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Servizi pubblici locali: modalità di gestione dopo le riforme di cui alla l. 24/11/2003, n. 326 e alla l. 24/12/2003, n. 350 e compatibilità con il modello dell'in house providing alla luce delle ultime pronunce della Corte di Giustizia.
di Alfonso Graziano 9 dicembre 2005
Materia: servizi pubblici / disciplina

Servizi pubblici locali: modalità di gestione dopo le riforme di cui alla l. 24.11.2003 n. 326 e alla l. 24.12.2003, n. 350 e compatibilità con il modello dell’in house providing alla luce delle ultime pronunce della Corte di Giustizia (Sentenze Stadt Halle del 11.1.2005; Parcking Brixen del 25.10.2005 e Modling del 10.11.2005).

 

1. La regolamentazione dei servizi pubblici a rilevanza economica di cui all’art. 35 della l. n . 448/2001 e alle modifiche di cui al D.L. n. 269/2003 e alla L. n. 350/2003. Tratti generali.

 

L’art. 35 della l. 28.12.2001 n. 448 ha dato corpo ad una complessiva riforma della disciplina dei servizi pubblici locali, concludendo ed in parte ridimensionando, come presto si dirà, un obiettivo di liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici, da tempo olivato.

La norma citata è stata modificata con l’art. 14 del d.l. 30.9.2003 n. 269 convertito con l. 24.11.2003 n. 326 e con l’art. 4, comma 234° della l. 24.12.2003, n. 350 (Finanziaria per il 2004).

Il nuovo quadro normativo differenzi tra servizi pubblici a rilevanza economica e servizi pubblici senza rilevanza economica. Li individuazione di primi era, nell’originaria versione dell’art. 35, rimessa ad una disciplina da introdurre mediante un regolamento governativo di delegificazione ai sensi dell’art. 17 co.1 della l. 23.8.1988 n. 400 che doveva anche fissare la durata del periodo di scadenza della concessioni in atto.

La giurisprudenza affermò presto l’immediata operatività del nuovo regime, del tutto prescindendo dal regolamento e riconoscendo al medesimo natura meramente ricognitiva e non costitutiva del nuovo regime (1). E si sosteneva che ricognizione che potesse essere effettuata dall’interprete, anche al fine di colmare il vuoto normativo conseguente all’abrogazione della disciplina fino ad allora vigente, operata dall’art. 35 della l. n. 448/2001 a far data dalla sua entrata in vigore (1.1.2002).

Con le modifiche apportate mediante  l’art. 14 del d.l.n. 269/2003 è stata soppressa la previsione del regolamento, conseguendone l’immediata applicabilità delle nuove norme, anche per quanto riguarda la durata massima delle gestioni affidate senza gara, prima parimenti demandata al regolamento.

La novella del 2003 ha introdotto il principio secondo cui le norme dell’art. 113 del Testo Unico degli enti locali sono integrative delle discipline i settore e da questa inderogabili, escludendo peraltro dal campo di applicazione delle disposizioni generali recate dalla norma generale citata, i settori dell’energia elettrica e del gas metano. Il che risolve taluni problemi di coordinamento e compatibilità del nuovo regime generale soprattutto in rapporto al settore merceologico del gas metano, che resta regolato dalla normativa speciale di cui al d.lgs. 23.5.2000, n. 164.

 Ebbene, per i servizi pubblici di rilevanza economica, mentre la prima versione dell’art. 35 della l. n. 448/2001 disponeva che la loro gestione potesse essere affidata solo a  società di capitali individuate con procedure ad evidenza pubblica, il nuovo art. 113 del t.u. n. 267/2000 come novellato dal d.l. n. 269/2003, reintroduce l’affidamento diretto della gestione a società miste nelle quali il socio privato sia stato prescelto con gara e a società a capitale integralmente pubblico.

Tuttavia, per i servizi pubblici a rilevanza economica viene previsto un regime transitorio, nel quale permane l’affidamento diretto alle attuali società miste a prevalente capitale pubblico, regime da ultimo prorogato fino al 31.12.2006 termine oltre il quale cessano le concessioni affidate senza gara.

Al riguardo va subito anticipato che il citato decreto legge ha peraltro escluso da tale cessazione le gestioni dirette affidate a società a totale capitale pubblico o a società  miste per la cui costituzione il partner privato sia stato individuato a seguito di gare concorrenziali.

Può dirsi, quindi che siffatta conservazione sine die degli affidamenti diretti, unitamente alla reintroduzione di quelli attuabili a favore di società aventi le medesime caratteristiche di quelle ora indicate configura essenzialmente una controriforma del sistema, legittimando in definitiva il regime di riserva a favore delle attuali società miste frutto delle privatizzazioni, che si sono svolte nella totalità dei casi con procedure di gara.

Tali società potranno, dunque, continuare a gestire i servizi pubblici in regime di sostanziale monopolio.

 

2.1. Le società a partecipazione pubblica locale contemplate dal nuovo art. 113 del d.lgs. n. 267/2000.

 

La prima novità degna di nota introdotta dall’art. 35 in commento è l’abolizione, confermata dal D.L. n. 269/2003 e dalla L. n. 350/2003, di un istituto inveterato nell’ordinamento pubblicistico italiano e sul quale erano fiorite preziose elaborazioni dottrinali: la concessione a terzi, prevista e disciplinata dal vecchio R.D. 14.9.1931 n. 1175 - <Testo unico sulla finanza locale > -.

L’art. 35, co.13 della l. n. 448/2001 abroga infatti gli artt. 265 – 267 del predetto testo unico, i quali disegnavano la concessione a terzi e ne disciplinavano le modalità di assentimento.

L’originaria formulazione dell’art. 35 si segnalava anche, e ciò appariva come l’innovazione di maggior momento, per non aver più contemplato, tra i modelli di gestione dei servizi pubblici, la tradizionale figura della società mista a prevalente capitale pubblico locale. Era stabilito, infatti, (art. 113, co.5, d.lgs. n. 267/2000) che l’erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza, avvenisse unicamente mediante conferimento della titolarità dello stesso a società di capitali individuate con procedure ad evidenza pubblica.

In forza della nuova normativa dovevano conseguentemente ritenersi non più attuali e rispondenti al nuovo regime concorrenziale, le gestioni ancora in essere dei servizi  pubblici da parte delle società miste costituite ai sensi dell’art. 22, lettera e) della L. n. 142/1990 con la partecipazione maggioritaria degli enti locali singoli o associati e affidatarie dirette della gestione del servizio stesso. Queste società continuavano ad operare in virtù del regime transitorio stabilito con l’art. 35, comma 2 della l.n. 448/2001 che pur demandando ad un regolamento – non più previsto dal nuovo testo della norma – la fissazione della durata del periodo transitorio, disponeva che  comunque tale durata non potesse superare i cinque anni.

Con l’art. 14 della l. 24 novembre 2003 n. 326 di conversione del d. l. n. 269/2003 è stata, come detto, soppressa la necessità del varo del regolamento individuativo dei servizi pubblici economici; si è abrogato il regime transitorio per le gestioni non concorrenziali e, soprattutto, è stato sostituito il comma 5 dell’art. 113 del Testo Unico.

Con questa sostituzione è stata reintrodotta, tra i modelli organizzatori per la gestione dei servizi locali, quello della società di capitali a capitale pubblico prevalente o non prevalente, nonché la figura della società a capitale interamente pubblico. Entrambi i tipi di società, tuttavia, per poter divenire affidatarie dirette della gestione dei servizi, debbono soddisfare ciascuna una condizione ben precisa che le pone in armonia con il diritto comunitario della concorrenza.

 

2.2. La ricomparsa della società a capitale pubblico maggioritario e la società a totale capitale pubblico per la gestione dei servizi pubblici locali.

 

Il legislatore ha riesumato, dunque, il modulo gestionale, caratteristico del sistema sorto nella vigenza dell’abrogata l. 8.6.1990, n. 142, della società a mista a maggioranza pubblica per l’erogazione dei servizi pubblici. Contestualmente, peraltro, ha contemplato, accanto a questa tradizionale tipologia societaria, il modello più radicale della società non più mista pubblico – privato, ma a totale partecipazione pubblica.

Resosi conto, tuttavia, della forza dirompente di detti nuovi moduli gestionali non concorsuali discendente dal loro contrasto con i principio concorrenziale che ispira tutta la riforma, ha opportunamente imposto due condizioni per la legittimità dell’affidamento diretto dei servizi ai due delineati modelli di società.

La società a capitale misto deve essere stata costituita previa individuazione del partner privato, sia di maggioranza che di minoranza, attraverso una gara ad evidenza pubblica che abbia garantito il rispetto delle norme anche comunitarie sulla concorrenza. La società a capitale interamente pubblico deve invece soddisfare il requisito della gestione “in house”, di cui si dirà appresso, vale a dire deve realizzare la parte più significativa dei propri servizi per gli enti pubblici che la controllano.

Può dunque anticiparsi che con l’inserimento di queste due tipologie di società dirette affidatarie dei servizi pubblici, il legislatore abbia voluto preservare e legittimare le attuali gestioni dirette, che sono per lo più esercitate da società di capitali solitamente sorte in esito a privatizzazioni sostanziali poste in essere mediante offerte pubbliche di vendita, ossia modalità concorsuali di aggregazione e selezione dei privati.

Merita qui di essere ricordato che già nel testo originario dell’art. 35 in commento la società mista a maggioranza pubblica, che la norma giustappone quale diretta affidataria della titolarità dei servizi, a quella a totale capitale pubblico, non scompariva dall’ordinamento degli enti locali, ma ad essa veniva riservato un compito ed una funzione nuovi e radicalmente diversi rispetto al passato. Si era disposto, infatti, che gli enti locali non potessero cedere la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni destinati all’esercizio dei servizi pubblici industriali ma potessero conferirla a società di capitali di cui detenessero la maggioranza che era – ed è anche oggi - incedibile (art. 113 d.lgs. n. 267/2000, co. 2 e 13).

Questa società proprietaria poneva poi - e pone anche oggi - le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali strumentali, a disposizione dei gestori incaricati a seguito di gara della gestione del servizio pubblico, nonché dei gestori delle reti (art. 113, T.U.E.L., co. 13).

Con il d.l. n. 269/2003 si è stabilito che detta società non possa essere semplicemente a maggioranza pubblica, ma debba essere a capitale interamente pubblico, in armonia con il comma 4, lettera a) che consente l’affidamento diretto della gestione delle reti a società a capitale interamente pubblico che inoltre integrino gli estremi dell’ in house providing.

Va anche ricordato al riguardo che alla predetta società proprietaria delle reti e degli impianti strumentali, gli enti locali possono anche affidare il compito di espletare le gare per l’individuazione del soggetto gestore del pubblico servizio (art. 113, comma 13, ultimo perido del d.lgs. n. 267/2000)

Quest’ultima disposizione appare davvero interessante ed opportuna, poiché risolve un problema che altrimenti si sarebbe posto in conseguenza dell’obbligo, incombente su ogni singolo Comune, di espletare una gara per l’individuazione del gestore del pubblico servizio. In tal caso, infatti, ove nulla fosse stato stabilito in proposito, si sarebbe posto il problema di come espletare le gare in questione nel caso di società miste a prevalente capitale pubblico attualmente deputate alla gestione dei pubblici servizi e partecipate da una pluralità di enti locali, talora di ridotte dimensioni e strutture.

