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TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, 28/10/2024 n. 646
Sollevata questione di legittimità costituzionale in materia di effetti sospensivi dell'ammissione al controllo giudiziario sulla informativa antimafia

E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in relazione ai parametri costituzionali indicati in motivazione, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia.


Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 28/10/2024

N. 00646/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00494/2024 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 494 del 2024, proposto da


-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9095896AD3, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Mollica e Francesco Zaccone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Anas Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Pacifico, Francesco Mandalari, Lara Giovane e Eleonora Bardazzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. I.0678878 del 1° agosto 2024 con cui ANAS ha disposto la risoluzione, con effetto immediato, delle obbligazioni derivanti dal Contratto di appalto avente ad oggetto “Lavori di esecuzione dell’opera di attraversamento dello scolmatore di Campo Regio e degli attraversamenti del reticolo minore del fiume Albegna della S.S. 1 Variante Aurelia finalizzati alla riduzione del rischio idraulico a seguito degli eventi alluvionali del 12 Novembre 2012 – SS 1 Aurelia – Comune di Orbetello per una durata di 510 giorni consecutivi e continui comprensivi di giorni 60 per andamento stagionale sfavorevole. Codice CIG 9095896AD3 – Cod. SIL ACMSFI00620 – Codice CUP F37H16002210001”, Prot. CDG-0281529 del 3 maggio 2022, stipulato con l’impresa -OMISSIS-;

- della nota prot. n. U.0679496 del 2 agosto 2024 con cui ANAS ha comunicato la risoluzione contrattuale nei confronti dell’impresa -OMISSIS-;

- del provvedimento prot. n. U.0681737 del 2 agosto 2024 con cui ANAS ha disposto l’escussione della garanzia fideiussoria n. 420775071 rilasciata a titolo di cauzione definitiva da Generali Italia S.p.A., per un importo pari ad € 254.022,87;

- della comunicazione di avvio del procedimento di risoluzione contrattuale del 30.4.2024 e dell’Ordine di Servizio n. 4 di pari data, trasmesso con nota prot. CDG-0368538 del 3 maggio 2024, con il qual ultimo ANAS ha intimato all’impresa di sospendere i lavori e mettere il cantiere in sicurezza;

- della nota prot. 0584880 del 4.7.2024, a mezzo della quale ANAS richiedeva alla Prefettura di Reggio Calabria informazioni in merito alla posizione dell’impresa -OMISSIS-;

- dell’Ordine di Servizio n. 6 del 16.07.2024 trasmesso con nota prot. CDG-0626575 del 17 luglio 2024 con cui il Direttore dei Lavori, secondo le disposizioni ed istruzioni impartite dal Responsabile del Procedimento, ordinava all’appaltatore di interrompere i lavori e di mettere il cantiere in sicurezza con adeguata recinzione e secondo le disposizioni impartite dal CSE;

- del diniego frapposto (con nota prot. 0652836 del 25.7.2024) da ANAS all’istanza di annullamento in autotutela dell’Ordine di Servizio n. 6 avanzata dalla ricorrente in data 17.7.2024;

- per quanto di ragione, della presupposta misura interdittiva adottata dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 26.2.2020;

- del diniego tacito frapposto all’istanza di riesame del provvedimento di risoluzione avanzata dalla ricorrente in data 5 agosto 2024;

- di ogni altro atto, operazione o valutazione adottati o posti in essere dall’Amministrazione in dipendenza ed in relazione alle valutazioni, verifiche e determinazioni sottese alla risoluzione contrattuale;

- di ogni ulteriore atto istruttorio presupposto, connesso e conseguenziale, anche se non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza cautelare n. 213 dell’11.10.2024;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Anas Spa, del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2024 il dott. Alberto Romeo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


I. I fatti di causa.

I.1. La società ricorrente, attiva dal 1985 nel settore delle costruzioni ed operante su tutto il territorio nazionale, in data 26.02.2020 veniva raggiunta da un’informazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria (prot. 0022204).

Avverso detta interdittiva la società proponeva ricorso dinanzi a questo Tribunale Amministrativo, che, previa sospensione in via cautelare della relativa efficacia con ordinanza n. 82 del 3.04.2020, ne disponeva l’annullamento con sentenza n. 117 dell’8.02.2021.

La sentenza veniva appellata dall’Amministrazione dell’Interno e con ordinanza n. 2357 del 7.05.2021 il Consiglio di Stato accoglieva la domanda cautelare, sospendendone, per l’effetto, l’esecutività, con conseguente ripristino degli effetti dell’interdittiva.

La società presentava, dunque, domanda di ammissione al controllo giudiziario c.d. ‘volontario’ ai sensi dell’art. 34-bis, co. 6, d.lgs. n. 159/2011, che veniva favorevolmente delibata dal Tribunale di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione con decreto del 15.07.2021, per la durata di un anno.

Il giudizio d’appello - conformemente all’orientamento giurisprudenziale a quel tempo seguito in via prevalente dalla giurisprudenza amministrativa di secondo grado -, veniva conseguenzialmente sospeso con ordinanza del 1°.12.2021 in attesa della conclusione del controllo giudiziario.

Conseguita per effetto dell’ammissione all’anzidetta misura di sorveglianza prescrittiva l’iscrizione nella c.d. white list di cui al d.P.C.M. del 18.04.2013 la società, giusta lettera di invito prot. CDG-0079203-I del 9.02.2021 partecipava, tra le altre, alla procedura negoziale bandita dalla Struttura Territoriale dell’Anas Toscana, da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo, avente ad oggetto i “Lavori di esecuzione dell’opera di attraversamento dello scolmatore di Campo Regio e degli attraversamenti del reticolo minore del fiume Albegna della S.S. 1 Variante Aurelia finalizzati alla riduzione del rischio idraulico a seguito degli eventi alluvionali del 12 Novembre 2012 – SS 1 Aurelia – Comune di Orbetello per una durata di 510 giorni consecutivi e continui comprensivi di giorni 60 per andamento stagionale sfavorevole. Codice CIG 9095896AD3 – Cod. SIL ACMSFI00620 – Codice CUP F37H16002210001”, per un importo complessivo di € 3.875.371,85, risultandone aggiudicataria.

Dunque, a seguito della verifica positiva dei requisiti di legge (come da comunicazione prot. CDG-0226036-U del 7.04.2022), le parti sottoscrivevano in data 3.05.2022 il contratto d’appalto, la cui esecuzione aveva ritualmente avvio.

La sottoposizione dell’impresa al controllo giudiziario veniva frattanto prorogata, con appositi decreti del giudice penale, sino al 15.07.2024.

Nelle more dell’esecuzione dell’appalto, stante il revirement indotto dalle decisioni dall’Adunanza Plenaria del 2023 (nn. 6, 7 e 8 del 13.02.2023) quanto ai rapporti tra giudizio di impugnazione dell’interdittiva e controllo giudiziario, il Consiglio di Stato, (ri)fissata la trattazione del giudizio anteriormente alla conclusione del controllo giudiziario, con sentenza n. 3390 del 15.04.2024 accoglieva l’appello del Ministero dell’Interno, riformando integralmente la sentenza impugnata e respingendo il ricorso di primo grado proposto avverso l’interdittiva.

A seguito della pronuncia in questione, la stazione appaltante, con nota prot. CDG-0361709 del 30.04.2024, comunicava alla società ricorrente l’avvio del procedimento per la risoluzione del contratto d’appalto in corso, ritenendo tale iniziativa dovuta “in conseguenza di quanto disposto con sentenza n. 3390 del 15.04.2024 dal Consiglio di Stato, il quale in riforma della sentenza di primo grado ha confermato la persistenza dei presupposti dell’informazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 26.02.2020. Si rappresenta in proposito che la suddetta sentenza è immediatamente esecutiva e l’informativa prefettizia, avendo natura interdittiva, assume carattere vincolante per la stazione appaltante alla quale non è consentita, pertanto, alcuna possibile valutazione discrezionale in merito al suo contenuto. L’interdittiva antimafia determina infatti, ai sensi dell’art. 94 del D.Lgs. 159/2011, l’incapacità a contrarre ed il difetto dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 del D.Lgs. 50/2016”.

