Pubblicato il 15/10/2024
N. 08245/2024 REG.PROV.COLL.
N. 03532/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3532 del 2024, proposto da
Across Fiduciaria S.p.A., Galvani Fiduciaria S.r.l. e Sfo Fiduciaria S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli Avvocati Guido Battagliese, Antonio Pazzaglia, Igor Valas, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ministero delle Imprese e del Made in Italy in persona dei Ministri pro tempore e Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale sono ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Unioncamere (Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura) e Infocamere Scpa, non costituite in giudizio;
nei confronti
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Salvatore Scafetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi e Camera di Commercio di Bologna, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) n. 06837/2024, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del Garante per la Protezione dei Dati Personali e della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma;
Vista l’ordinanza cautelare n, 1851 del 16 maggio 2024;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
1. INQUADRAMENTO DELLA VICENDA CONTENZIOSA
Across Fiduciaria S.p.A., Galvani Fiduciaria S.r.l. e Sfo Fiduciaria S.r.l. sono Società fiduciarie autorizzate all’esercizio della relativa attività ai sensi della L. n. 1966/1939 recante «Disciplina delle società fiduciarie e di revisione» e del D.M. del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato del 16 gennaio 1995 recante «Elementi informativi del procedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza».
Nella presente vicenda processuale le suddette Società contestano i provvedimenti (di seguito elencati e brevemente illustrati) con i quali lo Stato Italiano le riconduceva alla tipologia degli «istituti affini al trust» con conseguente assoggettamento agli obblighi di informazione circa la titolarità effettiva previsti dall’art. 31 della Direttiva UE 2015/849 (c.d. IV Direttiva Antiriciclaggio), nel testo risultante dalle modifiche apportate con la Direttiva 2018/843 (c.d. V Direttiva Antiriciclaggio).
Detta assimilazione veniva introdotta a seguito delle modifiche da ultimo richiamate che estendevano gli obblighi originariamente previsti a carico dei «fiduciari di trust espressi» disciplinari dal diritto nazionale (art. 31, par. 1) nei confronti di «altri tipi di istituti giuridici, quali, tra l’altro, fiducie, determinati tipi di Treuhand o fideicomiso, quando tali istituti hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust» (art. 31, para. 8).
Alle Autorità nazionali era richiesto di individuare tale ulteriore categoria di soggetti notificando alla Commissione «le categorie, la descrizione delle caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica dei trust e degli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 entro il 10 luglio 2019» (art. 31, para. 10) in vista della successiva pubblicazione del relativo elenco sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea da effettuarsi entro il 10 settembre successivo, previa ricognizione dell’Istituzione europea chiamata a compendiare le proprie valutazioni in una relazione.
In ottemperanza alle richiamate disposizioni la Repubblica Italiana effettuava la prescritta notifica ricomprendendo fra gli «istituti affini al trust» il «mandato fiduciario» e il «vincolo di destinazione».
Come si esporrà più compiutamente, le Società lamentavano dinanzi al Tar, con deduzioni riproposte dinanzi al Consiglio Stato a seguito dell’integrale rigetto del ricorso di primo grado, la contrarietà della disciplina nazionale con la disciplina antiriciclaggio unionale (anche quest’ultima oggetto di contestazione nella misura in cui veniva adottata ricorrendo allo strumento della Direttiva in luogo del Regolamento).
2. CONTESTO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
Ai fini di un corretto inquadramento della presente fattispecie si rende necessario sin d’ora un sintetico richiamo alla disciplina di settore.
2.1 LA NORMATIVA UNIONALE
Gli obblighi di comunicazione delle informazioni circa la titolarità effettiva venivano introdotti dall’art. 31 della Direttiva UE n. 2015/849 «Prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo» che, nel testo originario, limitava il proprio ambito di applicazione ai «fiduciari di trust espressi» (art. 31, para. 1) contemplando tuttavia (successivo para. 8) la possibilità di ampliamento del proprio ambito di applicazione soggettivo disponendo che «gli Stati membri provvedono affinché le misure previste dal presente articolo si applichino ad altri tipi di istituti giuridici che hanno assetto o funzioni analoghi a quelle dei trust».
La norma (nel testo vigente al momento dell’adozione degli atti impugnati) prevedeva che «gli Stati membri assicurano che il presente articolo si applichi ai trust e ad altri tipi di istituti giuridici, quali, tra l'altro, fiducie, determinati tipi di Treuhand o fideicomiso, quando tali istituti hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust. Gli Stati membri definiscono le caratteristiche in base alle quali determinare se un istituto giuridico ha assetto o funzioni affini a quelli dei trust per quanto riguarda tali istituti giuridici disciplinati ai sensi del diritto nazionale».
Veniva altresì disposto che le informazioni oggetto di comunicazione includessero l’identità «a) del costituente o dei costituenti; b) del “trustee” o dei “trustee”; c) del guardiano o dei guardiani (se esistono); d) dei beneficiari o della classe di beneficiari; e) delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust» (art. 31 para 1).
Ai sensi del para. 3 bis dell’art. 31 «gli Stati membri prescrivono che le informazioni sulla titolarità effettiva di trust espressi e istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 siano contenute in un registro centrale dei titolari effettivi istituito dallo Stato membro in cui è stabilito o risiede il trustee del trust o la persona che ricopre una posizione equivalente in un istituto giuridico affine».
L’esigenza che rendeva necessaria la modifica in questione è specificata al considerando 29 nella necessità di «stabilire chiaramente quali istituti giuridici stabiliti nell'Unione dovrebbero essere considerati simili ai trust sulla base delle loro funzioni o del loro assetto. Pertanto, ogni Stato membro dovrebbe essere tenuto a identificare i trust, se riconosciuti dal diritto nazionale, e gli istituti giuridici affini che possono essere istituiti conformemente al quadro giuridico o alle consuetudini nazionali e che hanno assetto o funzioni analoghi a quelli dei trust, quale la possibilità di separare o scindere la titolarità giuridica dalla titolarità effettiva delle attività. Dopodiché, gli Stati membri dovrebbero notificare alla Commissione le categorie, la descrizione delle caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica dei suddetti trust e istituti giuridici affini, in vista della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, per consentire l'identificazione di tali trust e istituti da parte degli altri Stati membri. È opportuno tener conto del fatto che, all'interno dell'Unione, i trust e gli istituti giuridici affini possono presentare caratteristiche giuridiche diverse. Se un trust o un istituto giuridico affine presenta caratteristiche comparabili, in termini di assetto o funzioni, a quelle di una società o di altri soggetti giuridici, l'accesso pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva può contribuire a contrastare il suo uso improprio, così come l'accesso pubblico può contribuire a prevenire l'uso improprio delle società e di altri soggetti giuridici per riciclare denaro e finanziare il terrorismo».
Le notifiche da parte degli Stati membri era previsto intervenissero entro il 10 luglio 2019 in vista della pubblicazione, da parte della Commissione europea, dell’elenco consolidato dei trust e istituti giuridici affini in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea entro il 10 settembre 2019.
Con relazione da presentare al Parlamento e al Consiglio europeo entro il 26 giugno 2020, la Commissione doveva esprimersi valutando se tutti i trust e gli istituti giuridici affini disciplinati ai sensi del diritto degli Stati membri fossero stati debitamente individuati e assoggettati agli obblighi stabiliti dalla Direttiva.
In ossequio alle illustrate norme europee, la Repubblica Italiana, come anticipato, individuava quali istituti giuridici affini al trust da assoggettare alla disciplina antiriciclaggio il mandato fiduciario di diritto continentale e il vincolo di destinazione: indicazione recepita dalla Commissione che inseriva detti istituti nell’«Elenco dei trust e degli istituti giuridici affini disciplinati ai sensi del diritto degli Stati membri quali notificati alla Commissione».
Sul versante dei soggetti abilitati ad accedere ai dati in questione, l’art. 31 para. 4 della Direttiva (come modificata nel 2018) prevedeva che «le informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine siano accessibili in ogni caso: a) alle autorità competenti e alle FIU, senza alcuna restrizione; b) ai soggetti obbligati, nel quadro dell’adeguata verifica della clientela a norma del capo II; c) a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse; d) a qualunque persona fisica o giuridica che faccia una richiesta scritta in relazione a un trust o a un istituto giuridico affine che detiene una partecipazione di controllo in una società o in un altro soggetto giuridico diverso da quelli di cui all’articolo 30, paragrafo 1, attraverso il possesso, diretto o indiretto, anche tramite azioni al portatore, o attraverso il controllo con altri mezzi».
Nelle more del giudizio, e precisamente il 10 luglio 2024, entravano in vigore la VI Direttiva Antiriciclaggio n. 1640/2024 e il Regolamento n. 1624/2024.