Posto che andava espletata una gara per la gestione, ne conseguiva che ogni Comune doveva provvedere all’esperimento della stessa, con le connesse ricadute sul piano dell’organizzazione e con la (teorica ma non trascurabile) possibilità che per un medesimo ambito territoriale in precedenza servito da un’unica società, potessero essere individuate più società concorrenti alle quali doveva poi essere affidata la gestione dei servizi.

Il legislatore ha invece centralizzando ed unificato la gara, affidandola alla società mista pluricomunale proprietaria delle reti ed ha così semplificato il quadro operativo, poiché tale società, senz’altro più idonea e competente, bandirà un’ unica gara per un più o meno esteso ambito territoriale ed individuerà un unico soggetto gestore del servizio.

 

3. L’impatto della riforma sul contesto normativo preesistente. 

 

L’ordinamento previgente conosceva, quale figura principe dell’organizzazione dei pubblici servizi locali, l’Azienda Speciale, anche consortile, diretta affidataria della gestione del servizio all’utenza ed era invalsa l’affermazione, recentemente ripetuta dalla giurisprudenza, secondo cui le Aziende speciali erano un elemento dell’organizzazione amministrativa (2) dell’ente locale di riferimento (Cons. di Stato, Sez. V, 15.5.2000 n. 2735,CS, 2000, I, 1218). I caratteri di questo rapporto sono stati ben tratteggiati dal Consiglio di Stato (3).

Analoga concezione imperava per l’omologa figura, pure istituzionalizzata dalla legge 142/1990, della società mista a prevalente capitale pubblico locale. Anche relativamente a questa fu subito chiaro sia in dottrina (4) che in giurisprudenza, che l’affidamento del servizio sfuggiva alle regole concorsuali proprie della concessione a terzi (unico modello gestionale per il quale era imposta la regola della gara, tranne casi eccezionali) essendo tale modulo gestionale, previsto in alternativa a quello della concessione (5). Si richiedeva peraltro, al fine di affidare il servizio, l’adozione di una formale delibera di affidamento alla società già costituita, seguita dalla stipula di una convenzione o contratto di servizio (6). L’unico momento che in qualche maniera poteva fornire l’occasione di salvare il principio concorsuale era quello della costituzione della società mista, dovendosi applicare, secondo la unanime giurisprudenza amministrativa, le procedure di gara per la scelta dei soci privati anche di minoranza (7) .

E’ in questo contesto che si inserisce la riforma operata con l’art. 35 della l. n . 448/2001, che ha sostituito l’art. 113 del d.lgs n. 267/2000 recante il testo unico sull’ordinamento degli enti locali, che ha preso il posto dell’abrogata l. n. 142/1990.

 

4. L’affidamento della gestione del pubblico servizio: principi generali introdotti con la riforma.

 

La nuova disciplina ha avuto una lunga e tormentata gestazione. Già nella passata legislatura erano stati intrapresi dei tentativi di riforma dell’assetto monopolistico vigente nella gestione dei servizi pubblici, anche sulla spinta di sollecitazioni comunitarie. Tali iniziative si erano tuttavia poi arenate sotto la pressione congiunta delle opposte tendenze economiche.

Il nuovo art. 113 del testo unico sugli enti locali pone una netta distinzione, quanto al regime gestionale, tra servizi pubblici economici e servizi pubblici privi di rilevanza economica. Come avvertito più sopra, la concreta operatività della riforma era, nell’originaria formulazione ella norma di riforma, demandata all’emanazione di un regolamento di delegificazione, che doveva essere varato entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, e cioè entro il 30.6.2002 (data non rispettata). Siffatto regolamento avrebbe dovuto anche individuare i servizi pubblici industriali e fissare le date di scadenza del periodo transitorio, nel quale perdurava la vigenza del regime di affidamento diretto e privilegiato della gestione dei servizi alle attuali  società a prevalente capitale pubblico.

Per inciso va ricordato che per i servizi pubblici non industriali l’art. 113 – bis del testo unico contempla ancora la società mista a prevalente capitale pubblico locale come forma di gestione diretta. In attesa della individuazione di queste attività può già dirsi che si tratterà di servizi marginali e poco rilevanti sotto il profilo economico, quali ad esempio i servizi culturali, del tempo libero, dell’assistenza.

Per i servizi pubblici economici è stato introdotto il principio della necessaria previsione, da parte delle discipline di settore, dei casi in cui l’attività di gestione delle reti e degli impianti può essere separata da quella di erogazione del pubblico servizio (art. 113, 3° co., d. lg. n. 267/2000). Ove manchi una specifica disciplina di settore, dunque, il gestore del servizio pubblico sarà anche il gestore della rete e degli impianti strumentali.

Inoltre, ferma restando la possibilità che la gestione delle reti venga affidata ad “imprese idonee da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica” (art. 113, 4° co., lettera b) è rimasta impregiudicata la facoltà per gli enti locali, anche associati, di affidare direttamente a società a dominanza pubblica la gestione delle reti e degli impianti strumentali al pubblico servizio.

Relativamente alla gestione dei servizi pubblici all’utenza va subito rimarcato che la novella del 2003 ha conservato in larga misura il regime dell’affidamento diretto e privilegiato dei servizi, non più circoscritto al solo servizio strumentale di gestione degli impianti.

Invero, inizialmente, per ciò che riguarda il servizio pubblico in senso proprio, era stata operata con l’art. 35 della l. n. 448/2001 una rivoluzione copernicana consistente nella scomparsa del regime di riserva o di monopolio nella gestione dei servizi che nel passato caratterizzava l’operatività delle società miste. Le società miste a partecipazione pubblica locale cessavano cioè di essere la diretta espressione degli enti locali, la loro longa manus operativa nella gestione dei servizi, tanto che era – ed è - previsto che gli enti stessi possano cedere in tutto o in parte la loro partecipazione nelle società erogatrici dei servizi, ma solo dopo il compimento delle operazioni di scorporo (art. 113 citato, co.12 e art, 35, co. 10, l. n. 448/2001). Tale disposizione probabilmente è superflua, in quanto anche in sua assenza gli enti locali, previa adeguata decisione dell’assemblea dei soci, avrebbero potuto trasformare una iniziale società a prevalente capitale pubblico in una società a prevalente capitale privato, adottando le dovute procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei soci privati maggioritari.

E’ da ritenere, pertanto, che l’utilità di siffatta previsione serva a superare le eventuali clausole degli statuti delle odierne società a prevalente capitale pubblico, che , in ipotesi, stabiliscano l’impossibilità di cedere ai privati la quota di controllo riservata agli enti locali. Talché, compiute le operazioni di scorporo, è da ritenere che gli enti locali possano cedere la maggioranza nelle società attuali gestori dei servizi pubblici o, addirittura, l’intero pacchetto azionario, nonostante eventuali clausole ostative contenute negli statuti, in forza della nuova previsione di cui al comma 12 dell’art. 113 citato.

 

4.2.Segue: L’affidamento dei servizi. Il modello a concorsualità pura e il modello a concorsualità mediata.

 

Scendendo più in dettaglio nell’analisi della tematica dell’affidamento dei servizi, va subito detto che l’art. 113 del testo unico contiene una dettagliata disciplina, in ordine alle modalità di assentimento della gestione, alle gare, ai rapporti tra il gestore uscente e quello subentrante, il tutto ai commi da 5 a 11.

Il 5° co. introduce due principi, dei quali il primo è invero poco innovativo, in quanto si limita a stabilire che l’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore. Qui si fa riferimento alle regole proprie di ciascun settore merceologico cui è riconducibile ciascun servizio pubblico, regole recate dalle discipline specifiche ( per il servizio idrico, v la l.n. 36/1994; per il gas metano v. il d.lgs. n. 164/2000) nonché dagli atti di regolazione emanati dalle rispettive Autorità di settore.

 Il secondo principio è l’affermazione della necessità del rispetto della normativa comunitaria in materia di libera concorrenza, la cui sottolineatura non è altro che la positivizzazione in norma della tendenza dell’ordinamento comunitario a conformare tutto l’universo delle attività economiche.

Intanto, va evidenziato che il nuovo 5° co. in commento non contiene più l’inciso di cui alla prima versione, secondo cui l’erogazione del servizio si deve “svolgere in regime di concorrenza”. Ciò che si spiega con il rilievo che la modalità concorrenziale di gestione dello stesso è soltanto una delle tre tipologie gestionali contemplate dalla norma.

Orbene, conviene ora illustrare che accanto alla gestione concorsuale pura, attuata mediante affidamento della titolarità del servizio a società di capitali selezionate a seguito di gare ad evidenza pubblica, è stato reintrodotto con il d.l. n. 269/2003, convertito con la L. n. 326/2003, il modulo dell’affidamento diretto del servizio a società miste a capitale pubblico maggioritario o minoritario, a condizione che il socio privato venga scelto mediante procedure di gara improntate al rispetto delle norme, anche comunitarie, dettate in materia di concorrenza, secondo linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti.

Con tale disposizione sostanzialmente sono state legittimate le attuali gestioni dirette dei servizi pubblici locali da parte di società miste, per lo più a dominanza pubblica, per la cui costituzione i soci privati siano stati individuati a seguito di procedura ad evidenza pubblica.

Va debitamente considerato, infatti, che nella pressoché totalità di tali casi il socio privato è stato scelto osservando una gara solitamente ispirata alla l. 30.7.1994 n. 474 sull’accelerazione delle procedure di dismissione delle partecipazioni dello Stato in S.p.A. e che costituisce la normativa di riferimento per le privatizzazioni sostanziali, le quali si svolgono generalmente anche nel rispetto delle disposizioni dettate dalle Autorità di regolazione dei servizi pubblici.

Viene in tal modo delineata una forma di gestione dei pubblici servizi a concorsualità per così dire impura o mediata, nella quale l’affidamento diretto del sevizio non è del tutto avulso dall’obbligo di espletamento di una  procedura di gara, obbligo che però viene assolto a monte, piuttosto che a valle, vale a dire in sede di scelta del partner privato.

 

4.3. Segue: l’affidamento non concorsuale: le società a totale capitale pubblico conformi al modello comunitario dell’in house providing.

 

L’unico modulo gestionale non concorsuale è contemplato dalla lettera c) del 5° co., che consente l’affidamento diretto della gestione dei servizi pubblici a società a capitale interamente pubblico, purché le stesse soddisfino la condizione della gestione in house providing, secondo i dettami della Corte di Giustizia dell’Unione, che possono farsi risalire al caso Teckal (causa C – 107/1998, sentenza del 18.11.1999) e che sono stati sposati dalla Circolare del Ministero per le Politiche Comunitarie del 19.10.2001 n. 12727 (in Urbanistica e App., 2002,69) condivisa dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche comunitarie 1.3.2002. La condizione in parola è che gli enti pubblici proprietari della società esercitino sulla stessa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della sua attività  con l’ente o gli enti pubblici controllanti.