Nell’esercizio delle previste prerogative partecipative la società trasmetteva in data 7.05.2024 all’Anas copia dei provvedimenti con i quali era stata disposta dal Giudice della Prevenzione la proroga del controllo giudiziario fino al 15.07.2024, inducendo, per l’effetto, un favorevole ripensamento della determinazione risolutoria preannunciata, il cui procedimento veniva, infatti, chiuso dall’Anas con provvedimento del 20.05.2024, con il quale, proprio in considerazione della temporanea sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente alla pendenza della misura del controllo giudiziario, veniva confermata “la piena efficacia del contratto prot. CDG-0281529 del 3.05.2022”.

Approssimandosi, nondimeno, la scadenza della misura ex art. 34-bis cod. antimafia, con nota prot. 584880 del 4.07.2024 l’Anas – frattanto resa edotta, con nota del 2.07.2024, della presentazione da parte della ditta appaltatrice, in data 7.06.2024, di un’istanza per la permanenza nella white list – richiedeva alla Prefettura di Reggio Calabria urgenti informazioni sul conto della stessa, evidenziando, da un lato, l’impossibilità di una ulteriore proroga della misura (stante la scadenza del relativo termine massimo di durata) e segnalando, dall’altro lato, la pendenza del procedimento riguardante il mantenimento dell’iscrizione nella white list. Per tali motivi, anche tenuto conto dell’afferenza dell’appalto ad opera “necessaria per scongiurare il determinarsi di pericolo per la vita umana ed ingenti danni ai comuni della zona a seguito di eventi meteorologici estremi…”, sollecitava la Prefettura a fornire un riscontro tempestivo sull’anzidetta istanza, dando notizie in ordine alla permanenza o meno “dell'operatore nell'elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per poter, eventualmente, mettere in atto al più presto tutte le misure idonee a fronteggiare un'interruzione dei lavori”.

In assenza di riscontro, con Ordine di Servizio n. 6 del 16.07.2024, trasmesso con nota prot. CDG-0626575 del 17.07.2024, il Direttore dei Lavori, secondo le disposizioni ed istruzioni impartite dal Responsabile del Procedimento, ordinava, quindi, all’impresa di interrompere i lavori, sul presupposto, già enunciato nella nota del 30.04.2024, della reviviscenza degli effetti dell’interdittiva e, quindi, della sussistenza di una causa di esclusione automatica dalla gara ai sensi dell’art. 80, co. 2, d.lgs. n. 50/2016.

Inutile risultava il tentativo esperito dall’impresa con istanza del 17.07.2024 di ottenere l’annullamento in autotutela dell’anzidetto ordine di servizio, che veniva infatti confermato dalla stazione appaltante con nota del 25.07.2024.

Analoga richiesta veniva inoltrata dalla società in data 31.07.2024, valorizzandosi la contestuale pendenza della domanda di iscrizione alla white list e del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva avviato d’ufficio dalla Prefettura a seguito della prima e in conseguenza della conclusione del controllo giudiziario.

Con provvedimento prot. n. I.0678878 del 1° agosto 2024, comunicato all’impresa il giorno seguente, l’Anas disponeva, tuttavia, la risoluzione del contratto d’appalto, ritenendo condizione non sufficiente ai fini del mantenimento dei requisiti (di gara) “la trasmissione alla Prefettura di Reggio Calabria della comunicazione circa l’interesse dell’impresa a permanere nella White list effettuata nei 30 giorni precedenti la scadenza dell’iscrizione, in quanto l’informazione interdittiva antimafia riprende i suoi effetti allo scadere del controllo giudiziario”. Sotto un correlato profilo l’Anas evidenziava, inoltre, che all’aggiornamento dell’iscrizione nella white list, indicata dalla ricorrente come sussistente al 31.07.2024, non potesse essere ascritta valenza riabilitativa, essendo comunque intervenuta dopo la scadenza del controllo giudiziario, con conseguente soluzione di continuità nel possesso dei requisiti di gara.

Nella prevalenza dell’interesse ‘alla legalità dell’azione amministrativa’ e ‘dei principi di ordine pubblico’ rispetto al confliggente interesse alla prosecuzione dell’appalto, la stazione appaltante disponeva, dunque, ai sensi dell’art. 108, co. 1, d.lgs. n. 50/2016 la risoluzione con effetto immediato delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto di cui trattasi, provvedendo, inoltre, con provvedimento del 2.08.2024 all’escussione della garanzia fideiussoria n. 420775071, rilasciata a titolo di cauzione definitiva da Generali Italia S.p.A., per un importo pari ad € 254.022,87, con invito all’anzidetta società di assicurazioni di provvedere al pagamento della somma garantita, entro e non oltre 15 giorni dal ricevimento della comunicazione di escussione.

I.2. Avverso i provvedimenti de quibus la società ricorrente è insorta con ricorso, con domanda cautelare, notificato il 30.08.2024 e depositato il successivo 2.09.2024, contestando la legittimità della disposta risoluzione contrattuale con tre distinte doglianze in relazione ai vizi, variamente declinati, di violazione di legge ed eccesso di potere e deducendo, quanto all’escussione della cauzione, oltre all’invalidità derivata, anche i vizi propri derivanti dalla violazione dell’art. 103 d.lgs. n. 50/2016, per l’insussistenza del presupposto normativo dell’inadempimento, e dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, essendo stata disposta per l’intero importo in assenza della benché minima prova di un danno.

I.2.1. Quanto al provvedimento di risoluzione, le doglianze articolate nel ricorso hanno investito, in sintesi, tre distinti ed autonomi profili, dolendosi anzitutto la ricorrente con il primo, principale, motivo – incentrato sui vizi di “violazione e falsa applicazione degli artt. 34 bis, 92 e 94 bis del d.lgs. n. 159/2011; violazione della ratio e della finalità dell’istituto del controllo giudiziario e dell’art. 42 Cost.; violazione dei principi di buon andamento, ragionevolezza, proporzionalità e non contraddizione” ed eccesso di potere desunto da molteplici figure sintomatiche – che la lettura formalistica delle pertinenti disposizioni del codice antimafia e del codice degli appalti sostenuta dall’Anas darebbe luogo ad una irragionevole ed illogica elisione della ratio e della finalità della normativa in materia di cautela antimafia e di misure di mitigazione dei relativi effetti (quali il controllo giudiziario ex art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011), dalla quale conseguirebbe l’anticipazione di conseguenze (risoluzione del contratto) allo stato non ancora necessitate.

Secondo la ricorrente, in sostanza, la scadenza del controllo giudiziario non determinerebbe ex se la immediata reviviscenza del provvedimento interdittivo originario – nelle more, come nel caso in esame, confermato in sede giurisdizionale –, posto che, pur mancando nell’ordinamento una previsione espressa che regolamenti in modo puntuale tale peculiare profilo inerente alla fase terminale dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario c.d. ‘volontario’, il ‘congelamento’ degli effetti della prima, conseguente ai sensi del co. 7 dell’art. 34-bis cod. antimafia al decreto di ammissione dell’impresa alla misura amministrativa di vigilanza, non potrebbe che ritenersi esteso sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia. Diversamente opinando, infatti, finirebbero con l’addossarsi irragionevolmente all’impresa le conseguenze dell’eventuale difetto di contemporaneità tra i due momenti del “formale spirare del termine di durata del controllo” e del “provvedimento conseguente della Prefettura”, per tal via negandosi gli “effetti virtuosi (bonifica dai condizionamenti) che l’istituto del controllo mira a realizzare, ed il successivo aggiornamento da parte della Prefettura ad acclarare”. E così facendo ricadere “a carico di una impresa ormai bonificata quegli stessi pregiudizi che il controllo giudiziario stesso ha inteso scongiurare”.

Tale ricostruzione, d’altro canto, troverebbe piana conferma nella considerazione della durata temporale limitata dell’informazione antimafia a carattere interdittivo, prevista dall’art. 86, co. 2, d.lgs. n. 159/2011, a fronte della quale l’insorgenza di sopravvenienze – tra le quali deve certamente farsi rientrare la conclusione favorevole del controllo giudiziario – imprimerebbe il carattere della doverosità alla rivalutazione da parte della Prefettura del quadro istruttorio dal quale erano stati, illo tempore, desunti gli elementi del paventato condizionamento mafioso, a ciò precipuamente rispondendo la lettura sistematica della norma de qua con quella dettata dall’art. 91, co. 5, dello stesso codice antimafia in tema di aggiornamento.