La sopravvenienza in questione, a parere delle appellanti, rileverebbe ai fini della presente decisione poiché opererebbe una distinzione fra trust ed istituti affini da un lato ed i nominee agreement dall’altro, superando le precedenti valutazioni espresse dalla Commissione europea, rappresentando pertanto un ausilio interpretativo della normativa vigente (si sostiene si tratti di interpretazione autentica).
Si anticipa che non si condivide tale impostazione trattandosi di atto normativo, semmai innovativo e non interpretativo della disciplina preesistente.
2.2 LA DISCIPLINA NAZIONALE
A livello nazionale la materia trova disciplina nel D.lgs. n. 231/2007 (Decreto antiriciclaggio) novellato con D. Lgs. n. 125/2019, attuativo delle Direttive di emanazione europea.
Ai sensi dell’art. 21, comma 3, «i trust produttivi di effetti giuridici rilevanti a fini fiscali, secondo quanto disposto dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986 n. 917 nonché gli istituti giuridici affini stabiliti o residenti sul territorio della Repubblica italiana, sono tenuti all'iscrizione in apposita sezione speciale del Registro delle imprese. Le informazioni di cui all'articolo 22, comma 5, relative alla titolarità effettiva dei medesimi trust e degli istituti giuridici affini, stabiliti o residenti sul territorio della Repubblica italiana sono comunicate, a cura del fiduciario o dei fiduciari, di altra persona per conto del fiduciario o della persona che esercita diritti, poteri e facoltà equivalenti in istituti giuridici affini, per via esclusivamente telematica e in esenzione da imposta di bollo, al Registro delle imprese, ai fini della relativa conservazione. L'omessa comunicazione delle informazioni sul titolare effettivo è punita con la medesima sanzione di cui all'articolo 2630 del codice civile».
L’art. 22, comma 5 bis, sempre nel testo novellato nel 2019, dispone che «per le finalità di cui al presente decreto, si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine».
Quanto all’accesso, ai sensi dell’art. 21, comma 4 lett. d) bis «i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, qualora abbiano evidenze concrete e documentate della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale. L'interesse deve essere diretto, concreto ed attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non deve coincidere con l'interesse di singoli appartenenti alla categoria rappresentata. In circostanze eccezionali, l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva può essere escluso, in tutto o in parte, qualora l'accesso esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione ovvero qualora il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d’età, secondo un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze. I dati statistici relativi al numero delle esclusioni deliberate e alle relative motivazioni sono pubblicati e comunicati alla Commissione europea con le modalità stabilite dal decreto di cui al comma 5».
L’inclusione del mandato fiduciario di diritto continentale e del vincolo di destinazione di cui all’art. 2645 ter del codice civile veniva notificata, come già esposto, dalla Presidenza del Consiglio con comunicazione del 16 luglio 2019 indirizzata alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione Europea.
In attuazione della illustrata disciplina il Ministero dell’Economia e delle Finanza (di seguito MEF), con D.M. n. 55 dell’11 marzo 2022, approvava il «Regolamento recante disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini al trust» contenente disposizioni tese a «prevenire e contrastare l'uso del sistema economico e finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo» (di seguito Regolamento).
La fonte individua gli istituti affini negli enti e istituti «che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine, secondo l'articolo 22, comma 5 bis, del decreto antiriciclaggio» (art. 1, lett. g).
Il Regolamento «al fine di prevenire e contrastare l'uso del sistema economico e finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, detta disposizioni, da attuarsi con modalità esclusivamente telematiche:
a) in materia di comunicazione all'ufficio del registro delle imprese dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti a fini fiscali e istituti giuridici affini al trust per la loro iscrizione e conservazione nella sezione autonoma e nella sezione speciale del registro delle imprese;
b) in materia di accesso ai dati e alle informazioni da parte delle Autorità, dei soggetti obbligati, del pubblico e di qualunque persona fisica o giuridica, ivi compresa quella portatrice di interessi diffusi;
c) per individuare e quantificare i diritti di segreteria rispetto ai soggetti diversi dalle Autorità;
d) per garantire la sicurezza del trattamento dei dati e delle informazioni» (art. 2).
Ai sensi del successivo art. 7 comma 1 (attuativo dell’art. 21, comma 2 lett. f) e comma 4 lett. d) bis del Decreto Antiriciclaggio) «i dati e le informazioni sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica e delle persone giuridiche private, presenti nella sezione autonoma del registro delle imprese, sono accessibili al pubblico a richiesta e senza limitazioni, salvo che nella comunicazione di cui all'articolo 4 risulti l'indicazione di cui al comma 1, lettera e), dello stesso articolo. L'accesso del pubblico ha ad oggetto il nome, il cognome, il mese e l'anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo e le condizioni da cui deriva lo status di titolare effettivo, ai sensi dell'articolo 20 del decreto antiriciclaggio».
Il richiamato art. 4, comma 1, lett. e) prevede che «l’eventuale indicazione delle circostanze eccezionali, ai fini dell'esclusione dell'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, lettera f), secondo periodo, e comma 4, lettera d-bis), terzo periodo, del decreto antiriciclaggio, nonché l'indicazione di un indirizzo di posta elettronica per ricevere le comunicazioni di cui all'articolo 7, comma 3, nella qualità di controinteressato».
L’operatività del sistema ivi delineato era subordinata ad una Attestazione ministeriale da pubblicarsi nel termine di 60 giorni (art. 3, comma 6).
Dalla pubblicazione dell’Attestazione decorreva l’ulteriore termine di 60 giorni entro il quale dovevano essere assolti gli obblighi di «comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva» a cura delle «imprese dotate di personalità giuridica e le persone giuridiche private, la cui costituzione sia successiva alla data del provvedimento del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 6» (art. 3, comma 7).
Ai sensi dell’art. 11;
- «la Camera di commercio territorialmente competente a ricevere le comunicazioni dei dati e delle informazioni ai sensi dell'articolo 3 e dell'articolo 4, è titolare del trattamento degli stessi ai sensi e per gli effetti della normativa vigente» (comma 1);
- «i dati e le informazioni di cui al comma 1, sono resi disponibili nella sezione autonoma e nella sezione speciale del registro delle imprese in conformità con quanto disposto dal presente decreto e per un periodo di dieci anni decorrente o dall'ultima comunicazione della loro variazione o dall'ultima conferma annuale» (comma 2);
- «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e, in ogni caso, prima del trattamento dei dati, il gestore, per conto del titolare del trattamento, predispone un disciplinare tecnico, sottoposto alla verifica preventiva del Garante per la protezione dei dati personali, volto a definire misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, ai sensi dell'articolo 32 del regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e della vigente normativa nazionale in materia di protezione dei dati personali» (comma 3).
Con D.M. 16 marzo 2023 interveniva la «Approvazione dei modelli per il rilascio di certificati e copie anche digitali relativi alle informazioni sulla titolarità effettiva» e con successivo D.M. 20 aprile 2023 venivano approvati gli «importi dei diritti di segreteria».
Con D.M. 12 aprile 2023 venivano approvate le «specifiche tecniche del formato elettronico della comunicazione unica d'impresa».
La «Attestazione dell'operatività del sistema di comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva» veniva dottata D.M. del 29 settembre 2023.
Unioncamere, individuata come soggetto gestore del sistema per conto delle Camere di Commercio deputate al trattamento dei dati, acquisito il parere del Garante per la Protezione dei Dati Personali, pubblicava il 6 ottobre 2022 il «Disciplinare tecnico sulla sicurezza del trattamento dei dati sulla titolarità effettiva».
Seguiva in data 10 ottobre 2023, a cura di Unioncamere, la pubblicazione del «Manuale operativo per l’invio telematico delle comunicazioni del titolare effettivo agli uffici del registro delle imprese».
3. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
3.1. IL RICORSO DINANZI AL TAR PER IL LAZIO
Con ricorso iscritto al n. 15247/2023 le Società impugnavano dinanzi al Tar per il Lazio i provvedimenti con i quali l’amministrazione, sulla presupposta qualificazione del mandato fiduciario in termini di istituto giuridico affine al trust, le assoggettava al regime di comunicazione e accesso alle informazioni relative alla titolarità effettiva di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 231/2007 attuativo della IV e V Direttiva (di seguito più genericamente Direttiva).