La citata sentenza Teckal, recepita dal legislatore italiano nella materia in analisi, ha infatti apportato una significativa eccezione all’applicazione della normativa comunitaria sugli appalti pubblici, ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore. Ma affinché sussista tale eccezione, che fa sì che la fattispecie non ricada nella definizione di appalto, devono concorrere le due condizioni appena ricordate.

Un’utile lettura delle conclusioni della Corte del Lussemburgo di cui alla sentenza Teckal si deve recentemente alle conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix – Hackl del 23.9.2004 (causa C – 26/03 conclusasi con la sentenza n. 2603/2005 su cui appresso), Stadtt Halle (riassunte in  UA, 2005, 43), che ricorda come per la Corte il criterio del controllo, al pari della nozione di appalto e di amministrazione aggiudicatrice, vada inteso in senso funzionale e non formale. Occorre cioè verificare nelle singole fattispecie, se l’entità della partecipazione dell’ente pubblico o, viceversa, del socio privato di minoranza, nella società di cui si tratti,  possa essere di per sé decisiva. La natura pubblica o privata dei soggetti del rapporto è dunque irrilevante, ragion per cui “l’eccezione Teckal” in linea di principio si applica non solo alle società di capitali di diritto comune, ma anche a quelle miste, pubblico – privato. Ma il grado e l’intensità del controllo non può essere desunto da specifiche disposizioni delle direttive comunitarie in materia di appalti, poiché la corte non le richiama sul punto.

In ordine all’oggetto del controllo analogo, la Corte non ha circoscritto le sue affermazioni a determinate e particolari decisioni dell’organismo controllato, onde affermarne la stretta dipendenza dall’ente di riferimento. A tali fini non è pertanto sufficiente un controllo delle sole decisioni inerenti l’affidamento di contratti in generale, o della specifica determinazione di affidamento del contratto di cui si tratti.

In definitiva, dunque il controllo deve comprendere anche singole decisioni di natura gestionale, per cui, secondo la Corte di Giustizia, detto  controllo analogo è da ravvisare, in buona sostanza, laddove sussista un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sulla società.

Il che certamente è dato riscontrare nei casi di società ad integrale capitale pubblico, sol che si rifletta che in tali ipotesi gli enti titolari hanno il potere di approvare il bilancio preventivo e il rendiconto in sede di assemblea straordinaria.

La seconda condizione che deve necessariamente sussistere in concreto e concorrere con il controllo analogo affinché possa affermarsi che il rapporto tra un ente locale ed una società sia inquadrabile nello schema dell’in house providing è che, come pure chiarisce l’art. 113, 5° co., lett. c del Testo unico, “la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”. Al riguardo, si tratta di accertare (per poi comparare), la portata delle attività complessivamente svolte dalla società, nonché di quelle svolte nell’interesse dell’ente o degli enti titolari delle quote del capitale sociale

Anche per tale interpretazione, come ben ricorda l’Avvocato Generale, occorre utilizzare un criterio finalistico – funzionale e verificare le attività effettive svolte dalla società, non anche quelle astrattamente consentite dalla legge o dallo statuto, o addirittura le attività che l’organismo controllato è obbligato a svolgere. In particolare, secondo la ricognizione della portata della sentenza Teckal fornita dall’Avvocato Generale, non sarebbe sufficiente l’influenza dominante esercitata sulla società mista (oggi, sulle società a totale capitale pubblico) dall’ente locale ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della Direttiva 93/38 CEE del 14.6.1993, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia o che forniscono servizi di trasporto, nonché degli enti operanti ne settore delle telecomunicazioni (direttiva  recentemente abrogata e sostituita dalla nuova direttiva 2004/17/CE del 31.3.2004).

Non sarebbe inoltre sufficiente un ampio potere direttivo dell’ente pubblico limitato alle decisioni in materia di affidamento di appalti in generale o relativo  ad una specifica procedura di acquisto di beni o servizi.

Per altro verso, sempre secondo l’Avvocato Generale, a differenza di quanto sancito dall’art. 13 della ricordata Direttiva n. 93/38/CEE, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione della amministrazione aggiudicatrice, la condizione dello svolgimento della parte più importante della sua attività a favore dell’autorità aggiudicatrice, non occorre che almeno l’ottanta per cento del fatturato medio della società in questione degli ultimi tre anni nel settore dei servizi, derivi dalla fornitura di tali servizi all’autorità aggiudicatrice o ad imprese ad essa collegate o riconducibili.

Ai fini del giudizio circa l’assolvimento della condizione in esame il giudice nazionale deve considerare piuttosto le attività effettive, prendendo, in tale contesto, in considerazione elementi sia di natura quantitativa che qualitativa.

Va detto che il legislatore italiano, alla lett.c) del 5° co. dell’art. 113 del Testo unico ha adottato una formula identica a quella comunitaria, richiedendo che la società a totale partecipazione pubblica, “realizzi la parte più importante” della sua attività con l’ente o gli enti che la controllano. Tale riferimento pare valorizzare un criterio sostanzialistico e quantitativo, afferente all’insieme complessivo delle attività della società, che deve essere in maggioranza, ma senza rigidi parametri matematici, rivolto agli enti controllanti.

 

5.1. Il modello in house come delimitato dalla sentenza della Corte di Giustizia CE, Sez. I, 11.1.2005 n. 2603, C-26/03 “Stadt Halle”. I riflessi di tale pronuncia sulla attuale disciplina di affidamento dei servizi pubblici.

 

Conviene ora accennare ai possibili riflessi che la recente sentenza della Corte di Giustizia del 11 gennaio 2005 n. 2603 , C – 26/03, “Stadt Halle” (UA, 2005, 288) può avere sul sistema degli affidamenti alle società miste. Con tale decisione la Corte europea ha delimitato la ricorrenza del modello in house sopra illustrato, affermando il principio per cui ove un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto oggettivamente rientrante nell’ambito di applicazione della Direttiva n. 92/50 CEE, con un’entità giuridicamente distinta, nella quale detenga una partecipazione unitamente ad imprese private, le procedure di gara sui servizi devono comunque essere rispettate, benché la partecipazione privata sia minoritaria.

La Corte, richiamando e confermando il proprio precedente Teckal, ha ricordato che in quel caso ricorrevano i presupposti della gestione in house poiché la controparte contrattuale era sì distinta dall’amministrazione aggiudicatrice, ma costituita interamente da soggetti pubblici, i quali effettuavano di conseguenza sulla stessa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la società Teckal realizzava la parte più importante della sua attività per quegli enti. Siffatta condizione, del controllo analogo, ad avviso della Corte non è riscontrabile qualora l’entità distinta sia partecipata anche per una piccola parte da un’impresa privata, poiché in tal caso l’investimento del capitale privato obbedisce a considerazioni proprie di interessi privati, diversi dagli obiettivi di interesse pubblico cui è ispirata la partecipazione dei pubblici poteri.

Come può notarsi, dunque, la Corte con quest’ultima pronuncia ha limitato drasticamente la ricorrenza dell’ in house providing ai soli casi di società a totale partecipazione pubblica.

Orbene, calando tali principi nel sistema italiano, va detto che relativamente alla gestione delle reti, l’affidamento diretto ai sensi della lettera a) del 4° co. dell’art. 113 TUEL è perfettamente in linea con  le conclusioni della Corte di Giustizia, posto che nella norma è contemplata una società a totale partecipazione pubblica, con gli ulteriori corollari del controllo analogo e della significativa dedizione dell’attività della società agli enti titolari.

Lo stesso è a dirsi per l’affidamento della gestione del servizio pubblico all’utenza, nell’ipotesi, contemplata all’art. 113, 5° co., lett. c), che prevede l’affidamento ad una società at integrale partecipazione pubblica che rientri appieno nella tipologia del modello in house.

Un problema di compatibilità delle recenti principi affermati dalla Corte UE astrattamente potrebbe porsi limitatamente all’affidamento diretto del servizio pubblico nella fattispecie delineata alla lett. b) del 5° co., da noi denominata a concorsualità impura o mediata, in cui il servizio viene assegnato senza gara ad una società mista nella quale il socio privato è stato scelto mediante procedura ad evidenza pubblica.

La dottrina ha commentato la sentenza in analisi ha isolato i due temi ricorrenti in materia di servizi pubblici locali, sui quali potrebbe riverberarsi la pronuncia comunitaria, individuandoli da un lato, nella scelta del socio privato e contestuale affidamento dell’appalto cui è finalizzata la costituzione della società; dall’altro, nell’affidamento alla società stessa, di ulteriori appalti.

Per quanto attiene al primo profilo, si è ricordato come sia ormai ius receptum che per la scelta del partner privato debbano essere seguite procedure di gara, le quali – in linea con quanto è previsto dalla lett. b) del 5° co. dell’art. 113 TUEL - dispensano poi dall’ulteriore gara per l’affidamento dell’appalto (rectius, del servizio pubblico) originario per il quale si è costituita la società.

Tale dottrina ha peraltro osservato come quest’ultimo aspetto, della concorsualità mediata, non sia stato espressamente esaminato dalla sentenza della Corte di Giustizia. Ha pertanto concluso che i principi comunitari espressi nella citata sentenza della Corte UE sono rispettati quando si affidi direttamente il servizio ad una società mista per la cui costituzione il partner privato sia stato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica e quando i servizi diversi ( e successivi) da quello per la cui gestione è stata fondata la società, vengano a questa affidati solo a seguito di gara (8) .

 

5.2. La sentenza “Stadt Halle nei primi commenti.

 

La dottrina che finora ha commentato la sentenza in analisi ha isolato i due temi ricorrenti in materia di servizi pubblici locali, sui quali potrebbe riverberarsi la pronuncia comunitaria, individuandoli da un lato, nella scelta del socio privato e contestuale affidamento dell’appalto cui è finalizzata la costituzione della società; dall’altro, nell’affidamento alla società stessa, di ulteriori appalti.

Per quanto attiene al primo profilo, si è ricordato come sia ormai ius receptum che per la scelta del partner privato debbano essere seguite procedure di gara, le quali – in linea con quanto è previsto dalla lett. b) del 5° co. dell’art. 113 TUEL - dispensano poi dall’ulteriore gara per l’affidamento dell’appalto (rectius, del servizio pubblico) originario per il quale si è costituita la società.

Tale dottrina ha peraltro osservato come quest’ultimo aspetto, della concorsualità mediata, non sia stato espressamente esaminato dalla sentenza della Corte di Giustizia (9).

Secondo altro autore la tesi restrittiva della Corte di Giustizia porta a ritenere ormai superato l’orientamento del Consiglio di Stato, su cui infra, secondo il quale la gestione dei servizi pubblici mediante società partecipate in misura maggioritaria da enti locali sarebbe conforme la modello in house di matrice comunitaria, essendo rinvenibile il controllo analogo nel possesso della maggioranza del capitale sociale in capo agli enti pubblici e in taluni casi anche la dedizione della maggior parte dell’attività sociale agli enti controllanti (Cons. St., sez. V, n. 3864/2003 e sez. V, n. 5316/2003). Secondo tale tesi, le società miste italiano sarebbero conformi più o meno al modello in house potrebbero – pare di capire – divenire affidatarie dirette dei servizi (10).