La reviviscenza sic et simpliciter degli effetti dell’interdittiva al solo verificarsi del dato formale della cessazione del controllo giudiziario vanificherebbe, quindi, la “funzione bonificante” dallo stesso concretamente svolta, pregiudicando irrimediabilmente gli effetti che potrebbero discendere dall’eventuale rivalutazione favorevole da parte della Prefettura, magari proprio sulla scorta delle indicazioni emergenti dalla relazione finale del controllore, delle situazioni che avevano disvelato i tentativi di infiltrazione mafiosa.

I.2.2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha rintracciato un ulteriore vizio del provvedimento impugnato nell’omessa considerazione, da parte della stazione appaltante, dell’avvenuta presentazione alla Prefettura, in data 7.06.2024, di una istanza per la permanenza nella white list, integrante in sé stessa condizione (necessaria e) “sufficiente per la assicurare la permanenza dei requisiti di moralità richiesti dalla legge”. Sicché l’Anas, in assenza di riscontro da parte della Prefettura sulla richiesta urgente di informazioni, in applicazione dell’art. 88, co. 1, e 4-bis, del codice antimafia, avrebbe dovuto garantire la prosecuzione dell’appalto con riserva di risoluzione del contratto nel caso di sopravvenienza di provvedimento prefettizio di conferma della primigenia misura interdittiva.

I.2.3. Con la terza doglianza è stato, infine, dedotto il vizio procedurale derivante dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, non surrogabile dall’ordine di servizio con cui era stata disposta l’interruzione dei lavori.

I.2.4. Il provvedimento conseguenziale di escussione della cauzione definitiva, per come già rilevato, è stato invece censurato anche per vizi propri con il quarto motivo di ricorso, invocandosene, pertanto, l’annullamento indipendentemente dal vaglio delle doglianze afferenti all’atto prodromico.

I.3. L’Amministrazione dell’Interno si è costituita in resistenza con atto di forma depositato il 12.09.2024.

I.4. In data 13.09.2024 la società ricorrente ha prodotto al fascicolo processuale il decreto di pari data del Tribunale di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione, con il quale, richiamate le relazioni depositate dal controllore giudiziario, veniva dichiarata, su richiesta dell’interessata, la cessazione, “per decorrenza del termine massimo di durata, della misura del controllo giudiziario … e l’assenza di presupposti per l’applicazione di ulteriori misure ablative”.

I.5. Ulteriore documentazione, afferente in specie alla fase in itinere dell’aggiornamento dell’interdittiva ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, è stata depositata dalla difesa erariale in data 19.09.2024.

I.6. Con memoria del 2.10.2024 ha resistito al ricorso anche l’Anas, evidenziando, in punto di fatto, la circostanza della comunicazione alla società ricorrente, ai sensi dell’art. 92, co. 2-bis, cod. antimafia, in data 11.07.2024 del c.d. ‘preavviso di interdittiva’ ed eccependo, in via preliminare, l’incompetenza territoriale del TAR adito in favore del TAR Toscana. Nel merito, ha poi controdedotto alle doglianze avversarie, rivendicando il carattere vincolato della determina di risoluzione adottata, conseguente, in assenza di margini di discrezionalità, al ripristino degli effetti dell’interdittiva a seguito della cessazione del controllo giudiziario e tenuto conto della nota della Prefettura del 4.09.2024 con la quale era stata rimarcata, per un verso, l’iscrizione dell’impresa nella white list per il solo effetto dell’ammissione al controllo giudiziario (e delle successive proroghe) e, per altro verso, l’omesso rilascio, successivamente all’interdittiva di “alcuna certificazione liberatoria, essendo la fase istruttoria volta al riesame del provvedimento prefettizio del 26.02.2020 tuttora in corso”.

I.7. Anche la difesa erariale, eccepita preliminarmente l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno e della Prefettura, in quanto privi di legittimazione passiva, e fatta propria l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall’Anas, ha articolato con memoria del 3.10.2024 le proprie controdeduzioni alle doglianze difensive, argomentandone l’infondatezza e concludendo per il rigetto del ricorso.

I.8. La società ricorrente ha replicato a tali rilievi con memoria, con allegata documentazione, depositata il 4.10.2024, evidenziando, in particolare, l’attestazione della conclusione ‘positiva’ del controllo giudiziario emergente dal decreto del 13.09.2024 del Tribunale di Prevenzione e dalla sottesa relazione conclusiva del controllore, ed insistendo, pertanto, per l’accoglimento del ricorso e della spiegata domanda cautelare.

I.9. Con ordinanza deliberata nel corso della medesima camera di consiglio del 9.10.2024 il Collegio, disattesa preliminarmente l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle Amministrazioni resistenti e ritenuto insussistente il fumus boni iuris dei motivi proposti in via graduata, ha accolto provvisoriamente la domanda cautelare sul presupposto del rilievo ex officio, in relazione al primo motivo di ricorso, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, co. 7, cod. antimafia (eventualmente in combinato disposto con altre norme quali gli artt. 86, co. 2, e 91, co. 5), ritenendola, per le ragioni da illustrarsi in separata ordinanza, non manifestamente infondata e rilevante, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario operi anche con riferimento al tempo successivo alla sua cessazione occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia. Per l’effetto, sussistendo il periculum in mora, è stata, dunque, disposta interinalmente la sospensione dei provvedimenti impugnati, rinviandosi per l’ulteriore trattazione della fase cautelare ad una camera di consiglio da fissarsi all’esito della pronuncia della Corte costituzionale.

II. La questione di legittimità costituzionale rilevata ex officio e l’impossibilità di una lettura costituzionalmente orientata.

II.1. In sede di delibazione cautelare il Collegio ha ritenuto la doglianza articolata in via principale con il primo motivo di ricorso non suscettibile, prima facie, di condivisione, “ostando alla ricostruzione interpretativa, pur pregevole, prospettata dalla ricorrente in ordine alla protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva anche dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario e sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, la mancanza nell’ordinamento di una previsione espressa che regolamenti in modo puntuale tale peculiare profilo inerente alla fase terminale dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario c.d. volontario”.

In altri termini, nel disattendere il fumus della prima doglianza, il Collegio ha ritenuto che la lettura prospettata da parte ricorrente in ordine alle disposizioni del codice antimafia rilevanti nella presente vicenda sia sprovvista di un valido addentellato positivo, mancando, appunto, nel codice antimafia – e parimenti, per quanto meglio si dirà più avanti, nel codice dei contratti pubblici, che pur richiama in tema di cause di esclusione l’istituto del controllo giudiziario – una previsione che regolamenti in modo espresso gli effetti dell’interdittiva nel tempo intercorrente tra la cessazione del controllo giudiziario e l’aggiornamento della stessa ad opera della competente Prefettura.

Il dato testuale espresso dal co. 7 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, là dove stabilisce che “Il provvedimento che dispone … il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende … gli effetti di cui all'articolo 94”, appare, in definitiva, ad avviso del Collegio, insuperabile, ricollegando l’effetto tipico che consegue al decreto di ammissione al controllo giudiziario (cioè, la sospensione dell’incapacità a contrattare) alla sua vigenza. Ne risulta, allora, preclusa in nuce qualsiasi diversa interpretazione che, pur nell’ottica di correggere le vistose distorsioni applicative denunciate dalla società ricorrente, tenda a dilatare temporalmente l’effetto in questione oltre il momento di cessazione della misura prescrittiva.

In tal senso, d’altronde, si è attestato l’univoco orientamento della giurisprudenza amministrativa, escludendo perentoriamente che “in assenza di una espressa previsione in tal senso permangano gli effetti sospensivi connessi ad un provvedimento revocato e dunque incapace di produrre ulteriori effetti in ragione dell’esaurimento della finalità di controllo allo stesso sottesa” (così, in relazione ad una vicenda sovrapponibile alla presente, TAR Lazio, sez. III-ter, 24 ottobre 2023, n. 15775, confermata da Cons. St., sez. III, 10 aprile 2024, n. 3266).