In particolare venivano censurati:
- il Decreto del Direttore Generale (DDG) del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (di seguito MIMIT) del 29 settembre 2023 recante «Attestazione dell’operatività del sistema di comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva»;
- il D.M. del MIMIT 16 marzo 2023 recante «Approvazione dei modelli per il rilascio di certificati e copie anche digitali relativi alle informazioni sulla titolarità effettiva»;
- il D.M. del MIMIT del 20 aprile 2023 recante «Approvazione degli importi dei diritti di segreteria di cui all'articolo 8, co 1, del decreto 11 marzo 2022, n. 55»;
- il D.M. del Ministero dell’Economica e delle Finanze (di seguito MEF) dell’11 marzo 2022 n. 55 recante «Regolamento recante disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini al trust»;
- la comunicazione richiamata nelle premesse del citato D.M. 16 marzo 2023 con la quale «il Governo Italiano ha indicato, tra gli istituti assimilabili ai trust, l’istituto del mandato fiduciario»;
- la nota prot. n. 749 del 24 gennaio 2022 della Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito PDC) richiamata nel Regolamento (asseritamente non conosciuta);
- il Decreto Direttoriale (DD) del MIMIT del 12 aprile 2023 recante «Approvazione delle specifiche tecniche del formato elettronico della comunicazione unica d'impresa»;
- il «Disciplinare tecnico sulla sicurezza del trattamento dei dati sulla titolarità effettiva», predisposto da Infocamere ai sensi dell’art. 11, comma 3, del Regolamento e del relativo «Schema di disciplinare»;
- i pareri del Garante della Protezione dei Dati (di seguito Garante) n. 2 del 14 gennaio 2021, n. 316 del 6 ottobre 2022 e n. 397 del 14 settembre 2023;
- il Manuale operativo pubblicato il 18 ottobre 2023 da Unioncamere recante le istruzioni per l’invio telematico dei dati.
Il ricorso veniva sviluppato formulando tre capi di impugnazione.
Con il primo motivo le parti ricorrenti deducevano l’illegittimità dell’inclusione del «mandato fiduciario delle società fiduciarie» tra gli istituti giuridici affini al trust operata dal Governo italiano con notifica alla Commissione del 16 luglio 2019: indicazione recepita nell’elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale UE 2019/C 360/05) in preteso contrasto con quanto disposto dall’art. 31, para 10. della Direttiva ove prevede che «gli Stati membri notificano alla Commissione le categorie, la descrizione delle caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica dei trust e degli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 entro il 10 luglio 2019. La Commissione pubblica l’elenco consolidato di tali trust e istituti giuridici affini nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea entro il 10 settembre 2019. Entro il 26 giugno 2020 la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio in cui valuta se tutti i trust e gli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 disciplinati ai sensi del diritto degli Stati membri siano stati debitamente individuati e assoggettati agli obblighi stabiliti nella presente direttiva. Ove opportuno, la Commissione adotta le misure necessarie per intervenire in base alle conclusioni di detta relazione».
Le ricorrenti negavano che l’istituto disciplinato in Italia dal D.M. 16 gennaio 1995 avesse assetto e funzioni tali da determinare effetti giuridici equivalenti al trust ed esponevano in particolare che il mandato fiduciario notificato dal Governo veniva inserito dalla Commissione sul presupposto che fosse stato individuato dallo Stato Italiano e assoggettato agli obblighi di cui alla Direttiva in quanto comportante il trasferimento della piena e dei pieni poteri di gestione in capo al fiduciario: presupposto errato atteso che l’istituto in questione prevede che la proprietà resti in capo al fiduciante e che il fiduciario eserciti il potere gestorio nel rispetto delle istruzioni ricevute.
Sotto altro profilo, era lamentata l’erroneità dell’indicazione del mandato fiduciario essendo affatto diversi gli effetti per assetto funzioni e scopo poiché «il fiduciario è solo intestatario meramente formale dei beni, dei quali resta e permane proprietario sostanziale il mandante. Il fiduciario, poi, opera solo ed esclusivamente previa istruzione scritta del mandante».
Un ulteriore profilo di illegittimità veniva rinvenuto nella circostanza che l’individuazione del mandato fiduciario avvenisse in assenza di una specifica definizione normativa di diritto interno che, si sostiene, non potrebbe essere rinvenuta nel testo dell’art. 22, comma 5 bis del D. Lgs. n. 231/2007 (norma attuativa dell’art. 31, para. 10 della Direttiva laddove impone agli Stati membri di definire «caratteristiche in base alle quali determinare se un istituto giuridico ha assetto o funzioni affini a quelli dei trust») a norma del quale «per le finalità di cui al presente decreto, si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell’interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine».
Con il secondo motivo le ricorrenti deducevano l’illegittimità del sistema di accesso ai dati e informazioni oggetto dell’obbligo di comunicazione lamentando che, in tema di accesso da parte dei soggetti obbligati (art. 2, para. 1, della Direttiva e art. 3 del Decreto antiriciclaggio), la normativa interna si limiterebbe a prevedere un accreditamento biennale che abilita il soggetto ad un libero accesso in assenza di ulteriori verifiche preventive o successive da effettuarsi caso per caso.
Con il terzo motivo censuravano l’attribuzione del potere di determinarsi in ordine alle richieste di accesso alle Camere di Commercio, ritenute essere enti non dotati dei necessari requisiti di imparzialità in quanto, pur rientrando nel novero degli enti pubblici, sarebbero rappresentativi di interessi di categoria e non potrebbero per tale ragione svolgere una funzione che per definizione deve essere esercitata secondo i canoni dell’imparzialità e terzietà.
Tale attribuzione in favore delle singole Camere di Commercio territorialmente competenti esporrebbe inoltre al rischio di una non uniforme applicazione della disciplina di settore.
A corollario dei formulati motivi di ricorso, le Società ricorrenti rappresentavano la necessità di operare il rinvio pregiudiziale a Codesta Corte di Giustizia allegando che la censurata normativa nazionale di recepimento della disciplina europea sconterebbe l’assorbente «illegittimità a monte dell’art. 31, paragrafo 4, lett. b), c) e d) della Direttiva unionale» declinata sotto due differenti profili.
Sotto un primo profilo (Punto A), veniva rilevata una «insanabile contraddizione logico-giuridica» della Direttiva nella parte in cui impone a tutti i Paesi dell’Unione l’istituzione del Registro dei Titolari Effettivi senza dettare contestualmente una disciplina unitaria, riconoscendo in tal modo un’autonomia regolamentare che, si afferma, determinerebbe l’esistenza sul territorio unionale di una pluralità di regimi non sempre conciliabili in una materia sensibile quale la tutela del diritto di riservatezza e protezione dei dati personali, con negativo impatto sull’esercizio delle libertà di circolazione e di stabilimento che l’Unione Europea dovrebbe garantire e significativo pregiudizio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Sotto un secondo profilo (Punto B), la disciplina nazionale si porrebbe i contrasto con i principi già affermati dalla Corte di Giustizia con sentenza del 22 novembre 2022 in cause riunite C-37/20 et C-601/20 (sulla quale ci si soffermerà di seguito) che dichiarava l’invalidità dell’art. 1, punto 15, lett. c), della Direttiva n. 2018/843 nella parte in cui aveva modificato l’art. 30, paragrafo 5, della Direttiva n. 2015/849 eliminando il riferimento al requisito del legittimo interesse (quale presupposto per l’esercizio dell’accesso) consentendo quindi un accesso generalizzato da parte del pubblico.
A parere delle Società ricorrenti con la sentenza in questione la Corte avrebbe ritenuto eccessivamente indeterminato il concetto di legittimo interesse sancendone l’inidoneità ad integrare il presupposto legittimante l’accesso ai dati.
In corso di giudizio (memoria depositata il 24 febbraio 2024) le Società evidenziavano profili di incompatibilità dell’impugnata disciplina nazionale con le tutele apprestate dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea agli artt. 7 e 8 in tema di «rispetto della vita privata e della vita familiare - protezione dei dati di carattere personale»; agli artt. 15 e 45 in tema di «libertà di stabilimento e circolazione» e agli artt. 20 e 41 in tema di «uguaglianza del diritto ad una buona amministrazione».
La «compatibilità eurounitaria» veniva contestata, sotto un primo profilo, rilevando che la Direttiva, nell’istituire il «Registro dei titolari effettivi», non avrebbe contestualmente dettato «una regolamentazione unitaria a valere per tutti i paesi dell’Unione» demandando all’autonomia di ciascuno Stato membro la normazione della materia, consentendo l’adozione di regimi nazionali differenti che determinerebbero un negativo impatto sulle libertà di circolazione e stabilimento da garantirsi in favore di tutti i cittadini, nonché, sull’effettività della tutela giurisdizionale del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali che non verrebbe garantita in termini equivalenti sull’intero territorio unionale.
Sotto altro profilo, evidenziavano la contrarietà della disciplina in questione ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza del 22 novembre 2022 che dichiarava l’invalidità della V Direttiva nella parte in cui, come anticipato, modificava l’art. 30 para. 5 della IV Direttiva consentendo un più ampio accesso del pubblico alle informazioni riferite ai titolari effettivi in virtù dell’espunzione dalla norma del riferimento al «legittimo interesse».