Trattasi di conclusione che nella sostanza può condividersi, quale tentativo conservativo dell’attuale regime positivo contro la forza erosiva della giurisprudenza comunitaria in analisi, ma che dovrà misurarsi con quella che sarà la posizione della giurisprudenza futura che presto sarà chiamata pronunciarsi sull’impatto che la sentenza “Stadt Halle” riverbera sull’assetto normativo disegnato dal nuovo art. 113 del testo unico.

Dalla illustrata conclusione – per la quale in sostanza le società a capitale pubblico solo maggioritario pur non essendo conformi all’   come delimitato dalla sentenza “Stadt Halle” potrebbero divenire affidatarie dirette dei servizi ai sensi della lett. b) del 5° co. dell’art. 113 – non può tuttavia dedursi che solo alle società affidatarie dirette in quanto in house si applichi il divieto di partecipazione alle gare sancito dal 6° co. dell’articolo citato (Spinelli 2005, 116). Invero tale disposizione vieta la partecipazione alle gare per l’affidamento dei servizi a tutte le società che gestiscono “a qualunque titolo” servizi pubblici locali “in virtù di un affidamento diretto”. Non distingue la norma tra società dirette affidatarie ai sensi della lett. b) del 5° co. dell’art. 113 (società a maggioranza pubblica con socio individuato mediante gara) e società affidatarie dirette in quanto integranti lo schema dell’in house.

 

6. L’irrilevanza della sentenza della Corte di Giustizia n. 2603/2005 Stadt Halle sulla fattispecie di affidamento diretto a concorsualità mediata secondo una personale prospettazione.

 

Riteniamo di prospettare una soluzione più radicale in argomento, atteso che a ben guardare, l’affidamento di servizi pubblici, è fenomeno ontologicamente e strutturalmente differente rispetto a quello scrutinato dalla Corte del Lussemburgo, che ha ad oggetto la conclusione di “un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione “ratione materiae” della direttiva 92/50”.  Orbene, la fattispecie dell’affidamento della gestione di un servizio pubblico, per opinione diffusa, sostenuta anche dalle circolari ministeriali di cui tra breve si dirà, non è soggetta all’applicazione della Direttiva CEE n. 92/50, come modificata dalla Direttiva n. 97/52 CEE.

Quest’ultima, infatti, disciplina i soli appalti pubblici di servizi e non gli affidamenti della gestione di pubblici servizi. In questi ultimi, infatti, il gestore non espleta un’attività in favore dell’ente aggiudicatore in corrispettivo di un prezzo (come avviene negli appalti di servizi) ma dirige la sua attività al pubblico, dal quale viene remunerato attraverso il pagamento della tariffa del servizio pubblico.

Siffatta differenziazione tra lo schema funzionale e strutturale dell’appalto e quello della concessione di servizi – nel quale ultimo è riconducibile l’operatività anche dei una società cui è stata affidata la gestione di un pubblico servizio, benché in assenza di un formale titolo concessorio – è stata del resto affermata dalla stessa Corte di Giustizia. La Corte ha infatti escluso che le concessioni di servizi rientrino nella sfera di applicazione della direttiva in materia di appalti e in particolare nella direttiva n. 93/38 CEE, qualora la controprestazione fornita dall’amministrazione all’impresa privata consista nel diritto di sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione (Corte di Giustizia CEE, 17.12.2000, Causa C – 324/98).

Ricostruendo lo schema funzionale delle due figure negoziali (concessione e appalto) nei termini sostenuti nel testo, sulla scia della giurisprudenza comunitaria, la Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le Politiche Comunitarie si espressa individuando la concessione di servizi nelle fattispecie in cui il concessionario si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sull’utente attraverso la riscossione del canone del servizio stesso ed esplicando in tal guisa un’attività che può rientrare nel la sfera di responsabilità dello Stato ed essere oggetto di diritti esclusivi o speciali (11).

Sulla scorta delle delineate premesse cauterizzanti la concessione di servizi, il dipartimento delle politiche comunitarie ha quindi, conseguentemente, concluso che l’appalto di servizi concerne prestazioni rese dell’appaltatore all’ente pubblico, laddove la concessione di servizi se ne differenzia per la direzione delle attività del concessionario agli utenti che ne pagano anche il corrispettivo, in tal modo remunerando del concessionario (12).

E’ ora chiaro che il modello gestionale che si attua mediante lo strumento della società di capitali non configura tecnicamente una concessione di pubblico servizio, stante l’assenza di un provvedimento di concessione in senso tecnico, come ricordato sia dalla giurisprudenza amministrativa che di legittimità (in particolare da Cass. n. 4989/1995), nonché dalla dottrina, provvedimento che postulerebbe un procedimento concorsuale di individuazione del concessionario.

Del pari è altrettanto evidente, peraltro, che lo schema funzionale – strutturale entro cui si muove l’agire della società mista è il medesimo di quello che caratterizza la concessione, posto che sia la società di gestione – che riceve dall’ente locale la funzione di erogazione del servizio in virtù delle delibere con cui si è provveduto alla sua costituzione, seguite dalle convenzioni eccessive – sia il concessionario, si trovano nello stesso rapporto trilatero  nel momento in cui erogano il servizio pubblico all’utente.

Non possono, pertanto, che valere gli stessi principi ben illustrati dalla citata circolare, che portano ad escludere dall’applicazione delle direttive comunitarie sugli appalti di servizi, le attività di pubblico servizio svolte dalle società miste a prevalente capitale pubblico nelle quali il socio privato sia stato prescelto a seguito di procedure di gara.

Deve quindi ritenersi, ad avviso di chi scrive, che l’ipotesi prevista dalla lett. b) del comma 5 non è in contrasto con i dettami di cui alla sentenza n. C -26/03 del 2005, Stadt Halle della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Conclusivamente, a riprova della delineata differenza tra attività di servizio espletata in favore dell’amministrazione (appalto di servizi) e servizio pubblico erogato agli utenti, si ricordi che il caso scrutinato dalla Corte UE nella sentenza Stadt Hale concerneva l’affidamento da parte della città di Halle (Germania) ad una società controllata da un’altra società, anch’essa a sua volta controllata dalla città di Halle, del servizio di smaltimento di rifiuti non riciclabili. Si era quindi chiaramente in presenza di un’attività da svolgere a favore dell’ente locale e non certo di un’attività erogativa di un servizio pubblico agli utenti: veniva quindi affidato alla società privata un appalto di servizi rientrante pleno iure nel campo di applicazione della direttiva n. 92/50 CEE.

 

7. Un ulteriore limitazione del modello in house in Corte di Giustizia CE, sez. I, 13.10.2005 (C – 458/03) “Parking Brixen” e l’insufficienza del totale controllo pubblico sulla società.

 

Nonostante la sentenza Stadt Halle si segnali per essere alquanto rigorosa e restrittiva nel riconoscimento della sussistenza dell’eccezione rappresentata dal modello in house, va segnalato che di recente la stesa prima sezione della Corte Europea ha nuovamente affrontato la questione della riconducibilità del modello di gestione dei servizi pubblici locali mediante società per azioni ed ha espresso un avviso ancor più restrittivo.

Pronunciandosi su un rinvio interpretativo del T.R.G.A di Trento a proposito della Azienda Servizi Municipalizzati S.p.A. di Bressanone, società a a capitale interamente pubblico derivata dalla privatizzazione della cessata Azienda Speciale, la Corte di Giustizia, sez. I, con sentenza del 25.10.2005, /C – 458/03) hanno giudicato non conforme al modello in house una società di tal fatta, per assenza del requisiTo del “controllo analogo”, nonostante la totale pubblicità del capitale. Difetterebbe l’indicato requisito pur essendo la totalità delle azioni in mano pubblica in quanto il Consiglio di amministrazione della società potrebbe, a norma dello Statuto, agire in piena autonomia rispetto all’Assemblea dei soci, disponendo di ampi poteri di ordinaria amministrazione e potendo altresì stipulare autonomamente contratti entro la soglia di cinque milioni di euro.

In considerazione delle delineate circostanze, ad avviso della Corte di Giustizia, non sarebbe, dunque, conforme al diritto comunitario (13).

La singolarità di quest’ultima pronuncia, che peraltro è anche motivo di preoccupazione per l’impatto che può avere sul sistema di gestione dei servizi pubblici locali così come delineatosi a seguito delle novelle del 2003, risiede nella circostanza che i giudici comunitari hanno compiuto un sindacato in concreto sull’ambito dei poteri gestionali del Consiglio di amministrazione della società, al fine di acclarare la sussistenza effettiva del controllo analogo.

Detto requisito è stato, infatti, fino ad ora individuato sia dalla pregressa giurisprudenza comunitaria, che dal Consiglio di Stato, sic et simpliciter nel possesso della totalità (ovvero anche della maggioranza) del capitale sociale da parte dell’ente pubblico o degli enti pubblici controllanti l’organismo societario.

La Corte UE, viceversa, sulla scorta di una capillare indagine in concreto, appuntata sull’effettivo atteggiarsi dei poteri dell’organo di amministrazione di una società a capitale interamente pubblico, frutto di una mera privatizzazione formale di una Azienda speciale, hanno ritenuto insussistente il controllo analogo in considerazione del fatto che la società avesse cominciato ad operare in nuovi importanti settori diversi da quello originario; nella obbligatoria apertura, a breve termine, della società ad altri capitali e nell’espansione dell’attività della società a tutto il territorio nazionale ed anche all’estero (14).

 

8. La non persuasività della sentenza “Parking Brixen”.

 

La pronuncia della Corte di Giustizia sopra riportata presenta profili di indagine che in parte si prestano ad essere condivisi, ma in parte suscitano forti perplessità, se confrontati con la dinamica dei rapporti ordinariamente intercorrenti anche tra gli organi di una comune società di capitali.

Al riguardo possono condividersi le affermazioni della Corte che mettono in dubbio – anzi, escludono – l’esistenza di un controllo analogo in considerazione dei fattori, evidenziati dallo Statuto della società scrutinata, indicati sub b), c) e d) e, cioè, l’ampliamento dell’oggetto sociale, avendo la società intrapreso nuovi servizi, estranei all’originaria attività dell’Azienda speciale, l’apertura obbligatoria della società ad altri capitali addirittura a breve termine. Lo stesso è a dirsi per la prevista espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia ed anche all’estero.

Non può essere revocato in dubbio che una società di tal fatta, quanto meno nelle sue prospettive future, è potenzialmente destinata a sottrarsi al controllo gestionale stringente dell’ente locale. Se non altro può sospettarsi che tale società, in pochi anni comincerà a rivolgere la sua attività a favore di altri soggetti; con il che verrebbe menomato l’altro presupposto che caratterizza la figura dell’ in house providing, vale a dire la dedizione della parte più significativa dell’attività all’ente pubblico che controlla la società.

Ma a ben guardare, simili giuste osservazioni poco hanno a che vedere con l’apprezzamento dell’esistenza del requisito del “controllo analogo”, apparendo più propriamente atte ad acclarare la sussistenza del secondo presupposto dell’in house, vale a dire la necessità che la società realizzi la parte più importante della propria attività per gli enti  pubblici che la controllano.