A sostegno di tale tesi, richiamata nelle difese delle Amministrazioni resistenti, è stata peraltro evocata, ad integrazione del dato testuale, la marcata diversità dei due istituti sul piano dei presupposti e delle finalità che essi perseguono, per come ormai pacificamente delineatasi, anche sul versante delle conseguenti refluenze processuali, a seguito delle già menzionate decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 7 e 8 del 2023. In tale prospettiva, in particolare, l’esclusione di una ipotetica protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva anche dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario è stata argomentata richiamando il piano dei rapporti per così dire ‘terminali’ tra quest’ultimo e la pregressa interdittiva, ricostruiti secondo un ormai consolidato indirizzo interpretativo nel senso di escludere che l’esito favorevole del controllo giudiziario possa determinare, ex se, il superamento dell’interdittiva.

Chiamata, infatti, a delineare il ‘ciclo di possibili relazioni’ intercorrenti tra controllo giudiziario conclusosi favorevolmente e valutazioni successivamente effettuate dal Prefetto in sede di aggiornamento dell’informativa (che abbia, evidentemente, conservato la sua validità a seguito della conferma in sede giurisdizionale nelle more della pendenza del controllo), la giurisprudenza amministrativa, muovendo proprio dalla considerazione delle diverse funzioni e dei differenti campi d’azione dei due istituti, ha condivisibilmente ritenuto che “Le favorevoli conclusioni dell’amministratore giudiziario, e la conseguente chiusura del ‘controllo giudiziario’ non sono … assimilabili ad un giudicato di accertamento” (Cons. St., sez. II, 16 giugno 2022, n. 4912), non modificando, in sostanza, “il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione mafiosa, che è pertanto rimesso al Prefetto, il quale, una volta intervenuta la misura del controllo, potrebbe valutare l’esito positivo dello stesso, quale sopravvenienza rilevante ai fini dell’aggiornamento e della rivalutazione dell’interdittiva prefettizia, pur restando libero di confermare il provvedimento interdittivo originario” (cfr. ancora TAR Lazio, n. 15775/2023 cit.).

Se, dunque, “la funzione bonificante concretamente svolta dal controllo giudiziario non [può] essere obliterata dal Prefetto, pena lo scadimento dell’azione amministrativa nell’eccesso di potere con sostanziale tradimento della voluntas legislatoris”, allo stesso tempo, “ciò non vuol dire, però, che dal controllo giudiziario derivi un vincolo alle valutazioni postume del Prefetto, alla luce di una presunzione assoluta di avvenuta bonifica”. E ciò poiché se è pur vero “che il controllo giudiziario è idoneo a creare un ambiente di impresa e di relazioni commerciali ‘garantito’, caratterizzato dal controllo analitico dell’amministratore sugli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati e ricevuti, sugli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria, nonché dall’imposizione di modelli organizzativi idonei a prevenire o a diminuire il rischio infiltrativo”, ciò non esclude che possano “verificarsi vicende non facilmente intercettabili dall’amministratore giudiziario in quanto destinate a muoversi sul piano dei rapporti personali dell’imprenditore e degli ambienti familiari e sociali nel quale egli opera e che, viceversa, più agevolmente si prestano ad essere vagliate nel quadro di indagini penali o di controlli di polizia che ne disvelino la loro vera natura sostanziale, al di là degli schermi formali prescelti”. Sicché, in conclusione, deve “escludersi che il controllo giudiziario sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, in guisa da assumere oltre ad una funzione cautelare e bonificante, anche una funzione riabilitante, poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire una sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l’informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda, e quest’ultimo quello di un percorso che esenta l’imprenditore da qualsivoglia effetto interdittivo nei rapporti con la Pubblica amministrazione (dapprima in sede cautelare e poi in forza dell’effetto riabilitante)” (cfr., ancora, Cons. St., n. 4912/2022 cit.).

La pacifica ‘sopravvivenza’ dell’informazione interdittiva antimafia alla conclusione favorevole del controllo giudiziario (che da essa abbia preso, a domanda di parte, innesco), se pur obbligatoriamente necessitante di una rivalutazione da parte del Prefetto ai sensi dell’art. 91, co. 5, cod. antimafia (com’è noto doverosa, anche in mancanza di un’iniziativa di parte, in forza del disposto dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza 57/2020: v., nella giurisprudenza della Sezione, sent. n. 68 del 25.01.2024), in una alla mancanza di una previsione normativa espressa che ne regolamenti gli effetti nella pendenza di questo specifico frangente temporale, rendono, allora, impraticabile la lettura costituzionalmente orientata delle norme qui rilevanti suggerita da parte ricorrente nel ricorso.

Tale esegesi, infatti, se pur, per quanto sin qui osservato, appaia coerente con le diverse finalità dei due istituti e plausibilmente orientata a scongiurare il rischio della vanificazione, per effetto del mancato raccordo della tempistica del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva con la durata del controllo, degli effetti favorevoli conseguenti ad una successiva informazione liberatoria, non può per le ragioni esposte de iure condito predicarsi, dovendosi al contrario ritenere che la scadenza del controllo, ancorché favorevolmente conclusosi, non possa che determinare in via automatica la reviviscenza degli effetti dell’interdittiva.

II.2. Conviene, al riguardo, ancora soggiungere che le criticità denunciate dalla società ricorrente in sede ricorsuale risultano, invero, accentuate per un duplice ordine di ragioni.

Per un primo verso, infatti, la casistica applicativa ha rivelato l’esistenza di prassi non condivisibili delle Prefetture nella tempistica di evasione delle istanze di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia presentate in pendenza del controllo giudiziario, sul rilievo secondo cui per la definizione del procedimento sarebbe necessaria la previa acquisizione della relazione conclusiva predisposta dal controllore giudiziario.

Tale assunto, a ben vedere, oltre a porsi in attrito con la validità temporale limitata dell’interdittiva (pur nel peculiare significato affermato dalla concorde giurisprudenza amministrativa, secondo cui “il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, … ma produce l'effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all'Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva ai fini dell'aggiornamento della originaria prognosi interdittiva”; cfr., da ultimo, TAR Sicilia, sez. I, 16 luglio 2024, n. 2247), stride apertamente con la rilevata assenza di pregiudizialità tra l’esito del controllo e la rivalutazione da compiersi sulla presupposta informazione antimafia, ben potendo l’autorità prefettizia determinarsi sull’istanza di riesame senza tener conto dell’andamento (in corso) del controllo giudiziario (o, comunque, considerando le sole risultanze provvisorie), stante il differente sindacato che essa è chiamata ad operare. Ed infatti, l’aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia ha pur sempre ad oggetto il solo profilo, storico/statico, del pericolo di condizionamento mafioso per come ‘fotografato’ con l’originaria interdittiva, essendo a tale vaglio estranea la considerazione della funzione ‘bonificante’ del monitoraggio ad opera di un controllore giudiziario.

E, d’altro canto, ove sia la stessa parte a stimolare l’aggiornamento dell’interdittiva anteriormente alla scadenza del controllo, è evidente che ciò avvenga sul presupposto del “venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”, cioè a dire dell’emersione di sopravvenienze verificatesi durante la sottoposizione al controllo e suscettibili di essere valutate indipendentemente dai rilievi del controllore o, comunque, tenendo conto dei soli risultati provvisori dal medesimo in itinere segnalati.

Sul punto deve, allora, ritenersi che l’obbligo del Prefetto di provvedere sull’istanza di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia non venga meno, al ricorrere delle prescritte condizioni, per la sola ragione che l’impresa istante sia (ancora) sottoposta al controllo giudiziario ex art. 34-bis, e ciò in quanto la valutazione prefettizia circa l’esistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, pur costituendo, in presenza di un’agevolazione di natura occasionale, il presupposto per l’attivazione dell’anzidetta misura di vigilanza prescrittiva, persegue finalità diverse che non sono quelle di risanamento dell’impresa interdetta bensì di stretta prevenzione dal rischio di infiltrazione mafiosa (v. ancora TAR Reggio Calabria, n. 68/2024 cit.; Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515).