In particolare le ricorrenti deducevano che la Corte di Giustizia, richiamando le posizioni espresse in merito allo specifico tema dalla Commissione, avesse nell’occasione rilevato la genericità dl concetto di «legittimo interesse» che «difficilmente si presta a una definizione giuridica» (para.71) auspicando l’approdo ad una ridefinizione in termini più puntuali dello stesso tale da garantirne una interpretazione uniforme su tutto il territorio unionale.
Per le suesposte ragioni avanzavano istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione Europea ai sensi degli art. 19 comma 3° lett. b) del Trattato dell’Unione Europea e dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea formulando il seguente quesito:
«Se l’art. 31 della direttiva n. 2015/849, paragrafo 4, sia incompatibile con gli artt. 7, 8, 15, 20, 41 e 45 della Carta dei diritti fondamentali - e se sia ancor più incompatibile quanto prevedrebbe, se approvato, il progetto finale del pacchetto VI Direttiva – ST 6713 2024 INIT 16.2.2024 – non solo nella parte in cui, rimettendo ai singoli Stati membri di disciplinare l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, consente a chi opera da uno Stato membro meno rigoroso di acquisire dati sensibili da Registri tenuti da Stati membri più rigorosi] ma in particolare nella parte in cui, nei punti c) e d), l’assenza di una adeguata delimitazione del requisito del c.d, legittimo interesse legittimante qualsiasi persona fisica o giuridica all’accesso espone i soggetti registrati, oltre che alla violazione della riservatezza della vita privata loro e della famiglia, anche a pericoli quanto alla loro sicurezza».
In sintesi, il quesito riguarda due distinte questioni: la prima riferita alla scelta di normare la materia ricorrendo allo strumento della Direttiva in luogo del Regolamento; la seconda, relativa alla mancata delimitazione della posizione giuridica soggettiva legittimante l’accesso che sottende una critica alla mancata previsione di una verifica caso per caso del concreto interesse all’accesso, ammesso per i cc.dd. soggetti obbligati in virtù di un accreditamento biennale e per i cc.dd. soggetti legittimati sussistendo un «legittimo interesse».
3.2. LA SENTENZA DI PRIMO GRADO
Il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 6837 del 9 aprile 2024, ritenendo l’infondatezza di tutte le censure.
A parere del giudice di prime cure, attribuendo «la titolarità formale dei beni e la legittimazione all’esercizio di taluni diritti normalmente spettanti al proprietario ad un soggetto diverso dal proprietario stesso (la società fiduciaria)» il mandato fiduciario sortisce «quell’effetto pratico di mascheramento che è esattamente ciò che il legislatore europeo vuole contrastare con la previsione degli esposti obblighi informativi e comunicativi riguardanti la titolarità effettiva» (punto 8.4.2 della sentenza).
La previsione della «titolarità formale unitamente alla facoltà di esercitare i diritti che ne scaturiscono (…) sulla base delle istruzioni impartite dal fiduciante» mantenendo «in capo al mandante la titolarità effettiva del bene», connotano inoltre il mandato fiduciario «quanto ad assetto e funzioni» al trust ed il tratto comune fra i due istituti è rinvenibile «nel fatto che si tratta di due istituti entrambi finalizzati allo svolgimento di una attività di amministrazione di beni per conto terzi» (punto 8.4.4): circostanza che consente di ricondurre il mandato fiduciario alla definizione degli istituti affini di cui all’art. 22, comma 5 bis, del D. Lgs. n. 231/2007 (punto 8.5).
Nessun profilo di illegittimità veniva inoltre rilevato dal Tar in ordine al sistema di accesso da parte dei soggetti obbligati nei sensi invocati in ricorso posto che «né la direttiva né il decreto antiriciclaggio fanno cenno alla necessità di procedere ad una verifica, caso per caso, per ogni singola richiesta di accesso avanzata da un “soggetto obbligato» (punto 9.1.3) essendo tale verifica imposta unicamente, ai sensi dell’art. 31, para. 7 bis della fonte europea, nell’ipotesi in cui gli Stati membri si siano avvalsi della facoltà loro riconosciuta di introdurre specifiche deroghe all’accesso in presenza di circostanze eccezionali che, precisa il Tar, può essere prevista limitatamente agli accessi dei soggetti legittimati e non necessariamente anche in relazione a quelli dei soggetti obbligati come dedotto dalle Società ricorrenti.
Non è inoltre viziante la circostanza che dette «circostanze eccezionali» debbano essere necessariamente codificate dal Legislatore posto che gli ampi margini di discrezionalità riconosciuti in sede di recepimento consentono allo Stato membro di definirle con riferimento alle ipotesi già contemplate dalla disposizione europea, come previsto dall’art. 21, comma 4, lett. d) bis del Decreto Antiriciclaggio che, mutuando il testo dell’art. 31, para. 7 bis della Direttiva, prevede come «in circostanze eccezionali, l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva [possa] essere escluso, in tutto o in parte, qualora l'accesso esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione ovvero qualora il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d'età, secondo un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze».
Quanto alla censurata assenza di idonei rimedi giurisdizionali esperibili per contrastare le determinazioni in merito all’ostensione dei dati, il Tar afferma la legittimità dell’impianto normativo sul rilievo che:
- «il “preavviso di accoglimento”, da indirizzare ai soggetti controinteressati, è una figura non conosciuta dall’ordinamento nazionale (che contempla il solo preavviso di rigetto a favore di chi abbia presentato l’istanza di adozione di un provvedimento favorevole)»;
- «in particolare, la disposizione del “Codice in materia di protezione dei dati personali” che regola l’accesso ai documenti amministrativi contenenti dati sensibilissimi (art. 60, d.lgs. n. 196/2003), non prevede tale strumento di tutela preventiva: una volta che l’Amministrazione, all’esito del bilanciamento tra gli interessi contrapposti, si determini nel senso di accogliere la istanza di accesso, il dato viene divulgato, senza che sia previsto un mezzo preventivo di tutela per impedirne l’ostensione»;
- «la disciplina dettata dal Regolamento (art. 7) non trascura la posizione del terzo controinteressato (a condizione che, al momento della comunicazione dei dati, sia comunicata l’esistenza di una delle ipotesi che possono giustificare l’esclusione dall’accesso), essendo prevista, per ogni richiesta di accesso da parte di un soggetto legittimato, un contraddittorio preventivo tra la Camera di commercio ed il titolare effettivo, al quale viene riconosciuta, con riferimento alla singola richiesta di accesso concernente i suoi dati, la facoltà di svolgere una motivata opposizione all’accoglimento della richiesta stessa».
Legittima è ritenuta dal Tar l’attribuzione delle funzioni alle Camere di Commercio che, a seguito del riordino del sistema camerale (L. n. 580/1993), sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale svolgenti «funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali» (art. 1).
Il Tar disattendeva infine la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che le parti ricorrenti sollecitavano deducendo l’incompatibilità dell’art. 31 della Direttiva «con gli artt. 7, 8, 15, 20, 41 e 45 della Carta dei diritti fondamentali … nella parte in cui, rimettendo ai singoli Stati membri di disciplinare l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, consente a chi opera da uno Stato membro meno rigoroso di acquisire dati sensibili da Registri tenuti da Stati membri più rigorosi» sul rilievo che l’eventualità di una differente normazione della materia nei diversi ambiti nazionali fosse da considerarsi un effetto insito nella natura dello strumento normativo utilizzato che ai sensi dell’art. 288 del TFUE vincola gli Stati membri quanto al risultato da raggiungere riconoscendo piena autonomia nel determinare «quali misure adottare al fine di rendere la propria normativa interna conforme alle esigenze e ai risultati dettati dalla direttiva» con la conseguenza che «la contestata assenza di una perfetta “omogeneità dell’applicazione del diritto europeo su tutto il territorio comunitario” è una diretta conseguenza della tipologia di strumento normativo prescelto al livello unionale - la direttiva - , il quale, per definizione, è idoneo a generare differenze tra la disciplina di recepimento dettata da ciascuno Stato membro nell’esercizio della discrezionalità riconosciutagli» (punto 11 della sentenza)
4. IL GIUDIZIO DI APPELLO
La sentenza del Tar veniva impugnata con appello ritualmente proposto dalle Società.
Con il primo capo d’impugnazione le appellanti deducevano «sul mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea» esponendo che, nel caso di specie, il ricorso ad uno strumento normativo (la Direttiva) che riconosce a ciascuno Stato membro ambiti di discrezionalità in sede di recepimento tali da determinare regimi non uniformi sul territorio unionale, sarebbe compatibile con i principi affermati dalla Carta dei Diritti nella sola misura in cui le diverse discipline trovino applicazione in via esclusiva «ai soggetti ivi stabiliti» e non anche nell’ipotesi in cui i dati personali di un cittadino non accessibili ai sensi della normativa interna lo divengano in base ad altre normative interne più permissive.