Ciò posto, può affermarsi che non appare persuasiva la conclusione che la Corte del Lussemburgo trae dalla rilevata attitudine della società ad espandersi oltre il territorio dell’ente di riferimento, e principalmente dalla circostanza che il Consiglio di amministrazione potesse concludere autonomamente contratti di elevato importo, disponendo dei più ampi poteri di ordinaria amministrazione.

L’ampiezza dei poteri del Consiglio, estesi a tutta l’ordinaria amministrazione e la facoltà dello stesso di concludere autonomamente, rispetto all’assemblea dei soci, contratti di elevato importo, non sembrano circostanze atte ad elidere il potere di controllo della società che è comunque da ritenere sussistente in capo all’ente locale, sia pure in via mediata e, cioè, attraverso l’assemblea dei soci e i poteri che a tale organo commette il codice civile.

Non va trascurato, infatti, che quantunque il Consiglio di Amministrazione goda di ampi poteri inerenti l’ordinaria amministrazione, detto organo è comunque espressione dell’assemblea dei soci, i cui membri, in caso di società a totale partecipazione pubblica, sono costituiti dai Sindaci dei Comuni proprietari della società o da consiglieri comunali o assessori, con delega a rappresentare l’ente locale nella società partecipata.

E sono poi tali soggetti pubblici, costituenti l’assemblea, che hanno il potere di nominare il consiglio di amministrazione, ad eccezione dei primi amministratori, la cui nomina è contenuta nell’atto costitutivo (art. 2383 c.c.); ma anche relativamente ai primi amministratori l’art. 2383 c.c. fa salvo comunque il disposto degli art. 2458 e 2459 c.c.

Queste ultime norme disciplinano la composizione degli organi di amministrazione delle società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici e stabiliscono che l’atto costitutivo può riservare allo Stato o agli enti pubblici partecipanti alla società, la nomina di uno o più amministratori o sindaci.

In tali casi anche il presidente del collegio sindacale è di nomina pubblica (art. 2459 c.c.). E va segnalato che ordinariamente gli atti costitutivi delle società frutto di privatizzazioni di Aziende speciali indicano quali membri del consiglio di amministrazione, dei soggetti nominati dal comune o dai comuni costituenti la società, ai quali la legge riserva del resto anche il potere di revocarli (art. 2458, u. co., c.c.).

Non solo, quindi, la nomina del consiglio di amministrazione è riservata all’assemblea dei soci,  anche nella fase genetica, in cui è lo stesso atto costitutivo a contenere il nominativo dei primi amministratori, ordinariamente designati dagli enti locali costituenti la società pubblica, ma va pure ricordato che all’assemblea spetta anche il potere di nominare il presidente del collegio sindacale (art. 2398 c.c.).

La stessa assemblea gode poi di uno strumento di controllo annuale della gestione e dell’amministrazione ordinaria, particolarmente significativo, consistente nel potere di approvazione del bilancio.

Ragion per cui ove, in ipotesi, il consiglio di amministrazione abbia esorbitato dai suoi poteri di ordinaria amministrazione o abbia amministrato secondo indirizzi difformi dal perseguimento degli scopi di interesse pubblico che debbono comunque ispirare l’attività di una società pubblica deputata alla gestione di un pubblico servizio, l’assemblea dei soci – costituita dai sindaci dei comuni o da loro delegati – potrà non approvare il bilancio. Non solo, ma potrà anche  - ove l’agire degli amministratori e dei sindaci integri i relativi estremi – esercitare l’azione di responsabilità contro i componenti dell’organo di amministrazione o di vigilanza (art. 2383, punto 4, c.c.).

Come può notarsi, dunque, il diritto commerciale italiano contiene gli strumenti giuridici idonei a conservare alla mano pubblica, al Comune o ai comuni proprietari della società, il controllo della gestione della società, attraverso i poteri di nomina degli amministratori e del presidente del collegio sindacale e di approvazione del bilancio, poteri riservati all’assemblea, che è costituita da rappresentati del Comune o dei comuni titolari della società, se non addirittura dagli stessi Sindaci, come spesso è dato riscontrare.

Ne consegue che le conclusioni cui perviene la Corte europea nella sentenza del 25.10.2005 “Parking Brixen” che nega la compatibilità col modello in house di una società a totale partecipazione comunale per l’asserito difetto del controllo analogo, non paiono del tutto condivisibili.

 

8.1 Il modello dell’in house in alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato. La rimessione alla Corte di Giustizia della compatibilità comunitaria dell’affidamento dei servizi ad una società a totale capitale pubblico.

 

Il Giudice amministrativo ha con una certa facilità riconosciuto nelle società a prevalente o totale partecipazione pubblica affidatarie della gestione dei pubblici servizi, un fenomeno organizzativo qualificabile come diretta espressione dell’organizzazione pubblica da cui derivano. Valorizzando la finalità della costituzione di siffatte società, che va individuato esclusivamente nella gestione del servizio pubblico di cui è titolare l’Ente di riferimento, si è concluso che le stesse sono “organo indiretto degli Enti pubblici titolari del servizio medesimo (Cons. St., Ad. Gen., n. 90/1996; Cons. St. sez. V, 19.2.1998, n. 192).

Dal legame funzionale che astringe le società in questione rispetto all’ambito territoriale del servizio (ambito che ex art. 22. lett. e) della l. n. 142/90 rendeva opportuna la stessa costituzione della società) si è in giurisprudenza dedotta l’impossibilità anche per le società miste, di operare in territori diversi rispetto a quello del Comune che le ha costituite (TAR Toscana, sez.I, 15.1.2001 n. 24, Est. Nicolosi, FA,2001, 1279).

Il Consiglio di Stato ha poi affermato la pertinenza delle società miste a prevalente capitale pubblico all’organizzazione amministrativa del Comune, sul rilievo dell’indifferenza della veste giuridica formale privatistica, ricordando come la dottrina e la giurisprudenza hanno affermato l’inidoneità della veste giuridica formale a trasformare in privato un modello sostanzialmente pubblicistico (15).

Sembra che in tali affermazioni sia implicita l’ascrizione del modulo gestionale delle società miste ala figura di matrice comunitaria dell’in house, rilevato il dato dell’inerenza della struttura societaria all’apparato pubblico di riferimento.

Qualche anno dopo è stata la V sezione del Consiglio di Stato ad esplicitare il delineato punto di vista, affermando de plano la riconduzione delle società miste a partecipazione pubblica maggioritaria costituite dagli enti locali per la gestione di un servizio pubblico allo schema comunitario dell’in house providing (16). 

La riportata tesi del giudice amministrativo d’appello si poneva in linea con l’inquadramento dell’istituto della società mista di gestione di un pubblico servizio quale si era venuto delineando nella giurisprudenza amministrativa che muovendo dalla constatazione che l’organismo societario era soggetto al controllo degli enti pubblici soci, ne affermava l’equivalenza al modello in house, benché forse il giudice sorvolasse sull’acclaramento del requisito della significativa dedizione dell’attività della società ali enti pubblici controllanti.

Ed in effetti, di lì a poco, la stessa V sezione del Consiglio aveva ribadito la posizione sopra riportata, individuando il controllo analogo nel possesso da parte dell’ente locale della maggioranza assoluta del capitale sociale. La pronuncia è interessante perché si dà carico anche di accertare l’esistenza in concreto del requisito della dedizione dell’attività della società all’ente pubblico controllante, avendo appurato, da una dichiarazione del Presidente del collegio sindacale, che il 90% dell’attività sociale era rivolta all’ente di riferimento (17).

Ne sarebbe dovuto conseguire che a seguito dell’introduzione espressa, mediante l’art. 14 del d.l.n. 269/2003, del requisito richiesto dalla Corte di Giustizia e accertato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5316/2003, nel modulo gestionale della società a totale capitale pubblico contemplata quale forma di gestione del servizio dall’art. 113, 5° co., lett. c) del d.lg. n. 267/2000, non dovrebbe dubitarsi oggi della equivalenza di tale tipologia di società di gestione, con la figura comunitaria dell’in house providing.

 

8.2. La rimessione alla Corte di Giustizia della compatibilità dell’affidamento dei servizi ad una società a totale capitale pubblico.

 

Nonostante l’orientamento dei Giudici di Palazzo Spada affermasse, come or ora illustrato, la compatibilità comunitaria del modello della società mista, va segnalato che, sorprendentemente, la stessa sezione V del Consiglio di Stato che pure qualche anno prima si era pronunciata nel senso della compatibilità della stessa società a capitale pubblico meramente  maggioritario, ha mutato indirizzo. Recentemente il Giudice amministrativo d’appello ha infatti rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione la disamina della compatibilità con  i principi di libertà della prestazione dei servizi, di divieto di discriminazione e dell’obbligo di parità di trattamento, di trasparenza e libera concorrenza, dell’affidamento diretto dei servizi pubblici locali ad una società a capitale addirittura interamente pubblico.

Nel giudizio a quo, avente ad oggetto l’affidamento da parte del Comune di Bolzano, della gestione dei parcheggi pubblici a pagamento ad una società interamente partecipata dall’ente locale, il T.R.G. di Bolzano, disattendendo le censure di incompatibilità comunitaria sollevate dai ricorrenti, aveva affermato la piena corrispondenza al diritto comunitario della concorrenza del modello gestionale della società interamente posseduta dal Comune, ritenendo applicabile al caso la deroga alle regole concorsuali legittimata dalla sentenza “Teckal”. In particolare secondo i giudici di prime cure, il controllo analogo era garantito dal possesso del 100% delle azioni da parte del Comune concedente il servizio alla società partecipata in misura totalitaria.

A seguito del gravame interposto avverso la pronuncia di rigetto riproponendo la censura di violazione delle norme del Trattato Cee sulla libertà di prestazione dei servizi, sulla libera concorrenza, etc., il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata l’eccezione pregiudiziale e ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia sostanzialmente ritenendo non integrata la figura dell’in house come delimitata dalla sentenza Teckhal del 18.11.1999 in quanto il possesso della totalità del capitale sociale da parte del comune non assolve all’onere della prova dell’esistenza di un controllo analogo dell’ente sulla società (18).

Va segnalato che sulla medesima linea della V sezione del Consiglio si è posto anche un giudice amministrativo di primo grado, pochi mesi dopo, rimettendo alla Corte di Giustizia CEE la pregiudiziale interpretativa circa la compatibilità con il Trattato CEE della stessa libertà di scelta dell’ente locale quanto alle modalità di gestione del servizio pubblico; in particolare circa la scelta tra la gestione concorsuale e quella costituita dall’affidamento diretto, senza gara, ad una società interamente controllata dall’ente locale, rimettendo di conseguenza la pregiudiziale interpretativa alla Corte UE (19).

 

8.3. Segue: il dubbio del Consiglio di Stato malgrado la coincidenza della norma censurata con tutti i dettami della Corte di Giustizia sull’in house.