In proposito deve, ancora, osservarsi che la tempistica del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia integra, di per sé, un fattore idoneo ad accentuare le criticità che si profilano nello specifico frangente temporale in questa sede in considerazione, implicando lo svolgimento di un’impegnativa istruttoria volta alla verifica dell’incidenza delle sopravvenienze sul pericolo di infiltrazione mafiosa che era stato, a suo tempo, posto a fondamento dell’adozione dell’interdittiva.

Sotto un diverso angolo visuale, poi, la rilevata mancanza nell’ordinamento di una norma che valga a dilatare temporalmente la sospensione degli effetti dell’interdittiva discendente dall’ammissione al controllo giudiziario per il tempo occorrente alla Prefettura, in esito alla sua cessazione, per concluderne il procedimento di riesame (da attivarsi, in mancanza di una richiesta dell’interessato, anche d’ufficio) è foriera di gravosissime conseguenze applicative proprio nel settore degli appalti pubblici, determinando la reviviscenza dell’interdittiva – per come infra meglio si dirà – una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti di gara, i cui effetti non potrebbero, peraltro, essere retroattivamente neutralizzati né da un’eventuale informazione liberatoria emessa a valle del procedimento di riesame né, a fortiori, nel caso di sospensione cautelare della nuova interdittiva, non potendo in tale ultimo caso l’efficacia ex tunc della misura cautelare estendersi sino a coprire in via retroattiva anche il periodo di ripristino dell’efficacia della pregressa inibitoria.

III. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata ex officio.

III.1. Per come già rilevato nell’ordinanza cautelare, ed alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, ritiene il Collegio che il co. 7 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, nell’impossibilità di una diversa lettura che ne consenta una dilatazione della relativa portata temporale nei sensi suggeriti da parte ricorrente, sia costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale.

III.2. In primo luogo, la mancata previsione nella norma in esame della protrazione dell’effetto sospensivo dell’interdittiva per il tempo intercorrente tra la cessazione della misura e la definizione del procedimento di riesame ex art. 91, co. 5, si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

Sotto un primo profilo, l’immediata ed automatica riespansione degli effetti pregiudizievoli conseguenti all’interdittiva, paralizzati durante la vigenza del controllo giudiziario, al momento della sua cessazione determina, anzitutto, una irragionevole ed ingiustificata violazione del principio di uguaglianza, implicando un trattamento disomogeneo di situazioni sostanzialmente identiche, le cui ricadute altamente pregiudizievoli si apprezzano con accentuata criticità, come poc’anzi già osservato, proprio nel settore degli appalti pubblici.

E difatti, l’impresa che si venga a trovare nella situazione concreta oggetto della presente vicenda processuale è esposta ad un trattamento significativamente deteriore rispetto a quello dell’impresa che, pur versando in un’identica situazione di fatto, quale destinataria di un’interdittiva antimafia, possa immediatamente contestarne con gli strumenti previsti dall’ordinamento la legittimità.

Ed invero, mentre nella generalità dei casi, l’incapacità di contrattare con la P.A. conseguente all’adozione di un’interdittiva potrà essere avversata dall’impresa che ne è destinataria con la proposizione del ricorso giurisdizionale e con l’invocazione della tutela cautelare, idonea in caso di favorevole delibazione a neutralizzarne gli effetti ex tunc (cfr. TAR Reggio Calabria, 11 ottobre 2021, n. 780) – così non pregiudicando, neanche nel sistema del previgente codice degli appalti, la continuità nel possesso dei requisiti di gara –, nella situazione qui in esame l’operatore economico non potrà che subire inerme gli effetti pregiudizievoli discendenti dal ripristino dell’efficacia dell’interdittiva; non potendo, in specie, prima della conclusione del procedimento di riesame, né (re)impugnare l’originaria informazione antimafia, in quanto già coperta da giudicato sfavorevole, né, allo stesso tempo, presentare una nuova domanda di ammissione al controllo giudiziario, difettando il presupposto ‘processuale’ dell’avvenuta contestazione in sede giurisdizionale dell’interdittiva (costituendo la relativa adozione un evento futuro e incerto).

La condizione dell’impresa che versa nel limbo dell’attesa dell’aggiornamento della propria posizione ‘post controllo giudiziario’ si presenta, inoltre, deteriore anche rispetto a quella dell’impresa che, non ottenuta la tutela cautelare invocata a corredo del ricorso avverso l’interdittiva, venga, nondimeno, ammessa su domanda al controllo giudiziario c.d. ‘volontario’. Ed infatti in tal caso all’impresa sarà assicurata non soltanto la possibilità di proseguire nell’esecuzione dei contratti d’appalto già stipulati al momento dell’adozione dell’interdittiva (facoltà già riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza nel vigore del previgente codice degli appalti ai sensi dell’art. 80, co. 2, ultimo periodo, introdotto con il d.l. n. 32/2019, convertito in L. n. 55/2019: v., per tutte, Cons. St., sez. V, 14 aprile 2022, n. 2847 e, da ultimo, TAR Toscana, sez. IV, 30 settembre 2024, n. 1074), ma pure quella di ottenere l’aggiudicazione quand’anche l’interdittiva sia stata emessa nella fase pubblicistica di scelta del contraente. La disciplina sul punto introdotta dal d.lgs. n. 36/2023 (art. 94, co. 2) ha, infatti, apportato un rilevante correttivo rispetto al regime precedente, prevedendo espressamente che la causa di esclusione riconducibile alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa (cioè a dire all’emissione di un’interdittiva) non operi “se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis”. Dal ché discende il superamento di quell’indirizzo interpretativo consolidato che, nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, aveva ritenuto che l’ammissione al controllo giudiziario dell’impresa colpita da interdittiva nel corso della fase pubblicistica della procedura di gara non potesse operare retroattivamente, non sortendo pertanto efficacia salvifica sulla partecipazione alla gara, compromessa dalla interruzione della continuità nel possesso dei requisiti di gara (la giurisprudenza era infatti concorde nell’escludere la configurabilità di un possibile effetto ‘prenotativo’ della domanda di ammissione al controllo giudiziario, tale da consentire, a seguito del provvedimento di accoglimento, di sanare retroattivamente la perdita temporanea del requisito di partecipazione: cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 20 marzo 2024, n. 2721; TAR Campania, sez. I, 26 ottobre 2023, n. 5838).

In definitiva, solo nella situazione fattuale che qui rileva l’impresa vedrebbe irrimediabilmente pregiudicata la sua posizione giuridica, discendendo dalla reviviscenza degli effetti dell’interdittiva in conseguenza della scadenza del controllo giudiziario l’immediata ed automatica risoluzione dei rapporti contrattuali in essere – come appunto verificatosi nella presente vicenda – o l’esclusione dalle procedure di gara in fase di aggiudicazione.

Conseguenze, queste, per come già anticipato, da considerarsi peraltro irreversibili, posto che la perdita - da ciò derivante - del possesso del requisito di gara correlato all’insussistenza di un “tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84, co. 4” d.lgs. n. 159/2011 non potrebbe essere rimediata, con effetti salvifici, né dall’eventuale successiva informazione liberatoria né, tanto meno, dall’accoglimento della domanda cautelare proposta con l’impugnativa della nuova interdittiva (eventualmente) emessa a valle del procedimento di riesame. Ed infatti, alla prima non può che riconoscersi una mera efficacia ex nunc, come tale inidonea ad incidere sugli effetti medio tempore prodotti dal ripristino della pregressa interdittiva; laddove, invece, l’efficacia della ‘sospensiva’ della nuova interdittiva retroagisce sino al momento della relativa adozione, non potendo, tuttavia, certamente neutralizzare gli effetti prodottisi anteriormente nel frangente temporale più volte evocato oggetto del presente incidente di costituzionalità.