Con il secondo motivo di appello le appellanti deducevano «sull’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha ritenuto legittima l’inclusione del mandato fiduciario ex DM 16.01.1995 tra gli “istituti affini al trust” (cfr I motivo di ricorso). Motivazione insufficiente e contraddittoria. Eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto» sostenendo l’erroneità della decisione del Tar laddove non ritiene viziante l’individuazione del mandato fiduciario quale istituto affine al trust alla data del 16 luglio 2019 (data della notifica) nonostante solo il 26 ottobre successivo (data di pubblicazione del D.Lgs. n. 15/2019) intervenisse la modifica dell’art. 22 del D.Lgs. n. 231/2007 inserendo il comma 5 bis introduttivo della figura degli «istituti giuridici affini al trust» che «per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi».
Ciò avrebbe determinato l’effetto «pratico e inammissibile» che il mandato fiduciario ex D.M. 16 gennaio 2015 sarebbe stato individuato ai fini in esame dal giudice amministrativo con l’impugnata sentenza (e non dal legislatore) che si sarebbe «spinto persino ad una valutazione di disvalore etico-morale del mandato fiduciario» (pag. 13 dell’appello) laddove afferma che il mandato fiduciario presenterebbe «quell’effetto pratico di mascheramento che è esattamente ciò che il legislatore europeo vuole contrastare con la previsione degli esposti obblighi informativi e comunicativi riguardanti la titolarità effettiva».
L’individuazione del mandato fiduciario ai presenti fini viene ulteriormente ritenuta illegittima poiché non effettuata né con il Decreto n. 231/2007 né con il Regolamento di cui al D.M. n. 555/2022 ma, per la prima volta, con il D.M del MIMIT datato 16 marzo 2023 di approvazione dei modelli di certificazione.
Con il terzo capo d’impugnazione le appellanti deducevano «sull’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha rigettato il secondo gruppo di censure (cfr. II motivo di ricorso). Motivazione insufficiente e contraddittoria. Eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto» articolando quattro ordini di censura (punti 3.1 – 3.4).
Con il primo ordine di censure deducevano la violazione degli artt. 30 e 31 della Direttiva «per assenza di un ricorso giurisdizionale effettivo avverso la decisione di divulgazione delle informazioni personali» che le norme europee garantiscono lamentando, in particolare, che non siano previsti effettivi rimedi atti ad impedire la divulgazione dei dati prima della loro ostensione.
Sul punto contestano il parallelo operato dal Tar con la disciplina in tema di accesso ai documenti amministrativo di cui alla L. n. 241/190 che sconterebbe la mancata considerazione del fatto che detta disciplina regola l’accesso quale corollario del principio di trasparenza dell’azione amministrativa mentre nella presente fattispecie si verte in tema di tutela del diritto alla riservatezza quale diritto fondamentale dell’individuo.
Con il secondo ordine di censure le appellanti deducevano «sulla posizione giuridica soggettiva che legittima l’accesso alle informazioni sul titolare effettivo» sostenendo che i provvedimenti impugnati consentirebbero un accesso «sostanzialmente indiscriminato» tanto ai soggetti obbligati cui, una volta conseguito l’accreditamento è reso disponibile per un intero biennio l’accesso ai dati dei titolari effettivi in assenza di specifiche verifiche in merito alle ragioni sottese al singolo accesso, quanto ai soggetti legittimati, ovvero al pubblico essendo generico e indefinito il concetto di legittimo interesse richiesto dalla normativa.
Circa tale specifico profilo viene nuovamente lamentato il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con riferimento al già accennato quesito riferito alla compatibilità dell’art. 31, para. 4 della Direttiva con gli artt. 7, 8, 15, 20, 41 e 45 della Carta dei Diritti in assenza di una «adeguata delimitazione del requisito del c.d. legittimo interesse legittimante qualsiasi persona fisica o giuridica all’accesso».
Con il terzo ordine di censure le appellanti deducono «sulle circostanze eccezionali di cui all’art. 30, par. 9 e all’art. 31, par. 7-bis della direttiva e sui limiti oggettivi alla possibilità di accesso agli atti» lamentando, sotto un primo profilo, che l’individuazione delle ipotesi da ammettere a deroga avrebbero dovuto essere individuate allo Stato italiano e non rimesse alle valutazioni discrezionali delle Camere di Commercio chiamate a pronunciarsi in merito alle singole richieste di accesso; sotto un secondo profilo che la possibilità di deroga non potrebbe essere prevista in relazione alle istanza di accesso dei soli soggetti legittimati ma anche per i soggetti obbligati.
Con il quarto ordine di censura le appellanti deducevano «sulla definizione delle modalità tecniche operative dell’accesso ai dati sul titolare effettivo da parte delle Autorità» evidenziando che la definizione delle specifiche modalità tecniche e operative con le quali le informazioni sulla titolarità effettiva devono essere rese disponibili alle Autorità era dalla legge (art. 21, comma 5 del D.Lgs. n. 231/2007) demandata al Regolamento (D.M. 55/2022) e non poteva pertanto l’amministrazione in detta sede delegare l’adempimento alle Camere di Commercio.
Con il quarto motivo di appello le appellanti deducono «sull’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha rigettato il III motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione della L. n. 580/1993 e del principio di riserva di legge. Eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto motivazione insufficiente e contraddittoria. Omessa pronunzia» riesponendo le medesime perplessità, già oggetto del ricorso di primo grado, in merito all’opportunità di affidare alle Camere di Commercio la gestione del sistema.
L’amministrazione e la Camera di Commercio di Roma si costituivano confutando le avverse censure e chiedendo il rigetto dell’appello disattendendo la richiesta di rinvio pregiudiziale.
All’esito della camera di consiglio del 16 maggio 2024 fissata per la discussione dell’istanza cautelare il Collegio, con ordinanza n. 1841/2024, valutata nel bilanciamento dei contrapposti interessi la prevalenza di quello delle appellanti nelle more onerate del complesso di adempimenti previsti dalla normativa in questione, sospendeva la sentenza impugnata fissando l’udienza di discussione di merito.
Con memoria del 19 luglio successivo, le appellanti preso atto dell’entrata in vigore, il 10 luglio precedente sia della Direttiva 2024/164 (c.d. VI Direttiva Antiriciclaggio) che del connesso Regolamento 2024/1624 richiamavano i contenuti della prima (nella parte in cui distingue la posizione tra trust e istituti affini da un lato e nominee agreemnet dall’altro, ancorché successiva all’adozione degli atti impugnati, quale ausilio interpretativo della nuova posizione assunta dalla Commissione.
Evidenziavano in particolare che solo per i trust e istituti affini è previsto l’obbligo di iscrizione del Registro e l’obbligo di «comunicazione dei titolari effettivi agli amministratori delle società laddove posseggano partecipazioni societarie» mentre per i nominee è previsto unicamente l’obbligo di comunicazione all’amministratore delle società di cui siano nominee-shareholders o nominee directors (art. 66 del Regolamento).
La distinzione operata a livello normativo testimonierebbe l’alterità dei nominee, e quindi delle appellanti, rispetto ai trust e istituti affini.
Con atto depositato il 29 luglio 2029, infine, le appellanti insistevano per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia «sotto il duplice profilo di interpretazione e di validità, che non potrà che essere esteso anche al contenuto della VI Direttiva n. 2024/1640, e nei limiti consentiti, del Regolamento n. 2024/1624», definitivamente promulgati il 19 giugno precedente, che aggraverebbero le criticità già denunciate con riferimento alla IV e V Direttiva con riferimento ai diritti riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta dei Diritti e 8 e 14 della CEDU.
Il sistema di tutele apprestate dalla disciplina europea, a parere delle appellanti, verrebbe vanificato in presenza di una applicazione dei richiamati superiori principi attuata da una disciplina nazionale solo formalmente rispettosa delle fonti invocate ma in realtà contrastante con quanto prescritto dall’art. 52, para. 1 della Carta dei Diritti laddove dispone che «eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».
A sostegno delle proprie tesi le appellanti richiamano, oltre alla più volte citata sentenza della Corte di Giustizia de 22 novembre 2022, la sentenza della Grande Sezione del 30 aprile 2024 n. 175 in causa C-178/22, pubblicata nelle more del giudizio, resa in tema di trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.
