrare illogicità e sproporzione delle diverse poste economiche, ma tale dimostrazione non è stata neanche abbozzata. Né la parte privata ha chiesto un accesso a tale documentazione contabile del 2017 quindi risalente nel tempo ma si è limitata a porre interrogativi del tutto astratti su del tutto ipotetici criteri di calcolo che sarebbero stati adottati per la stima dei costi del personale, consolidati in pregressi documenti contabili.
Né tale documentazione pregressa – posta a fondamento delle stime e contestata solo con il tredicesimo motivo aggiunto in primo grado riproposto in appello – va necessariamente acquisita.
Giova ricordare che l’indicazione sommaria della spesa annuale complessiva a carico del settore di riferimento, ha evidenziato come “nel settore postale non è rinvenibile un obbligo di pubblicazione del rendiconto analitico, simile a quello sancito per il settore delle comunicazioni elettroniche dall’art. 34, comma 2–ter, del d.lgs. n. 259/2003, va osservato che le modalità con le quali l’Autorità ha calcolato l’ammontare presunto dei costi operativi derivanti dal funzionamento dell’Autorità per la regolamentazione del mercato in questione per il 2022 [e il 2023] sono indicate nella nota della Ragioneria Generale [...]. In particolare, la Ragioneria, nell’esaminare la relazione tecnico–finanziaria predisposta dall’Autorità, ha rilevato che la stima della spesa in questione è stata elaborata sulla base dei costi diretti, relativi alle strutture operative (“core”), precipuamente dedicate allo svolgimento dei compiti (regolatori, di vigilanza e di controllo) afferenti al mercato dei servizi postali, quantificati in euro (...); nonché sulla base dei “costi indiretti sostenuti dalle c.d. “strutture trasversali”, amministrative e di indirizzo, la cui attività è funzionale allo svolgimento di tutte le competenze istituzionali, valutate in (...)milioni di euro.
Una siffatta modalità di stima risulta conforme rispetto all’interpretazione resa dalla Corte di Giustizia dell’“l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, quarto trattino, della direttiva 97/67, in combinato disposto con l’articolo 22 di tale direttiva, … nel senso che la nozione di “costi operativi” di cui alla prima di tali disposizioni comprende, da un lato, i costi sostenuti dalle ANR del settore postale per le loro attività di regolamentazione relative ai servizi postali esulanti dall’ambito di applicazione del servizio universale e, dall’altro, i costi generati dalle attività di tali ANR che, pur non essendo direttamente connesse ai compiti di regolamentazione di queste ultime, sono funzionali all’esercizio delle loro competenze di regolamentazione del settore postale”.
In sintesi: per un verso la rendicontazione è un atto meramente dichiarativo come tale non impugnabile e, per altro verso, su eventuali sovradimensionamenti ritenuti sproporzionati rilevano scelte pregresse a suo tempo non impugnate e non sindacabili in questa sede.
21.3 Quanto all’asserita incompetenza, il Collegio condivide quanto affermato dal primo giudice: l’ambito delle deleghe di firma conferite a e il riferimento esplicito ai compiti relativi alle Autorità amministrative indipendenti consentivano pienamente l’intervento espletato.
Si legge, infatti, nel d.p.c.m. del dicembre 2016 - recante le deleghe conferite - che: «Alla Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri onorevole avv. Maria Elena Boschi, è delegata la firma dei decreti, degli atti e dei provvedimenti di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri, ad esclusione di quelli che richiedono una preventiva deliberazione del Consiglio dei ministri. Sono anche esclusi gli atti e i provvedimenti relativi alle attribuzioni di cui all'articolo 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400. La Sottosegretaria di Stato è, altresì, delegata ad autorizzare l'impiego degli aeromobili di Stato. 2. Alla Sottosegretaria di Stato onorevole avv. Maria Elena Boschi è, altresì, conferita delega ad esercitare le funzioni di cui all'articolo 19, comma 1, lettera r), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e i compiti relativi alle autorità amministrative indipendenti».
22. Quanto detto nel rigettare il nono motivo di appello fonda anche il rigetto del quarto motivo di appello con il quale si censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sull’istanza istruttoria.
La documentazione pregressa – posta a fondamento delle stime – non deve essere necessariamente tutta acquisita al processo.
Il giudice deve verificare se i procedimenti di approvazione degli atti (quantificazione del fabbisogno e fissazione della misura del contributo) siano stati osservati e se i soggetti coinvolti abbiano espresso ritualmente le proprie determinazioni per quanto di competenza, al fine di appurare che non vi siano palesi illogicità ovvero palesi sproporzioni. Per far questo non è necessario acquisire tutti gli atti endoprocedimenali specie quando non vi sono elementi che lascino presagire l’effettiva esistenza di decisioni illogiche.
Il mancato accoglimento della richiesta istruttori avanzata in primo grado non ha in alcun modo leso il diritto di difesa.
23. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Marco Poppi, Consigliere
Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Giovanni Pascuzzi |
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Giancarlo Montedoro |
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IL SEGRETARIO
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