III.3. Identiche considerazioni valgono a supportare il dubbio dell’illegittimità della norma per violazione degli artt. 24 e 117, co. 1, Cost. (quest’ultimo) in relazione all’art. 13 della CEDU. La disciplina di cui trattasi determina, infatti, una ingiustificata e quanto mai pregnante compressione del diritto di difesa dell’interessato, al quale è preclusa la possibilità di attivare qualsiasi rimedio tanto contro gli ‘effetti ripristinati’ dell’interdittiva, già oggetto di sindacato giudiziale definitivo, quanto, per evidente mancanza di interesse, contro il provvedimento – sempre ad ammettere che il giudice della prevenzione debba formalmente adottarlo – dichiarativo della cessazione del controllo per scadenza del termine massimo di durata, o, allo stesso modo, per l’anticipata chiusura da parte del Tribunale di Prevenzione in assenza di richiesta di proroga (sempreché ne emerga, o possa comunque desumersi, l’esito positivo del controllo, perché diversamente, in quest’ultimo caso, un interesse potrebbe ravvisarsi).

Appare fin troppo evidente, invero, che la mancata previsione di un qualsiasi rimedio difensivo per contestare la verificazione degli effetti de quibus sacrifichi penetrantemente, e in assenza di una plausibile ragione giustificativa, il diritto di difesa presidiato dall’art. 24 Cost., ponendo l’impresa in una condizione di incolpevole soggezione all’amministrazione, foriera di gravosissime conseguenze.

Tale situazione si palesa, inoltre, sotto il medesimo angolo visuale, in insanabile attrito con l’art. 13 della CEDU - immediatamente rilevante per il tramite del parametro interposto offerto dall’art. 117, co. 1, Cost. - il quale assicura infatti a “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati” il “diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

Tale norma, nell’interpretazione offertane dalla giurisprudenza della Corte EDU, ha come conseguenza di esigere un ricorso interno dinanzi a una “istanza nazionale competente” che offra la possibilità di ottenere l’esame del contenuto di una “doglianza difendibile” (sulla relativa nozione, Boyle e Rice c. Regno Unito, 1998, § 52; Maurice c. Francia [GC], 2005, § 106) basata sulla Convenzione e il riconoscimento della riparazione appropriata, anche se gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per quanto riguarda il modo in cui conformarsi agli obblighi loro imposti da tale disposizione. L’art. 13 garantisce, in sostanza, l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di avvalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione (Rotaru c. Romania [GC], 2000, § 67); esso non ha, quindi, una ragione d’essere indipendente, mirando, invece, a completare le altre clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli (Zavoloka c. Lettonia, 2009, § 35 a). Sicché la norma può essere applicata soltanto in combinato disposto con, o in riferimento a, uno o più articoli della Convenzione o dei suoi Protocolli di cui sia stata dedotta la violazione.

Orbene, non v’è dubbio che nella presente vicenda la violazione dell’art. 13 si presti ad essere rilevata in relazione all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), per l’evidente incidenza delle conseguenze pregiudizievoli discendenti dalla singolare condizione che insorge al momento della cessazione del controllo giudiziario sulla vita privata della persona titolare o interessata alla gestione dell’impresa, nonché, e ancor più vistosamente, in relazione all’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione, che tutela i beni privati e la proprietà.

Sul punto vale la pena soltanto soggiungere che la tutela offerta dall’art. 13 rafforza e completa quella accordata dall’art. 6, § 1, della CEDU, qui pure (autonomamente) rilevante, nella parte in cui riconosce a ciascuno il diritto di ottenere che la sua causa venga esaminata entro un termine ragionevole, posto che nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte la prima disposizione garantisce (anche) un ricorso effettivo dinanzi a un'istanza nazionale che consenta di denunciare una inosservanza dell’obbligo, imposto dall'articolo 6 § 1, di esaminare le cause entro un termine ragionevole (Kudla c. Polonia [GC], 2000, § 156).

La Corte Edu ha peraltro chiarito che l’effettività del ricorso implichi, preferibilmente, il suo carattere ‘preventivo’, cioè l’idoneità a prevenire la violazione, dovendo tale soluzione privilegiarsi in termini di utilità rispetto ai rimedi di tipo indennitario, che tendano, cioè, a ristorare la persona per una violazione già verificatasi (Giuseppina e Orestina Procaccini c. Italia [GC], 2006, § 72; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], 2006, § 183). A tal riguardo, e proprio con riferimento alle ingerenze sulla vita familiare, la Corte ha infatti osservato che l’obbligo positivo degli Stati di adottare misure adeguate per garantire ai ricorrenti il rispetto della loro vita familiare ai sensi dell’art. 8 potrebbe essere reso illusorio se gli interessati disponessero solo di un ricorso indennitario, che può portare unicamente ad una riparazione pecuniaria a posteriori (Macready c. Repubblica ceca, 2010, § 48).

In definitiva, lo stato di incondizionata soggezione al potere pubblico in cui si viene a trovare l’imprenditore nel frangente temporale di cui si è detto, non disponendo di alcuno strumento per contestare e contrastare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla ‘automatica’ reviviscenza dell’interdittiva, integra ad avviso del Collegio una violazione dell’art. 13 CEDU in relazione ai diritti fondamentali presidiati dalle norme convenzionali sopra citate, risultando egli privato del diritto ad un ‘ricorso effettivo’ per dolersi di tale situazione, che possa consentirgli, in caso di favorevole delibazione, di neutralizzarne retroattivamente le conseguenze, facendo così salvi i diritti provvisoriamente incisi dalla P.A..

III.4. Per le stesse ragioni è possibile rilevare il contrasto della norma con gli artt. 111, co. 1 e 2, e 113 Cost., comportando il vulnus normativo che affligge il co. 7 dell’art. 34-bis del codice antimafia una limitazione della “tutela giurisdizionale … degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione … amministrativa” che è “sempre ammessa” contro gli atti della pubblica amministrazione.

III.5. Oltre alle criticità rilevate nel fuoco degli artt. 3 e 24 Cost. nei sensi sin qui chiariti, i dubbi di costituzionalità della norma di cui trattasi emergono anche nella prospettiva della violazione dell’art. 97 Cost. in riferimento al principio di buon andamento della P.A. nonché in relazione ai canoni di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, ai quali l’azione pubblica dev’essere sempre ed irrinunciabilmente orientata.

La mancata previsione nella norma qui in esame dell’ultrattività del congelamento degli effetti dell’interdittiva anche dopo la scadenza della misura di vigilanza prescrittiva e per il tempo occorrente alla definizione del procedimento di aggiornamento della prima risulta, infatti, priva di logicità e ragionevolezza, obliterando del tutto la ratio e le finalità del controllo giudiziario, in quanto volto dinamicamente a consentire all’impresa che vi è ammessa di affrancarsi dall’ambiente contaminato che ne aveva determinato la permeabilità, ancorché in forma occasionale, all’ingerenza mafiosa.

Nel diritto vivente, ormai sul punto stabilmente attestatosi a seguito della compiuta delineazione in via di interpretazione, ad opera della giurisprudenza di legittimità e di quella amministrativa, dei differenti campi d’azione, e dei sottesi presupposti, dei due istituti in esame, l’essenza del controllo giudiziario è stata rintracciata nel perseguimento di una finalità dinamica tendente al risanamento dell’impresa nella peculiare ipotesi in cui l’agevolazione sia occasionale e vi siano, pro futuro, concrete possibilità che essa compia un fruttuoso cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi di controlli e sollecitazioni. Proprio tale precisa direzione finalistica impressa dal legislatore all’istituto giustifica la previsione, di cui al comma 7 qui in esame, della sospensione dell’incapacità a contrarre derivante dall’interdittiva antimafia – che ne costituisce il basilare presupposto ed il cui sindacato è rimesso al giudice amministrativo –, figurando intimamente connessa alle finalità del controllo giudiziario, inteso dal Legislatore quale strumento giurisdizionale volto a garantire all’impresa la prosecuzione “assistita” della propria attività, nella prospettiva del superamento della situazione di occasionale agevolazione all’attività della criminalità organizzata (cfr., ex multis, Ad. Plen. sent. nn. 7 e 8/2023 cit., Cons. St., n. 4912/2022 cit.; Id., n. 2515/2024 cit.).

Viceversa, la misura amministrativa della informativa antimafia di cui all’art. 91 d.lgs. n. 159/2011 “svolge la sua funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo ‘statico’, e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato” (così Ad. Plen. n. 7/2023). La valutazione prefettizia circa l’esistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, pur costituendo, in presenza di una agevolazione di natura occasionale, il presupposto per l’attivazione del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis d.lgs. n. 159/2011, persegue finalità diverse che non sono quelle di risanamento dell’impresa interdetta bensì di stretta prevenzione dal rischio di infiltrazione mafiosa.