La pronunzia è invocata nella parte in cui afferma che:
«occorre altresì ricordare la giurisprudenza della Corte secondo la quale soltanto gli obiettivi di lotta contro le forme gravi di criminalità o di prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica sono atti a giustificare la grave ingerenza nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta derivante dall'accesso delle autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, suscettibili di fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate da quest'ultimo e tali da permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata delle persone interessate, senza che altri fattori attinenti alla proporzionalità di una domanda di accesso, come la durata del periodo per il quale viene richiesto l'accesso a tali dati, possano rendere l'obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e generale perseguimento di reati idoneo a giustificare tale accesso [v., in tal senso, sentenza del 2 marzo 2021, Prokuratuur (Condizioni di accesso ai dati relativi alle comunicazioni elettroniche), C-746/18, EU:C:2021:152, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)]» (punto 36) ;
«al fine, segnatamente, di verificare l'assenza di un tale snaturamento, è essenziale che, qualora l'accesso da parte delle autorità nazionali competenti ai dati conservati comporti il rischio di una grave ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata, tale accesso sia subordinato a un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un'entità amministrativa indipendente [v., in tal senso, sentenza odierna, La Quadrature du Net e a. (Dati personali e lotta alla contraffazione), C-470/21, punti da 124 a 131]» (punto 51).
Nell’occasione la Corte di giustizia, pronunziandosi sull'interpretazione dell'articolo 15, para. 1, della Direttiva 2002/58/CE del Consiglio e del Parlamento europeo e del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche in relazione agli articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1, della Carta dei Diritti, perveniva alla conclusione che dovesse essere interpretato «nel senso che esso non osta a una disposizione nazionale che impone al giudice nazionale - allorché interviene in sede di controllo preventivo a seguito di una richiesta motivata di accesso a un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata dell'utente di un mezzo di comunicazione elettronica, conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, presentata da un'autorità nazionale competente nell'ambito di un'indagine penale - di autorizzare tale accesso qualora quest'ultimo sia richiesto ai fini dell'accertamento di reati puniti dal diritto nazionale con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, purché sussistano sufficienti indizi di tali reati e detti dati siano rilevanti per l'accertamento dei fatti, a condizione, tuttavia, che tale giudice abbia la possibilità di negare detto accesso se quest'ultimo è richiesto nell'ambito di un'indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato».
La decisione, nei termini richiamati, affermerebbe quindi il principio per il quale l’accesso ai dati privati di un cittadino, nella misura in cui consente «di trarre precise conclusioni» in merito alla vita privata dell’interessato costituirebbe sempre una violazione degli artt. 7 e 8 della Carta dei Diritti.
Ciò premesso, le appellanti evidenziano la distonia che si sarebbe venuta a creare con l’adozione dell’impugnata disciplina che, nonostante l’affermazione da parte della Corte di Giustizia del principio per il quale anche in presenza di esigenze di accertamento di un reato (come nella fattispecie da ultimo richiamata) è richiesta una motivata richiesta dell’Autorità giudiziaria, prevede invece, in presenza di generiche esigenze di carattere preventivo, un sistema di accesso allargato rimettendo le relative determinazioni ad un organo (Camera di Commercio) ritenuto inidoneo per le ragioni già esposte, avverso le determinazioni del quale, come già rilevato, non sarebbero apprestate effettive tutele.
In detta sede le appellanti prospettavano una pluralità di profili di dubbia compatibilità della stessa normativa di rango europeo con i superiori principi riconosciuti dalla Carta dei Diritti e dalla CEDU invocando la rimessione dei seguenti quesiti:
A. «Se l’art. 31, par. 4 della direttiva 2015/849 modificata dalla direttiva 2018/843 - artt. 11 e 12 VI Direttiva 2024/1640-, che consente l’accesso, in ogni caso, a varie categorie di soggetti (quattro, di cui alle lettere a, b, c, d, del 1° comma) per quanto riguarda le informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine, anche alla luce della Sentenza della CGUE 22.11.2022 C-37/20 e C-601/20, sia compatibile, e quindi presenti i requisiti di validità, con le norme della Carta dei diritti fondamentali: art. 7 (rispetto della vita privata e familiare); art. 8 (protezione dei dati di carattere personale), nonché della Convenzione europea dei diritti dell’uomo - CEDU (art. 8) nella parte in cui la norma (1°comma, lettere c, d) consente l’accesso a qualunque persona fisica o giuridica “che possa dimostrare un legittimo interesse,” ma non precisa né delimita la nozione di legittimo interesse, la cui definizione sarebbe dunque rimessa alla discrezionalità degli Stati, con pregiudizio dei diritti fondamentali della persona, con violazione del principio di proporzionalità di cui all’art. 52, par. 1 Carta, e, pertanto, con violazione della vita privata dei soggetti iscritti nel registro (disponenti, trustee, guardiani, beneficiari) e delle loro famiglie, con conseguente pregiudizio per la loro sicurezza nonché con esposizione degli stessi a un rischio di frode, rapimento, riscatto, estorsione, molestia, violenza, intimidazione»;
B. «Se l’art. 31, par. 4 della direttiva 2015/849 modificata dalla direttiva 2018/843 - artt. 11 e 12 VI Direttiva 2024/1640 -, nel consentire l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine, nei termini di cui al precedente quesito, alle categorie di soggetti indicati nelle lettere a, b, c, d del 1°comma, in particolare alle persone fisiche o giuridiche di cui alle lettere c, d, lasciando agli Stati membri la definizione del “legittimo interesse” che le abilita al predetto accesso, sia compatibile, e quindi presenti i requisiti di validità, con le norme della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU indicate nel precedente quesito (artt. 7,8, 52, par. 1), nonché con l’art. 15 (libertà professionale e diritto di lavorare); art. 16 (libertà di impresa) della Carta, e con gli artt. 49, 56 TFUE sul diritto di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi, considerato che si produce l’effetto per cui il soggetto – trustee professionale, sia persona fisica che giuridica (cd. trust company), - che opera da uno Stato membro, meno rigoroso nel definire il requisito del legittimo interesse, acquisisce i dati sensibili da registri tenuti in altri Stati membri più rigorosi in tale definizione»;
C. «Se il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri non sia comunque eccessivo nel rinviare, per quanto riguarda le definizioni previste, esclusivamente al diritto nazionale e, quindi, sia in contrasto con il principio generale di certezza del diritto, con la conseguenza che le norme della direttiva che rinviano, senza precisare i limiti, al diritto nazionale, non sono valide»;
D. «Se le garanzie previste dall’art. 31, par. 7 bis della direttiva 2015/849 modificata dalla direttiva 2018/843 - ed ora art.15 VI Direttiva 2024/1640 - relative a) al diritto a un ricorso amministrativo contro una decisione che deroga (in presenza di circostanze eccezionali stabilite dal diritto nazionale) all’accesso di cui al par. 4, lett. a, b, c, d - artt. 11 e 12 VI Direttiva 2024/1640 - (accesso consentito, in ogni caso, alle informazioni sulla titolarità di un trust o di un istituto giuridico affine); b) al diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, considerate letutele offerte dall’art. 41 (diritto ad una buona amministrazione) e dall’art. 47 (diritto a un ricorso effettivo e un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali, nonché dall’art. 6 della CEDU, siano compatibili con gli articoli 6-7 del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze dell’11 marzo 2022, n. 55, in particolare con i poteri riconosciuti ad un organo ammnistrativo, non giurisdizionale, quale è la Camera di commercio territoriale, ed in assenza di un ricorso giurisdizionale azionabile dal titolare effettivo, e quindi se le norme di diritto UE sopra ricordate ostino ad una disciplina prevista dal diritto nazionale, quale quella sopra »ricordata»;
E. «Se la Camera di commercio possa essere considerata “Autorità di controllo” (autorità pubblica indipendente) ai sensi dell’art. 51 regolamento 2016/679 sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, che controlli la liceità del trattamento e garantisca il trattamento dei dati personali e informi la persona dell’esito del procedimento e consenta quindi alla persona un ricorso giurisdizionale»;
F. «Se il potere di deroga all’accesso riconosciuto agli Stati membri, in base al diritto nazionale (cui l’art. 31, par. 7 bis - art. 15 VI Direttiva - rinvia) agli Stati, ovvero alle autorità nazionali alle quali è rimessa la valutazione delle “circostanze eccezionali” in cui è consentita la deroga, che può riguardare l’accesso a tutte o parte delle informazioni sulla titolarità effettiva, “caso per caso”, non sia sufficientemente delimitata, malgrado la previsione secondo cui la deroga è concessa “previa una valutazione dettagliata della natura dettagliata delle circostanze” e se la norma, dunque, presenti i requisiti di validità, a maggior ragione in considerazione del fatto che i diritti in questione sono diritti fondamentali, di carattere sostanziale e giurisdizionale».