 

Il Consiglio di Stato ripercorre l’iter legislativo che ha condotto all’attuale formulazione dell’art. 113, 5° co. del d.lg. n. 267/2000, ricordando come è stata la Commissione Europea che ha espresso sul punto la sua interpretazione, con la nota 26 giungo 2002, diretta al Governo Italiano per sollecitare ulteriori modificazioni all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dall'art. 35 comma 1, della legge n. 448 del 2001, nel quale si rinvenivano disposizioni contrastanti, ad avviso della Commissione, con gli stessi principi comunitari dei quali gli appellanti assumevano la violazione.

Ed è proprio dalla lettura della citata nota della Commissione UE che il giudice amministrativo d’appello trae l’interpretazione restrittiva del requisito del controllo analogo, giudicato non presumibile iuris et de iure nella proprietà in capo all’ente locale della totalità del capitale della società affidataria (20).

A parere della Quinta sezione, dunque, il requisito del controllo analogo evoca secondo le Commissione europea un fenomeno “assimilabile” a quello che caratterizzava nel vecchio regime il sistema della Aziende municipalizzate (21).

Sul punto conviene osservare che non sembra dirimente l’argomento, invocato dalla Sezione, secondo cui le Aziende speciali, oltre ad essere sottoposte al potere di direzione e vigilanza del Comune, fossero tenute ad affidare i contratti strumentali alla gestione dei servizi ricorrendo alle  procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, posto che siffatto obbligo sussiste anche per le società a capitale pubblico maggioritario o totalitario, le quali, rientrano, per la giurisprudenza, nel novero degli organismi di diritto pubblico e come tali sono amministrazioni aggiudicatrici, destinatarie della normativa pubblicistica sulla scelta dell’appaltatore o del fornitore.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il modello gestionale dell’azienda speciale differisce da quello odierno delle società miste, poiché espone la gestione delle risorse pubbliche a procedure non atte a garantire l’economia delle spese e il vantaggio per l’utenza (22).

 

8.4. Segue: sul perché le preoccupazioni del Consiglio di Stato non convincono.

 

Probabilmente i Giudici amministrativi d’appello non valorizzano a sufficienza il fatto che quanto meno il modello gestionale della società a capitale interamente pubblico, così come ulteriormente condizionato dalla lettera c) del 5° co. dell’art. 113 del testo unico, appare poco distante da quello pubblicistico dell’Azienda speciale o municipalizzata, ove solo si consideri che la novella norma richiede per la legittimità dell’affidamento diretto, non solo la totalità del capitale pubblico, ma anche l’espressa ricorrenza dei due requisiti comunitari caratterizzanti l’in house, vale a dire il controllo da parte dell’ente pubblico analogo a quello esercitato sui propri servizi e la direzione ella parte più significativa dell’attività della società all’ente o agli enti pubblici che la controllano.

Omette l’ordinanza in commento di dare adeguato rilievo all’attitudine restrittiva e condizionante della nuova norma, pur ripercorrendone l’iter formativo, esitato proprio dai rilievi mossi dalla Commissione UE con la ricordata nota del 26.6.2002, da cui è scaturito l’attuale testo dell’art. 113 del d.lg. n. 267/2000, come esattamente precisa l’ordinanza di rimessione (23).

Orbene, non si comprende perché il Consiglio di Stato, pur dopo aver ricordato che la nuova formulazione dell’art. 113 del testo unico rende legittimo l’affidamento diretto del servizio a società a totale partecipazione pubblica solo ove ricorrano le condizioni previste dalla sentenza Teckal, addirittura testualmente riprodotte, abbia giudicato non conforme la diritto comunitario una norma che è la riproposizione letterale dei principi enunciati dalla Corte europea, concludendo con la rimessione degli  atti  alla Corte del Lussemburgo (24).

Per il vero va soggiunto che mentre nella fattispecie scrutinata dalla Corte europea con la sentenza “Parking Brixen” del 25.10.2005 non era certo che accanto al requisito del controllo analogo – già giudicato, contrariamente a quanto aveva concluso l’avvocato generale, inesistente malgrado il possesso della totalità del capitale in capo al Comune – fosse ravvisabile anche il presupposto della significativa dedizione dell’attività all’ente di riferimento, viceversa nel caso esaminato dalla V sezione del Consiglio di Stato era stato proprio accertato che la parte più importante dell’attività società era espletata a favore del Comune.

Ragion per cui se forse il giudizio di non compatibilità espresso dalla Corte UE nel caso Parking Brixen può avere una ragion d’essere in virtù del dubbio che il secondo requisito dell’in house effettivamente sussistesse, non si comprende il fondamento delle perplessità sollevate dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 2316/2004, posto che in quel caso era dato riscontrare sia il controllo analogo che la dedizione della parte più significativa dell’attività della società all’ente locale.

Tanto più che i Giudici d’appello hanno dubitato della conformità al diritto comunitario di una norma che il legislatore italiano del 2003 ha varato in perfettamente riproducendo alla lettera gli enunciati della Corte di Giustizia sui limiti del modello in house espressi con la sentenza Teckal.

Vale la pena segnalare che la dottrina che ha commentato l’attuale versione dell’art. 113, 5° co., lett.c) del testo unico ne ha evidenziato l’assoluta equivalenza alla figura comunitaria dell’ in house (25).

Il citato autore, condivisibilmente, ha ritenuto che la figura della società interamente posseduta dall’ente o dagli enti locali di riferimento e dedita a svolgere la maggior parte della sua attività a vantaggio degli stessi, coincide  fondamentalmente con il modello dell’azienda municipalizzata (26).

Solo tale modello secondo la V sezione sarebbe immune da censure per violazione dei principi comunitari, ma non viene da loro riconosciuto nella figura della società contemplata dalla norma in commento.

E’ lecito attendersi che la decisione della Corte europea sarà negativa, considerato il precedente della pronuncia Parking Brixen, nonché quello più recente di cui si dirà al numero che segue, benché tale ultima fattispecie concerna il modello di società a semplice maggioranza pubblica di cui alla lettera b) dell’art. 113, 5° co. del testo unico sugli enti locali.

 

9.1. Illegittimo l’affidamento di un appalto di servizi rientrante nell’ambito oggettivo della direttiva 92/50 CEE ad una società mista a maggioranza pubblica. La sentenza della Corte di Giustizia CEE, sez. I, 10.11.2005 n. C-29/04.

 

La posizione espressa dalla Corte di Giustizia con la sentenza Stadt Halle del 11.1.2005 è stata recentemente ribadita con una pronuncia resa su ricorso della Commissione contro la Repubblica d’Austria, con la quale la Corte europea ha sostanzialmente richiamato il precedente Stadt Halle applicandolo ad una fattispecie che, per il vero, presentava più marcate deviazioni dal paradigma concorsuale in materia di affidamento di servizi.

Nel caso esaminato,la città austriaca di Modling aveva costituito nel maggio 1999 una società di cui inizialmente possedeva l’intero capitale sociale, onde far fronte all’obbligatoria attività di smaltimento dei rifiuti. Un mese dopo il Comune predetto deliberava di affidare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani alla neocostituita società “Abfall” con la quale stipulava il 15 settembre 1999 il relativo contratto di affidamento.

Dopo sole due settimane il consiglio di comunale decideva di cedere il 49% del capitale detenuto nella società, ad un’altra impresa privata e solo dopo il perfezionamento della cessione elle quote la  società mista Abfall diventava operativa iniziando a svolgere per il Comune di Modling l’attività di smaltimento dei rifiuti, attività che di lì a poco prendeva ad esercitare anche per conto di comuni del distretto.

Avviata la procedura di infrazione per violazione degli obblighi di pubblicità e di gara stabiliti dalla Direttiva n. 92/50 CEE sugli appalti di servizi, il Governo austriaco rispondeva sostenendo che il contratto concluso con la società mista era sottratto all’applicazione della direttiva citata in quanto sostanziava un’operazione interna tra il Comune e la sua società.

Insoddisfatta di tale risposta, la Commissione presentava il ricorso alla Corte di Giustizia, sostenendo che la deroga al regime concorsuale sancita dalla storica sentenza Teckal, applicabile a tutto il settore degli appalti e non solo alle forniture, non fosse integrata, poiché la stessa presuppone un controllo illimitato dell’ente pubblico sull’aggiudicataria, fenomeno da escludere allorché un’impresa privata detenga comunque delle quote nella società mista.

La Corte aderisce a siffatta lettura, anzitutto precisando che l’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti rientra nell’ambito oggettivo della direttiva n. 92/50 CEE, essendo ricompresa nell’All. 1 A. Nel merito,  inoltre, sposa la riferita tesi della Commissione, richiamando e ribadendo la sentenza Stadt Halle e respingendo l’assunto del Governo austriaco, secondo cui al momento della sottoscrizione del contratto di affidamento del servizio alla società mista, il capitale della stessa era integralmente in mano al Comune, rilevando sul punto la complessiva preordinazione della sequenza negoziale all’elusione delle procedure di evidenza pubblica, posto che la cessione del 49% del pacchetto azionario all’impresa privata era avvenuta quindici giorni dopo l’affidamento del servizio dal Comune alla società mista. Il che sostanziava una malcelata violazione delle regole concorsuali di rango comunitario (27).

Ininfluente è stato dai Giudici comunitari ritenuto l’argomento, ulteriormente speso dal governo austriaco, secondo cui, pur dopo la cessione del 49% delle quote all’impresa privata, il Comune aveva mantenuto un controllo identico a quello esercitato sui propri servizi, il che, in forza della sentenza Teckal, lo avrebbe dispensato dall’adozione della pubblica gara, essendo la stipula del contratto di servizio con la società mista, un’operazione interna al Comune.

La Corte, dopo aver ricordato che il contratto esaminato concerne servizi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva n. 92/50 CEE ed è contratto a titolo oneroso concluso tra un’amministrazione aggiudicatrice e una società di diritto privato giuridicamente distinta da essa e posseduta dall’autorità pubblica in misura maggioritaria, ha richiamato il precedente Stadt Halle , concludendo nel medesimo senso negativo (28).

Sulla scia del precedente del gennaio 2005 la Corte ha pure spiegato il perché la presenza del capitale privato, benché minoritario, nella società mista orienti le scelte decisionali dell’organismo in una direzione estranea al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, inserendo nelle scelte decisionali obiettivi utilitaristici estranei ai fini pubblicistici demandati alle cure dell’ente locale e determinandosi un ingiustificato vantaggio per i privati partners dell’ente locale, che vengono in tal modo privilegiati rispetto agli altri concorrenti (29).

 

9.2. L’influenza della sentenza Modling sull’assetto dei servizi pubblici.

 

Ad una prima lettura della sentenza del 10.11.205 Modling della Corte europea, possono ribadirsi le osservazioni formulate con riguardo alla pronuncia Stadt Halle, posto che l’ultima decisione non fa che testualmente richiamare il precedente i gennaio.

Va peraltro precisato che, come pure sopra avvertito, la fattispecie esaminata con l’ultima sentenza si connotava per una spiccata preordinata elusione delle regole dell’evidenza pubblica, sol che si consideri che la cessione del 49% delle azioni alla società privata è effettivamente avvenuta a sole due settimane dalla stipula del contratto di affidamento del servizio da parte del Comune partecipante.