Ed è proprio in ragione della natura storico/statica degli elementi che sorreggono la valutazione interdittiva antimafia di cui all’art. 91 cit., che il Legislatore ne ha previsto un meccanismo di necessaria attualizzazione ed aggiornamento, da attivarsi, decorso il periodo di efficacia della misura in questione (un anno), mediante un procedimento che il Prefetto deve avviare d’ufficio, ovvero su input dell’interessata, tutte le volte in cui sopravvengono circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa.

In altri termini, la valutazione “statica” di cui all’interdittiva antimafia, pur dando la stura, a determinate condizioni, all’avvio del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis cod. antimafia, viaggia, successivamente, su un binario parallelo e necessita, in ragione tanto della storicità degli elementi alla stessa sottesi quanto del carattere prognostico (cd. criterio del “più probabile che non”) del giudizio espresso sul pericolo di condizionamento mafioso, di un doveroso aggiornamento, pena l’indebita compressione del valore costituzionale della libertà di impresa, con inevitabile frustrazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 41 Cost. (cfr. la già citata sent. della Sezione n. 68/2024).

La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 57/2020, ha confermato la legittimità del sistema delle informazioni interdittive antimafia in una necessaria prospettiva anticipatoria della difesa della legalità – essendo tesa a prevenire, a valle di un giudizio prognostico ed indiziario, possibili sbocchi illegali dell’infiltrazione mafiosa – a condizione che sia garantita l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, ovvero la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale dall’altro. Ed uno degli strumenti necessari ad assicurare siffatta equilibrata ponderazione coincide con il “carattere provvisorio della misura”, sancito dall’art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, cui fa da contraltare l’obbligo della Prefettura di provvedere all’aggiornamento degli elementi posti a base della stessa, per come espressamente previsto dal successivo art. 91, comma 5.

Orbene, alla luce di tali lineari principi, integranti ormai un condiviso patrimonio ermeneutico nell’ambito dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, le criticità della norma sospettata di incostituzionalità in relazione ai menzionati canoni di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento figurano, invero, manifeste, posto che la relativa applicazione, per come plasticamente verificatosi nel caso oggetto del presente giudizio, determina l’ingiustificata, ed al contempo irrimediabile, frustrazione delle finalità perseguite con l’introduzione nel sistema della legislazione antimafia della misura del controllo giudiziario. Ed infatti, la mancata previsione della protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino alla conclusione del procedimento volto al relativo riesame preclude all’impresa che si sia attenuta alle prescrizioni impartite dal giudice della prevenzione in costanza del controllo di poter beneficiare degli effetti utili potenzialmente rivenienti dal proficuo completamento dell’intrapreso percorso di bonifica. Esponendola, nonostante l’esito favorevole dello stesso, e prima ancora della autonoma valutazione da parte dell’autorità prefettizia in merito all’incidenza delle misure di self cleaning attuate sul pericolo di permeabilità all’ingerenza della criminalità organizzata originariamente rilevato, a tutte le conseguenze pregiudizievoli che proprio l’ammissione al controllo aveva inteso scongiurare.

Si è, allora, al cospetto di un vero e proprio corto circuito normativo.

Da un lato, infatti, a fronte del carattere occasionale dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed all’esito di un giudizio prognostico favorevole in ordine all’emendabilità delle situazioni che ne stanno alla base, si consente all’impresa, colpita da interdittiva antimafia, di continuare ad operare sotto la supervisione giudiziale di un controllore giudiziario, e ciò al precipuo fine di consentirle, nell’immediato, di recuperare la capacità di contrattare con la pubblica amministrazione (persa in conseguenza dell’interdittiva), e, in prospettiva futura, di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal rilevato condizionamento delle infiltrazioni mafiose.

Dall’altro laro, però, contraddittoriamente, si prevede che gli effetti dell’interdittiva (frattanto confermata in via definitiva in sede giurisdizionale o ancora sub iudice), temporaneamente paralizzati dal monitoraggio giudiziale dell’attività d’impresa, possano ripristinarsi prima ancora che il Prefetto verifichi, nell’ambito del procedimento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, l’eventuale incidenza positiva delle misure prescrittive imposte all’impresa sul pericolo di condizionamento mafioso che lo aveva a suo tempo indotto all’emissione della misura inibitoria antimafia (e che era stato, comunque, considerato ‘occasionale’ dal giudice penale). Verifica, questa, che, come già rilevato, non può essere obliterata, pena lo scadimento dell’azione amministrativa nell’eccesso di potere con sostanziale vanificazione della ratio dell’istituto del controllo giudiziario.

L’irragionevolezza della disciplina emerge, d’altronde, in modo lampante proprio nell’evenienza in cui tale verifica si concluda in modo favorevole, cioè con un positivo apprezzamento da parte del Prefetto della funzione bonificante sortita dalle misure di self cleaning attuate dall’impresa sotto l’egida del tribunale penale, e, quindi, con l’emissione di un’informazione liberatoria. In tal caso, infatti, la parentesi temporale di riespansione degli effetti dell’interdittiva, causata dal disallineamento dei tempi dei due procedimenti (controllo e riesame) – nell’attuale assetto normativo pressoché ineliminabile – sarà foriera per l’impresa di irrimediabili conseguenze (in specie, per quanto già rilevato, nel settore degli appalti pubblici), con buona pace del principio di buon andamento della P.A. e frustrazione delle finalità prese di mira dal legislatore con l’introduzione della misura del controllo giudiziario, nel solco, peraltro, di un preciso trend legislativo utilmente avviato nell’ambito della legislazione antimafia e recentemente implementato con le misure di cui all’art. 94-bis del medesimo codice.

III.6. Nella medesima cornice dell’art. 97 Cost. rileva, inoltre, una vistosa trasgressione dei principi di efficienza ed economicità, derivando dalla riespansione degli effetti dell’interdittiva alla scadenza del controllo giudiziario l’onere per le stazioni appaltanti, nel caso di contratti in corso di esecuzione, di provvedere solertemente alla sostituzione dell’impresa appaltatrice, con inevitabili ritardi e aggravio dei costi. Specularmente, tale situazione appare idonea a compromettere, con effetti che potrebbero talvolta rivelarsi irrimediabili, la capacità economico-produttiva dell’impresa e la forza lavoro ivi impiegata per il periodo di sottoposizione della stessa ad un regime di ‘legalità controllata’ (v. TAR Toscana, n. 1074/2024 cit.).

III.7. Proprio sotto quest’ultimo angolo visuale si apprezza, allora, in modo egualmente manifesto, altresì, la violazione del canone di proporzionalità, risultando gli effetti derivanti dal ripristino, in modo pieno ed incondizionato, dell’efficacia dell’interdittiva sproporzionati rispetto allo scopo di massima anticipazione della tutela dell’economia sana dalle incrostazioni criminali che permea il sistema della documentazione antimafia. In primo luogo, per la cogente assenza di gradualità, cioè per la mancata previsione di un qualsiasi meccanismo di graduazione della relativa riespansione, che avrebbe potuto essere variamente modulato dal legislatore tenendo conto di plurimi fattori (a solo titolo esemplificativo, consentendo l’esecuzione dei contratti in corso o lasciando impregiudicato l’esercizio delle attività soggette a regime autorizzatorio, cioè quelle svolte in ambito prevalentemente privato). Ancora, per la semplice ragione che il fine (in ipotesi) preso di mira (tuttavia non agevole da rintracciare, sembrando, piuttosto, che in parte qua la norma sconti un difetto di coordinamento con altre disposizioni) avrebbe potuto essere perseguito, con analoga efficacia, con soluzioni decisamente meno afflittive per l’imprenditore e pure già previste per situazioni affini, quale, in primis, quella di rendere operante nella fattispecie qui in rilievo il meccanismo della “condizione risolutiva” previsto dal co. 3 dell’art. 92 del codice antimafia nel caso di inosservanza del termine per il rilascio dell’informazione antimafia. In alternativa, il superamento delle rilevate criticità avrebbe potuto, ancora, essere assicurato mediante la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame, consentendosi per tal via, pur dopo la formale scadenza del controllo, il persistente monitoraggio dell’impresa, utile a scongiurare la riemersione in via soltanto provvisoria degli effetti dell’interdittiva per l’evenienza di una successiva determinazione prefettizia liberatoria, magari poggiante proprio sul proficuo completamento dell’intrapreso iter di bonifica.