G. «Se i “controinteressati” - soggetti identificati quali titolari effettivi dalle direttive AML, i cui dati vengono conservati, trattati e potenzialmente trasmessi a terzi, e quindi i “soggetti interessati” nel Regolamento Privacy - a seguito della procedura di accesso ricevano la necessaria e adeguata tutela giurisdizionale prevista dall’art. 47 Carta (nonché dell’art. 6 CEDU) corrispondente a quella loro garantita dalla normativa sulla Privacy, e se la disciplina nazionale, sotto questo profilo sia carente e, quindi, non compatibile con il diritto fondamentale di tutela giurisdizionale»;
H. «Se le norme del Regolamento 2024/1624 applicativo delle norme della Direttiva, anche alla luce della Sentenza della CGUE 22.11.2022 C-37/20 e C-601/20, siano parimenti censurabili, mancandone i requisiti di validità in considerazione di quanto dispongono gli articoli 7, 8, 16, 41, 47 della Carta, art. 8 e 14 CEDU, e artt. 49, 56 del TFUE».
5. SULLA SUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI PER IL RINVIO PREGIUDIZIALE EX ART. 267 T.F.U.E.
Come già rilevato dalla Corte di Giustizia con sentenza del 6 ottobre 2021, resa nella causa C–561/19, il giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno, quale deve intendersi questo Consiglio di Stato in quanto organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa, in presenza di una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione, può essere esonerato dall’obbligo di rinvio ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, T.F.U.E. unicamente in presenza di questioni irrilevanti ai fini della decisione non essendo suscettibile di influenzare la decisione della causa; quando la questione sia stata già affrontata e risolta dalla Corte di Giustizia in fattispecie assimilabili o, infine, nell’ipotesi in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (punto 33 della sentenza).
Tali ipotesi, in relazione a taluni dei profili evidenziati dalle appellanti non ricorrono nel caso di specie in cui verte in tema di corretta interpretazione della disciplina di cui alla Direttiva (UE) n. 2015/849, come modificata dalla Direttiva (UE) n. 2018/843, nonché, come prospettato dalle appellanti, della stessa validità di tale atto normativo a garantire sufficienti livelli di omogeneità applicativa sul territorio unionale.
I quesiti pregiudiziali che verranno proposti pongono problemi interpretativi, in relazione ai quali il Collegio non ritiene che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’imponga evidenza.
In merito alle cruticità di seguito illustrate, da ritenersi decisive ai fini della decisione della causa la giurisprudenza della Corte di Giustizia, stante la novità delle questioni, non offre allo stato sicuri approdi interpretativi.
6. I QUESITI OGGETTO DI RINVIO PREGIUDIZIALE
Deve rilevarsi in premessa l’estrema genericità del quesito sub C che non consente di cogliere il concreto profilo di incompatibilità fatto valere.
Inammissibile deve ritenersi il quesito sub E, anch’esso formulato in forma eccessivamente generica, afferente l’individuazione dell’Ente deputato all’applicazione della normativa in questione che consegue ad una scelta dell’Autorità nazionale non sindacabile alla luce dei parametri normativi europei invocati.
Si evidenzia ulteriormente che analoghe questioni di compatibilità con la disciplina europea, riferite alla stessa disciplina nazionale, sono sollevate nell’ambito di quattro giudizi chiamati alla medesima udienza (iscritti ai nn. 03366/2024; 0367/2024; 03369/2024 e 0546/2024) che costituiranno pertanto oggetto di rimessione con separata ordinanza.
Di seguito si esporranno i quesiti che il Collegio ritiene di sottoporre all’attenzione di codesta Corte di Giustizia in quanto rilevanti ai fini della decisione della causa.
I quesiti pertinenti al presente giudizio vengono formulati sulla base delle sopra esposte censure formulate dalle appellanti nel presente giudizio alle quali si rinvia.
6.1 PRIMO QUESITO: SULLA CONFORMITA’ DEL DIRITTO INTERNO IN TEMA DI PERIMETRAZIONE DELLA PLATEA DEI SOGGETTI AMMESSI ALL’ACCESSO AI DATI DEL TITOLARE EFFETTIVO E VERIFICA DEI PRESUPPOSTI LEGITTIMANTI.
Le appellanti lamentano l’eccessiva estensione sotto il profilo soggettivo dell’accesso riconosciuto dai provvedimenti impugnati sostenendo che la possibilità di esercitarlo, subordinandola alla sola sussistenza di un imprecisato «legittimo interesse», introdurrebbe profili di incertezza applicativa.
Vengono in rilievo ai presenti fini:
l’art. 31, para. 4 della direttiva n. 2015/849 ove prevede che «gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine siano accessibili in ogni caso: … c) a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse»;
l’art. 21, comma 4 lett. d-bis) del D. Lgs. n. 231/2007 ove dispone che «dietro pagamento dei diritti di segreteria di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ai soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, qualora abbiano evidenze concrete e documentate della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale. L'interesse deve essere diretto, concreto ed attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non deve coincidere con l'interesse di singoli appartenenti alla categoria rappresentata»;
l’art. 7, comma 1, del D.M. n. 55/2022 a norma del quale «i dati e le informazioni sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica e delle persone giuridiche private, presenti nella sezione autonoma del registro delle imprese, sono accessibili al pubblico a richiesta e senza limitazioni, salvo che nella comunicazione di cui all'articolo 4 risulti l'indicazione di cui al comma 1, lettera e), dello stesso articolo. L'accesso del pubblico ha ad oggetto il nome, il cognome, il mese e l'anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo e le condizioni da cui deriva lo status di titolare effettivo, ai sensi dell'articolo 20 del decreto antiriciclaggio».
La mancata specificazione del concetto di «legittimo interesse», e più in generale di più stringenti presupposti legittimanti l’accesso da parte die privati, non si concilierebbe con il rilievo dei valori protetti dalla Carta dei Diritti laddove afferma che «ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni» (art. 7; in senso sostanzialmente equivalente si esprime anche l’art. 8 della C.E.D.U.) e che «ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano» dispondeo che «tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica» (art. 8, commi 1 e 2).
Sul punto si rileva che i principi in questione non sembrano godere di una condizione di assoluta intangibilità posto che l’art. 52 della medesima fonte, ancorché richiamato dalle appellanti a sostegno delle proprie tesi, dispone al comma 1 che «eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà» sia pur «nel rispetto del principio di proporzionalità» e sempre che «siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».
Tuttavia è da ritenersi la non palese irragionevolezza dei dubbi in questa sede prospettati alla luce delle considerazioni espresse in merito allo specifico tema dalle stesse Istituzioni europee.
Con la più volte citata sentenza della del 22 novembre 2022, la Corte di Giustizia, in commento alla modifica apportata dalla Direttiva 2018/843 al testo del 2015 dell’art. 31 della Direttiva 2015/849 affermava infatti che «la mancanza di una definizione uniforme di tale nozione di «legittimo interesse» aveva posto difficoltà pratiche, cosicché si era ritenuto che la soluzione corretta consistesse nell'eliminare detta condizione» (punto 68).
Deve essere altresì evidenziato che la Commissione, chiamata in detta sede ad esprimersi, sia pur in merito in merito ad un diverso profilo («se, per ovviare al rischio che l'obbligo per qualunque persona o organizzazione di dimostrare un “legittimo interesse”, quale inizialmente previsto dalla direttiva 2015/849, conduca, a causa delle divergenze nella definizione di tale nozione negli Stati membri, a limitazioni eccessive dell'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, essa avesse preso in considerazione la possibilità di proporre una definizione uniforme di detta nozione»), affermava che «il criterio del «legittimo interesse» è un concetto che si presta difficilmente a una definizione giuridica e che, pur avendo preso in considerazione la possibilità di proporre una definizione uniforme di tale criterio, essa vi ha infine rinunciato, per il motivo che quest'ultimo, quand'anche provvisto di una definizione, resta difficile da attuare e che la sua applicazione potrebbe dar luogo a decisioni arbitrarie» (punto 71).
Si sottopone quindi a codesta Corte di Giustizia quale organo competente a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto unionale, il seguente quesito:
«se l’art. 31, para. 4 della direttiva 2015/849 modificata dalla direttiva 2018/843, laddove consente l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine sia compatibile con le norme della Carta dei diritti fondamentali (art. 7 “rispetto della vita privata e familiare” e art. 8 “protezione dei dati di carattere personal”) nonché della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 8), nella parte in cui consente l’accesso in ogni caso a qualunque persona fisica o giuridica “che possa dimostrare un legittimo interesse” senza precisare e delimitare la nozione stessa di “legittimo interesse” rimettendone la definizione alla piena discrezionalità degli Stati membri determinando il rischio di perimetrazioni eccessivamente estese dell’ambito soggettivo di azionabilità dell’accesso, potenzialmente lesive degli evocati diritti fondamentali della persona».