Quanto al merito della decisione va detto che la stessa è ineccepibile, considerato che l’oggetto dell’affidamento all’organismo privato consisteva proprio in un’attività espressamente compresa nell’All. 1 A della direttiva n. 92/50 CEE, e nel d.lg. n. 157/1995 di recepimento, la stessa trova menzione nell’all. 1, al punto 16 come “eliminazione di scarichi di fogna e rifiuti”.

Ragion per cui, anche se l’attività di smaltimento dei rifiuti per il diritto nazionale è considerata servizio pubblico dalla giurisprudenza (30) e normativamente definita attività di pubblico interesse (Art. 1, d.p.r. 10.9.1982, n. 915), per il diritto comunitario è un comune appalto di servizi, soggetto all’applicazione della relativa direttiva n. 92/50 CEE. Ed a ben veder si concreta in un’attività rivolta, più anche ella collettività indifferenziata, all’amministrazione, la quale per legge è obbligata a provveder alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti.

Ne dovrebbe conseguire che la sentenza Modling, al pari, come detto, della Sentenza Stadt Halle non possono vulnerare il sistema di affidamento di attività che siano rivolte all’utenza e non all’amministrazione e che come tali esulano dal campo di applicazione della direttiva n. 92/50 sostanziando il relativo affidamento una concessione di pubblico servizio.

Si pensi al servizio idrico integrato, alla distribuzione e vendita del gas, al trasporto pubblico. Nessuno potrebbe ragionevolmente dubitare che tali attività sono rivolte al pubblico degli utenti e non sono rese all’amministrazione, ma anzi è questa che li rende ai cittadini per il tramite del soggetto all’uopo creato.

In tal senso del resto militano le Circolari ministeriali riportate nel numero concernente la critica alla sentenza Stadt Halle, che deve ribadirsi anche per la recente pronuncia Modling del 10.11.2005.

Per quanto attiene, poi, alla questione di compatibilità comunitaria della società interamente posseduta da un ente locale e svolgente la più gran parte della sua attività per il medesimo, questione sollevata al TAR Puglia Bari e dal Consiglio di Stato sez. V nel 2004, è di immediata evidenza che la fattispecie differisce da quelle scrutinate dalla Corte europea con le due ultime pronunce.

E del resto, tra le pieghe della motivazione della sentenza Modling, la Stessa Corte avverte che la questione che la occupa è diversa dalla problematica se un controllo analogo è da ravvisare nelle ipotesi di totale possesso del capitale sociale da parte dell’ente pubblico (31).

Non è pertanto da escludere a priori che la Corte possa pervenire a diversa soluzione nel caso sottopostole dai due collegi di giustizia amministrativa in sede di pregiudiziale interpretativa, affermando la sussistenza del requisito del controllo analogo nella differente ipotesi di possesso dell’intero pacchetto azionario da parte dell’ente locale che ha costituito la società.

 

Note

 

(1) Consiglio di Stato, Sez. V, 6 maggio 2003 n. 2380; T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, 22 settembre 2003, n 11543.

(2) TAR Toscana, I, 12 gennaio 1995, n. 17, in Foro Amm., 1995, 1329. Che le Aziende speciali siano uno strumento dell’ente locale di riferimento, sostanziando un rapporto di pressoché totale immedesimazione è stato recentemente ribadito da TAR Liguria, Sez.II, 17 gennaio 2002, n. 30, in Urbanistica e App., 2002, 1094, con commento di R. Damonte.

(3) “L’Azienda speciale, definita dall’art. 23, comma 1 l. n. 142 del 1990 come ente strumentale del comune, è un ente istituzionalmente dipendente dal predetto ente locale e pur avendo conseguito una accentuata autonomia a seguito dell’attribuzione della personalità giuridica, è parte dell’apparato amministrativo che fa capo al comune ed ha, quindi, connotati pubblicistici”(Consiglio di Stato, Sez. V, 19.9.2000 n. 4850, FI, 2001, III, 426)

(4) Limpidamente sostenne questa tesi, che ha riproposto nelle successive edizioni del Manuale, , V. Cerulli Irelli, Corso di diritto Amministrativo, Torino, 1993, pag.317.

(5) Sul punto sia consentito il rinvio, tra i primi studi sul tema ad A. Graziano, Le società per azioni con partecipazione degli enti locali: affidamento di servizi e appalto di lavori pubblici. Per un’interpretazione degli art. 22, lett.e), l. 87 giugno 1990, n. 142 e 12, co. 3, l. 23 dicembre 1992 n. 498, in Riv. Trim. degli Appalti, 1994, 601 ss. e dottrina ivi citata.

(6) “La distinta soggettività giuridica della società costituita ai sensi dell’art. 113, lett. e) d.lgs. n. 267/00 (rispetto all’Ente locale socio) esige, invero, che l’affidamento del servizio, ancorché esuli dallo schema giuridico della concessione, venga formalizzato in un provvedimento che manifesti e consacri la volontà dell’ente di avvalersi in concreto di quel peculiare modulo i gestione e di assegnare, quindi, la titolarità del servizio pubblico alla società (…)L’autonomia della società e la sua natura di soggetto terzo rispetto all’Amministrazione di riferimento postulano inoltre che i rapporti giuridici connessi all’affidamento del servizio vengano regolati mediante una convenzione (o contratto di servizio)”: Cons. di Stato, Sez. V, 6.5.2003 n. 2380, Est. Deodato, in Banca Dati IPSOA  LA Legge plus, ad vocem.

(7) Per tutte, V. Consiglio di Stato, Sez. V, 19 febbraio 1998, n. 198, in Foro Amm., 1998, 2097 con nota di A. Graziano, La scelta dei soci privati nelle società di capitali a maggioranza pubblica: il Consiglio di Stato colma un’apparente lacuna normativa. Tesi successivamente ripetuta dal Consiglio ed addirittura ritenuta espressione di un orientamento consolidato: Consiglio di Stato, Sez. V, 12.5.2003 n. 2516, Est. Deodato, in Banca Dati IPSOA LA Legge plus, ad vocem.

(8) (De Nictolis, 2005, Commento a Corte di Giustizia CE, I, 11.1.2005, n. 2603, C-26/03, Stadt Halle, Urbanistica e Appalti, 2005,305).

(9)“Ma dalla disamina della decisione si evince che si trattava di affidamento di appalto, nel 2001, ad una società mista già costituita ed  operante da tempo (dal 1996), dunque si rientrava in un’ipotesi di affidamento successivo ad una società mista già costituita.

Pertanto, si deve ritenere corretta un’esegesi del diritto comunitario secondo cui:

- per la scelta del socio privato occorre seguire una procedura di evidenza pubblica;

- non occorre seguire procedura di evidenza pubblica per l’affidamento alla società mista dell’appalto cui è finalizzata la costituzione dalla società, se per la scelta del socio privato si è seguita una procedura similare;

- per gli ulteriori affidamenti a società mista, occorre seguire le procedure ad evidenza pubblica: ed è questo il caso pratico deciso dalla Corte di Giustizia.

(De Nictolis, 2005, Commento a Corte di Giustizia CE, I, 11.1.2005, n. 2603, C-26/03, Stadt Halle, UA, 2005, 305)

(10) “Le società miste previste dall’ordinamento interno condividono con gli organismi in house la possibilità di essere affidatarie dirette degli incarichi ad esse attribuiti, nonché, almeno di solito, la prevalenza della loro attività a favore dell’ente o degli enti pubblici che le costituiscono (…) si differenziano invece dagli organismi in house perché i controlli che su di esse esercitano gli enti pubblici che le costituiscono, sono quelli che normalmente vengono esercitati dai soci di una società di capitali e non hanno quindi nulla a che vedere  con i controlli ai quali devono essere sottoposti gli organismi in house”.

(Tessarolo C. Il paternariato pubblico-privato – la scelta del partner privato, 2004, in www.dirittodeiservizipubblici.it).

(11) “In merito, la commissione interpretativa in materia di concessioni di appalti e servizi della Commissione Europea sulle concessioni del 12.4.200 (G.U.C.E. n. 121/5 del 29.4.2000) ha chiarito che applicando tale criterio si ha concessione di servizi quando l’operatore assume i rischi di gestione del servizio (sua istituzione e gestione) rifacendosi sull’utente, soprattutto per mezzo della riscossione di qualsiasi canone. La concessione di servizi è caratterizzata da un trasferimento della responsabilità di gestione e riguarda, di solito, attività che per la loro natura, l’oggetto o le norme che le disciplinano, possono rientrare nel la sfera di responsabilità dello stato ed essere oggetto di diritti esclusivi o speciali”

(Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche  comunitarie del 1.3.2002, n. 3944, G.U. 3.5.2002, n. 102, riassunta in Guida Normativa, CEL, 2004, 1957)

(12) “A parere dei questo Dipartimento per le politiche comunitarie il criterio distintivo più convincente è quello relativo all’oggetto dei due contrapposti istituti giuridici (…).

Si osserva, infatti, che l’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell’amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale che interessa l’amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio (…). Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’amministrazione di compensare l’attività svolta dal privato”.

(Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche  comunitarie del 1.3.2002, n. 3944, G.U. 3.5.2002, n. 102, riassunta in Guida Normativa, CEL, 2004, 1957)

(13) “L’attribuzione di una concessione  di pubblici servizi senza svolgimento di pubblica gara, qualora l’impresa concessionaria sia una società per azioni costituita mediante la trasformazione di un’azienda speciale di un’autorità pubblica, il cui capitale sociale al momento dell’attribuzione sia interamente detenuto dall’autorità pubblica con cedente, il cui consiglio di amministrazione disponga però dei più ampi poteri di ordinaria amministrazione e possa concludere autonomamente, senza l’accordo dell’assemblea dei soci, taluni negozi entro una valore di cinque milioni di euro”.

(Corte di Giustizia delle Comunità europee, sez. I, 25.10.2005, in causa C-458/03, “Parking Brixen”, Ventiquattrore Avocato – Il Sole 24 ore, 11/2005,112)

(14) “La A.S.M. Bressanone S.p.A. ha acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo del Comune. In questo senso militano:

a) la trasformazione della Servizi Municipalizzati Bressanone – azienda speciale del Comune di Bressanone – in una società per azioni (ASM Bressanone S.p.A) e la natura di questo tipo di società;

b) l’ampliamento dell’oggetto sociale, giacché la società ha cominciato ad operare in nuovi importanti settori, in particolare, quelli del trasporto di persone e merci, dell’informatica e delle telecomunicazioni. Si deve rilevare che la società ha conservato la vasta gamma di attività precedentemente esercitate dall’azienda speciale, tra cui quella di adduzione dell’acqua e di depurazione delle acque reflue, di fornitura di calore ed energia, di smaltimento dei rifiuti e di costruzione di strade;

c) l’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali;

d) l’espansione territoriale delle attività della società a tutta l’Italia e all’estero;

e) i considerevoli poteri conferiti al Consiglio di amministrazione, senza che in pratica venga esercitato alcun controllo gestionale da parte del comune”.

(Corte di Giustizia CEE, 25.10.2005, (C-458/03) Ventiquattrore Avvocato – l Sole 24 ore, 11/2005, 112).