III.8. Le stesse considerazioni in punto di difetto di proporzionalità sorreggono il convincimento del contrasto della norma censurata con l’art. 117, co. 1, Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, risultando violato il “ragionevole rapporto di proporzionalità” tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito che la norma esige sia rispettato ogni qualvolta l’attività della P.A. comporti un’ingerenza, normativamente disciplinata, nella proprietà privata. Rapporto di proporzionalità che la Corte europea reputa non garantito se la persona interessata debba sostenere un ‘onere eccessivo ed esagerato’ (cfr. G.I.E.M. contro Italia, Grande Camera 28.06.2018 e giurisprudenza ivi richiamata), tale dovendosi considerare quello non strettamente necessario all’utile soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito.

Nella recentissima pronuncia J. Paul Getty Trust e Altri C. Italia (prima sezione, 2.05.2024) la Corte ha ribadito che indipendentemente dalla norma applicabile dell’art. 1 del Protocollo n. 1, qualsiasi ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni può essere giustificata solo se serve un legittimo interesse generale. Il principio di un “giusto equilibrio” inerente all’art. 1 del Protocollo n. 1 presuppone l’esistenza di un interesse generale della comunità (si veda Ðokic c. Bosnia ed Erzegovina, n. 6518/04, § 57, 27 maggio 2010). Secondo la Corte, “la preoccupazione di raggiungere un ‘giusto equilibrio’ tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e le esigenze della protezione dei diritti fondamentali dell'individuo si riflette nella struttura dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 nel suo complesso, indipendentemente dai paragrafi interessati in ciascun caso, e comporta la necessità di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si vuole raggiungere (si veda, tra le altre autorità, East West Alliance Limited, sopra citata, § 168). L'equilibrio richiesto sarà alterato se l'interessato ha dovuto sopportare ‘un onere individuale ed eccessivo’ (si veda, ad esempio, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 50, serie A n. 98). Nell'ambito della regola generale enunciata all'articolo 1, primo comma, prima frase, la verifica dell'esistenza di un siffatto equilibrio richiede un esame globale dei diversi interessi in gioco (v. sentenza Belova c. Russia, no. 33955/08, § 37, 15 settembre 2020), il che può richiedere un'analisi non solo delle condizioni di indennizzo – qualora la situazione sia assimilabile all'appropriazione di beni – ma anche, come nel caso di specie, del comportamento delle parti della controversia, compresi i mezzi impiegati dallo Stato e la loro attuazione (v. sentenza Beyeler, cit., § 114, e Vod Baur Impex S.R.L. v. Romania, no. 17060/15, § 69, 24 aprile 2022) […] Per quanto riguarda il comportamento delle autorità nazionali, la Corte sottolinea la particolare importanza del principio del ‘buon governo’, il quale richiede che, quando è in gioco una questione di interesse generale, in particolare quando la questione riguarda i diritti umani fondamentali come quelli che riguardano la proprietà, le autorità pubbliche agiscano in tempo utile e in modo appropriato e, soprattutto, coerente” (vedi Petar Matas, § 43; Belova, § 37; e Beyeler, § 120, tutti sopra citati).

III.9. La norma censurata, tenuto conto della portata quanto mai ampia delle conseguenze che discendono dall’applicazione di un’interdittiva antimafia, inibendo essa sia i rapporti con la pubblica amministrazione, sia le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, viola, infine, a stima del Collegio, l’art. 4 Cost., determinando un ingiustificato, e non necessario, sacrificio del diritto al lavoro, e, per le stesse ragioni, l’art. 41 Cost., pregiudicando incisivamente il libero esercizio dell’attività di impresa.

IV. La rilevanza della questione.

La questione di legittimità costituzionale rilevata, oltre a risultare per le ragioni esposte ‘non manifestamente infondata’, appare, altresì, ‘rilevante’ per la definizione del giudizio devoluto all’esame del Tribunale, essendo stato emesso l’atto impugnato – cioè il provvedimento di risoluzione contrattuale – per la sola ragione della reviviscenza, ai sensi dell’art. 34-bis, co. 7, d.lgs. n. 159/2011, degli effetti dell’interdittiva, confermata in sede giurisdizionale con sentenza del Consiglio di Stato del 15.04.2024, in conseguenza della cessazione per scadenza del termine massimo di durata del controllo giudiziario.

L’effetto pregiudizievole di cui la parte ricorrente si lamenta discende, dunque, in via diretta ed immediata dalla norma censurata, trovando in essa fondamento la sanzione disposta dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 108 del d.lgs. n. 50/2016 in relazione all’art. 80, co. 2.

La declaratoria di incostituzionalità della norma, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario operi anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, travolgerebbe i provvedimenti impugnati, facendone venir meno il relativo fondamento.

Ne resterebbero impregiudicate, al contempo, le successive determinazioni dell’amministrazione, la quale, ove dovesse ritenere persistente nonostante l’esito positivo del controllo giudiziario il pericolo di inquinamento mafioso dell’impresa, resterà certamente libera di determinarsi per l’emissione di una nuova interdittiva, avverso la quale, nondimeno, l’interessato potrà attivare gli ordinari rimedi previsti dall’ordinamento, conservando, nella più favorevole delle ipotesi (cioè di sospensione cautelare ex art. 55 c.p.a. o di annullamento in sede cautelare ai sensi dell’art. 60 c.p.a.), senza soluzione di continuità il possesso dei requisiti di partecipazione alla gara.

Trascende, poi, dal perimetro delle valutazioni del Tribunale ai fini della proposizione del presente incidente di costituzionalità il distinto profilo dell’ammissibilità, in caso di rigetto (o di mancata proposizione) della domanda cautelare, di un nuovo controllo giudiziario, rientrando, certamente, la relativa regolamentazione nell’ambito riservato alla discrezionalità del legislatore.

V. La sussistenza delle condizioni per una sentenza ‘additiva’.

Ritiene, infine, il Collegio che sussistano le condizioni per una pronuncia di illegittimità costituzionale di tipo ‘additivo’, stante la già segnalata impossibilità di superare la ‘norma negativa’ sospettata di incostituzionalità per via d’interpretazione nonché l’esistenza di un’unica soluzione che consenta di rimediare ai rilevati profili di illegittimità, rendendo la norma compatibile con i principi costituzionali, e convenzionali, sopra individuati.

In altri termini, ferma la possibilità di apportare de iure condendo i correttivi che il legislatore, nell’esercizio delle sue prerogative, dovesse ritenere necessari al fine di garantire un più coerente raccordo della fase finale del controllo giudiziario con la rivalutazione in sede amministrativa degli elementi indiziari che avevano a suo tempo dato luogo all’adozione dell’informazione interdittiva (v. supra, § III.7.), l’attuale formulazione del testo dell’art. 34-bis, co. 7, d.lgs. n. 159/2011 presta il fianco a tutti i segnalati rilievi di incostituzionalità, che, de iure condito, appaiono sanabili esclusivamente con la protrazione temporale dell’effetto ivi disciplinato – cioè la sospensione dell’efficacia dell’interdittiva – sino alla definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, del medesimo codice antimafia. Risultato, questo, conseguibile soltanto per tramite dell’intervento ‘additivo’ evocato.

Per questi motivi gli atti vanno, dunque, trasmessi alla Corte costituzionale perché si pronunci sulla rilevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, co. 7, del d.lgs. n. 159/2011 (cod. antimafia).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria,

visto l’art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in relazione ai parametri costituzionali indicati in motivazione, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia.

Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della Segreteria, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Caterina Criscenti, Presidente

Alberto Romeo, Primo Referendario, Estensore

Domenico Gaglioti, Primo Referendario

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alberto Romeo Caterina Criscenti
 
 
 

IL SEGRETARIO



 

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