6.2 SECONDO QUESITO: SULLA MANCATA PREVISIONE DI UN RICORSO GIURISDIZIONALE EFFETTIVO AVVERSO LA DIVULGAZIONE DELLE INFORMAZIONI
Vengono in rilievo il testo dell’art. 30, para. 9 della Direttiva laddove dispone, a tutela dei soggetti esposti all’accesso, che «è garantito il diritto a un ricorso amministrativo contro la decisione di deroga nonché il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo. Gli Stati membri che concedono deroghe pubblicano dati statistici annuali circa il numero di deroghe concesse e le «motivazioni fornite e comunicano i dati alla Commissione» e del successivo art. 31, para. 7 bis che con disposizione di analogo contenuto prevede che «è garantito il diritto a un ricorso amministrativo contro la decisione di deroga nonché il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo».
L’effettività della tutela riconosciuta dalla Direttiva non può che essere valutata alla stregua dell’idoneità degli strumenti apprestati dagli ordinamenti interni a prevenire la divulgazione di dati al difuori delle ipotesi previste, da valutarsi anche in relazione a quanto prescritto dalla Carta dei Diritti che all’art. 47 dispone che «ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo» e «che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».
Nei medesimi termini si esprime anche l’art. 6 della C.E.D.U. («Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti»).
Ciò premesso, la disciplina di cui al D.M. n. 55/2022 prevede all’art. 7, comma 1, limitatamente al solo «accesso da parte di altri soggetti», che le informazioni circa la titolarità effettiva siano «accessibili al pubblico a richiesta e senza limitazioni, salvo che nella comunicazione di cui all'articolo 4 risulti l'indicazione di cui al comma 1, lettera e), dello stesso articolo».
La fattispecie fatta salva dalla norma riguarda «l'eventuale indicazione delle circostanze eccezionali, ai fini dell'esclusione dell'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, lettera f), secondo periodo, e comma 4, lettera d-bis), terzo periodo, del decreto antiriciclaggio, nonché l'indicazione di un indirizzo di posta elettronica per ricevere le comunicazioni di cui all'articolo 7, comma 3, nella qualità di controinteressato».
In tali ipotesi, il comma 3 dell’art. 7 del D.M. prevede che «la Camera di commercio territorialmente competente trasmette la richiesta di accesso di cui ai commi 1 e 2 al controinteressato, mediante comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato ai sensi del medesimo articolo 4, comma 1, lettera e). Entro dieci giorni dalla ricezione della predetta comunicazione, il controinteressato all'accesso può trasmettere, a mezzo posta elettronica certificata, una motivata opposizione. La Camera di commercio valuta caso per caso le circostanze eccezionali di cui all'articolo 21, comma 2, lettera f), e comma 4, lettera d-bis), del decreto antiriciclaggio, rappresentate dal controinteressato, che giustificano in tutto o in parte il diniego dell'accesso, anche alla luce del principio di proporzionalità tra il rischio paventato e l'interesse all'accesso. L'accesso ai dati di cui ai commi 1 e 2 può essere escluso in tutto o in parte all'esito della valutazione, da parte della Camera di commercio territorialmente competente, delle circostanze eccezionali rappresentate dal controinteressato. Il diniego motivato dell'accesso è comunicato al richiedente, a mezzo posta elettronica certificata, entro venti giorni dalla richiesta di accesso. In mancanza di comunicazione entro il predetto termine l'accesso si intende respinto».
In sintesi la disciplina nazionale contempla un confronto preventivo fra il titolare e l’Ente preposto a determinarsi in merito alla richiesta di accesso (la Camera di Commercio).
Tale impianto superava il vaglio del Tar in primo grado sul rilievo dell’inesistenza nell’ordinamento nazionale dell’istituto del «preavviso di accoglimento», non previsto nemmeno dalla normativa in tema protezione di dati sensibili (D. Lgs. n. 196/2003), e della previsione della possibilità di presentare una motivata opposizione precedentemente all’ostensione dei dati.
Viene tuttavia dedotto, in estrema sintesi, che la tutela apprestata sarebbe inidonea a prevenire una illegittima diffusione dei dati personali riferiti titolari effettivi.
Sul punto non può che evidenziarsi come la disciplina nazionale in materia di accesso non conosca rimedi azionabili in via preventiva essendo la tutela apprestata solo in un momento successivo mediante riconoscimento della possibilità di contestare il provvedimento di accoglimento, una volta adottato, dinanzi al giudice amministrativo.
Tuttavia, premesso che nel caso di specie non si verte in tema di tutela del principio di trasparenza ma di tutela di dati personali e avuto riguardo alla sensibilità degli interessi intercettati ed alla natura dei rischi che la normativa europea intende prevenire (espressamente individuati nel «rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione»), si pone una questione di adeguatezza e rispondenza dell’impianto normativo nazionale con le finalità perseguite dalla Direttiva.
Deve quindi sottoporsi a codesta Corte di Giustizia il seguente quesito:
«Se le garanzie previste dall’art. 31, par. 7 bis della direttiva 2015/849, modificata dalla direttiva 2018/843, relative al diritto a un ricorso amministrativo contro una decisione che deroga (in presenza di circostanze eccezionali stabilite dal diritto nazionale) all’accesso di cui al par. 4, (accesso consentito, in ogni caso, alle informazioni sulla titolarità di un trust o di un istituto giuridico affine), considerate le tutele offerte dall’art. 47 (diritto a un ricorso effettivo e un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali, nonché dall’art. 6 della CEDU, siano compatibili con gli articoli 6-7 del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’11 marzo 2022, n. 55 nella parte in cui conferiscono ad un organo ammnistrativo non giurisdizionale quale è la Camera di commercio territoriale il potere di esprimersi determinando l’irreversibile effetto dell’ostensione dei dati prevedendo solo in una fase successiva il diritto ad un ricorso giurisdizionale azionabile dal titolare effettivo».
7. ISTANZA DI SOTTOPOSIZIONE DELLA CAUSA A PROCEDIMENTO ACCELERATO EX ART. 105 DEL REGOLAMENTO DI PROCEDURA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA.
Il Collegio formula, in ultimo, istanza ai sensi dell’art. 105 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia, a mente del quale «su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni del presente regolamento».
A sostegno di tale richiesta il Collegio evidenzia che:
l’efficacia dei provvedimenti nazionali è stata sospesa da questo Giudice, stante la delicatezza delle questioni involte e la necessità di adire preventivamente codesta Corte in ordine all’esatta interpretazione da fornire al diritto dell’Unione europea;
la decisione di cui al precedente numero è stata presa anche in considerazione del fatto che la mancata sospensione avrebbe obbligato tutte le Società fiduciarie a rendere informazioni sui titolari effettivi, in una situazione nella quale la sussistenza di tale obbligo non poteva essere affermata con certezza da questo Giudice senza prima adire codesta Corte di Giustizia;
la decisione di questo Giudice ha, invero, limitato i propri effetti alle sole Società fiduciarie, sebbene i rappresentanti delle Amministrazioni appellate e della Camera di Commercio di Roma abbiano esposto, nell’udienza pubblica del 19.9.2024, che questa situazione riguarderebbe l’intero sistemo di attuazione della Direttiva del 2018;
allo stato la concreta attuazione delle disposizioni della Direttiva nell’ordinamento italiano risulta, quindi, congelata in attesa della decisione di codesta Corte di Giustizia;
si manifesta, pertanto, la necessità che la causa sia rapidamente trattata da parte di codesta Corte, onde non pregiudicare gli obiettivi di trasparenza e di prevenzione e contrasto del terrorismo non solo nell’ordinamento italiano ma, in generale, nell’intero ambito di applicazione dell’Unione, stante la chiara esigenza di armonizzazione e contrasto comune che muove tutte le previsioni della Direttiva del 2018;
In ragione di quanto esposto, si confida che la presente domanda pregiudiziale possa essere trattata con il procedimento di cui all’art. 105 del Regolamento indicato al punto 40.1
8. STATUIZIONI FINALI.
Ai sensi delle «Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale», pubblicate in G.U.U.E del 8 novembre 2019, vanno trasmessi in copia alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione europea, mediante plico raccomandato:
- gli atti ed i provvedimenti impugnati con il ricorso di primo grado;
- il ricorso di primo grado;
- la sentenza del Tar per il Lazio appellata;
- l’appello proposto dalla parte appellante;
- tutte le memorie difensive depositate dalle parti nel giudizio n. 3532/2024 R.R.;
- la presente ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il presente giudizio rimane sospeso ex art. 79 c.p.a. in parte qua nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio e ogni ulteriore decisione, anche in ordine al regolamento delle spese processuali, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta):
rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
formula istanza di trattazione accelerata della domanda pregiudiziale ai sensi dell’art. 105 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia;
ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale degli atti indicati in motivazione e del fascicolo di causa;
sospende il processo nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Marco Poppi |
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Oreste Mario Caputo |
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IL SEGRETARIO
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