(15) “si sono orientate nel senso di escludere che la semplice veste formale di s.p.a. sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell’azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici (…) Ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria neutra e la quasi  integrale pertinenza a referenti pubblici del pacchetto azionario, dimostra che  si è al cospetto di uno strumento alternativo alle forme tradizionali di intervento e consente di ritenere che le s.p.a. si possano considerare come un’articolazione organizzativa dell’ente o degli enti di riferimento. Del resto, il perseguimento di uno scopo pubblico non è in contraddizione con il fine societario lucrativo, in quanto la presenza di un utile di esercizio è del tuto compatibile con la gestione di servizi pubblici”.

(Cons. St., sez. VI, 1.4.2000, n. 1885, FI,2001,III, 71, cui aderisce TAR Toscana, sez. I, 15.1.2001, n. 24, F, 2001, 1279)

(16) E’ interessante quanto afferma il giudice d’appello: “si deve, peraltro, rilevare che  il modello in questione va qualificato come gestione diretta del servizio da parte dell’Ente locale (C.S., sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192) assimilabile all’affidamento “in house” di matrice comunitaria e che il fondamento della sua attribuzione senza gara dev’essere rinvenuto negli atti costitutivi della società ed in quelli di selezione del socio privato, da valersi quali provvedimenti genetici del soggetto giuridico per mezzo del quale (seppur in regime convenzionale) l’ente locale svolge il servizio”.

(Cons. St., sez. V, 30.6.2003, n. 3864, in  www.dirittodeiservizipubblici.it

(17) “Orbene, dai documenti esibiti dalle parti appellanti, si desume che siffatto controllo esisteva, al momento della stipulazione della convenzione, giacché il comune possedeva, per statuto, almeno il 51 per cento del capitale sociale della società per azioni affidataria e giacché la prevalenza del capitale pubblico doveva permanere per tutta la durata della società (art. 5, rispettivamente, commi 3 ed 1). Altre disposizioni dello stesso statuto conferivano al Comune una posizione dominante, per l'assenso riservatogli in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci, e perciò per il controllo sull'assemblea, nonché per la maggioranza riservatagli in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori, con intuibili riflessi anche in ordine alla nomina degli altri amministratori e del collegio sindacale.

Inoltre, dalla dichiarazione, in data 14 febbraio 2001, già depositata in prime cure, del presidente del collegio sindacale della società a prevalente capitale comunale, si può rilevare che, sempre con riguardo all'anno 2000 di stipulazione del contratto, ben oltre il novanta per cento dell'attività dell'impresa derivava da attività rese al Comune controllante. Era soddisfatto, perciò, anche il secondo requisito enunciato nelle pronunzie della Corte di Giustizia.

(Cons. St., sez. V, 18.9.2003, n. 5316, Banca dati Ipsoa – La Legge plus, 5/2005)

(18) “Il problema della compatibilità con l'ordinamento comunitario dell'affidamento di servizi pubblici a società per azioni a capitale pubblico, totale o maggioritario, cosiddetto "in house providing" non sembra sia stato esaminato dalla Corte di Giustizia assumendo come parametro diretto di giudizio le norme del Trattato medesimo citate in precedenza.

E' nota la pronuncia pregiudiziale 18 novembre 1999 adottata in causa 107/98, T. s.r.l. c. Comune di Aviano. (…) Nella detta pronuncia (punto 50) la Corte ha affermato che, essendo il Comune amministrazione aggiudicatrice a norma dell'art. 1 lett. a) della Direttiva 93/36 CEE, la relativa normativa doveva essere applicata, quindi occorreva bandire una gara, se, secondo la valutazione del giudice a quo, si trattava di due soggetti distinti tra i quali si era concluso un contratto configurabile come appalto. "Può avvenire diversamente - ha soggiunto la Corte - solo nel caso in cui, nel contempo, l'Ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello che da esso esercitato sui propri servizi, e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'Ente o con gli Enti locali che la controllano.".

L'espressione usata dalla Corte "..controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi ..." propone un nuovo problema interpretativo, dovendosi stabilire quando il controllo esercitato presenti le caratteristiche volute dalla sentenza.

Più specificamente si tratta di capire se il possesso dell'intero capitale del soggetto affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell'organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione”.

(Cons. St., sez. V, ord. 22.4.2004, n. 2316, Giornale Dir. Amm., 2004, 849, nota Massera)

(19) “Deve essere rimessa alla Corte di Giustizia della Comunità europea la questione se sia compatibile con il diritto comunitario, e, in particolare, con gli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. 46,49 e 86 del Trattato, l’art. 113, comma 5, d.lg. 18.8.2000, n. 167, nella parte in cui non pone alcun limite alla liberà di scelta dell’amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed, i n particolare,  fra l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica  l’affidamento diretto a società da essa interamente controllata”.

(TAR Puglia – Bari, sez. III, 8.9.2004, n. 885, Urbanistica e App., 2004, 12, 1478)

(20) “Si legge nella detta nota: " 34. Per quanto riguarda in particolare la nozione di "controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi" di cui alla giurisprudenza in discorso, la Commissione sottolinea che affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”.

(Cons. St., sez. V, ord. 22.4.2004, n. 2316, Urbanistica e App., 2004, 930, nota Galesi)

(21) “Il controllo contemplato nella sentenza Teckal fa infatti riferimento ad un rapporto che determina, da parte dell'amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato, e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo".

La commissione sembra alludere, quindi, ad un fenomeno giuridico assimilabile a quello delle aziende municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578, nel quale si istituiva un nuovo soggetto, con capacità giuridica propria e propri organi, sottoposto peraltro a penetranti poteri di vigilanza da parte dell'Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n. 2578/1925). Tale esperienza, d'altra parte, era caratterizzata dall'obbligo dell'azienda di svolgere la propria attività mediante contratti, scegliendo il contraente con procedure ad evidenza pubblica (art. 57 e ss. del Regolamento di cui al d.P.R. 4 ottobre 1986 n. 902).

(Cons. St., sez. V, ord. 22.4.2004, n. 2316)

(22)“L'affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l'esercizio dei poteri propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto commerciale comune, sembra esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure diverse da quelle destinate a garantire una crescita del mercato interno, l'economia nelle spese e il vantaggio per l'utenza”.

(Cons. St., sez. V, ord. 22.4.2004, n. 2316)

(23) “Con l'art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326 è stato nuovamente modificato l'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ( testo unico delle leggi sugli enti locali) concernente la disciplina dei servizi pubblici, già modificato, come accennato in precedenza con l'art. 35 della legge 20 dicembre 2001 n. 448.

Il comma 5 è stato interamente sostituito con una disposizione che, alla lettera c), riproducendo alla lettera le espressioni della sentenza Teckal, ammette il conferimento del servizio "a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.".

Si riscontra un impiego sempre più frequente della detta deroga, e ciò comporta la sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all'iniziativa imprenditoriale privata, in contrasto la stessa ragion d'essere dell'Unione Europea.

(Cons. St., ord. 22.4.2004, n. 2316)

(24) Viene investita infatti la  “Corte di giustizia della Comunità Europea, a sensi dell'art. 234 del Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito: se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l'obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l'affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico, ai sensi dell'art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993, n. 1, modificato dall'art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10 (…) La soluzione del quesito in esame non esplica effetti solo sulla applicabilità della normativa della Regione Trentino-Alto Adige, perché anche la legislazione dello Stato consente ora la deroga al metodo di scelta del contraente mediante procedura ad evidenza pubblica”.

(Cons. St., ord. 22.4.2004, n. 2316)

(25) “La formula gestionale considerata nella lett. c) si sostanzia in un recepimento pieno e rigoroso del modello dello in house providing o della “delegazione interorganica” contemplato, per gli appalti pubblici, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (…) Il modello implica che la società di gestione sia – in sostanza – niente altro che un plesso organizzativo dell’ente locale, privo di una sua autonomia imprenditoriale e di capacità decisionali distinte da quel le dell’ente locale”.

(Caia G., Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, www.giustizia-amministraiva.it).

(26) “In sostanza, si assiste alla riproduzione del vecchio modello dell’azienda speciale municipalizzata di cui al r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578. Si deve notare che il legislatore italiano è stato particolarmente rigoroso perché richiede la presenza di un <capitale interamente pubblico>, mentre per la rispondenza al modello comunitario sarebbe stata bastevole la maggioranza assoluta del capitale in capo agli enti locali”.

(Caia, op. cit., 7)

(27) “ Occorre ricordare che la cessione del 40% delle quote della società Abfall è intervenuta due settimane dopo che tale società è stata incaricata, in esclusiva e a tempo indeterminato, ella raccolta e dello smaltimento dei rifiuti della città di Modling. Inoltre, la società Abfall è diventata operativa solo dopo che la società Saubermacher ha rilevato una parte delle sue quote.

Così è pacifico che attraverso una costruzione artificiale comprendente più fasi distinte, e cioè la creazione della società Abfall, la conclusione con essa del contratto di smaltimento dei rifiuti e la cessione del 49% delle quote di tale società alla società Saubermacher, un appalto pubblico di servizi è stato attribuito ad un’impresa di economia mista, in cui il 49% delle quote sono detenute da un’impresa privata”.

(Corte di Giustizia CEE, sez. I, 10.11.2005 n. C-29/04, in www.dirittodeiservizipubblici.it)

(28) “Nella citata sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, la Corte ha già esaminato la questione se, in tali circostanze, l’autorità aggiudicatrice è tenuta ad applicare le procedure di gara d’appalto previste dalla direttiva 92/50 a causa del solo fatto che un’impresa privata detiene una partecipazione,anche di minoranza nel capitale della società controparte contrattuale.. Essa ha giudicato che la partecipazione, anche di minoranza, di un’impresa privata nel capitale di una società a cui partecipa anche l’autorità aggiudicatrice interessata, esclude in ogni caso che tale autorità aggiudicatrice possa esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, punto 49)”

(Corte di Giustizia CEE, sez. I, 10.11.2005 n. C-29/04)

(29) “Il rapporto tra un’autorità pubblica, che è un’autorità aggiudicatrice, e i suoi propri servizi è disciplinato da considerazioni ed esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Al contrario, qualsiasi piazzamento di capitale privato  in un’impresa, obbedisce a considerazioni relative agli interessi privati e persegue obiettivi di natura diversa (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, punto 50).

L’aggiudicazione di un appalto pubblico ad un’impresa ad economia mista senza appello alla concorrenza comprometterebbe l’obiettivo di concorrenza libera e non falsata e il principio di parità di trattamento degli interessati previsto dalla direttiva 92/50, in quanto tale procedura offrirebbe ad un’impresa privata presente nel capitale di tale impresa, un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, punto 51)

(Corte di Giustizia CEE, 10.11.2005, n. C-29/2004, in  www.dirittodeiservizipubblici.it)

(30) (TAR Campania Napoli sez. I, 28.12.1999, n. 3396, Ragiusan, 2000, fasc. 193-94, 154; TAR Sicilia – Catania, 7.2.1996, n.122, Foro Amm., 1996, 3062)

(31) “ 38. Senza che appaia necessario decidere se la detenzione, da parte del comune di Modling, dell’intero capitale della società Abfall alla data di attribuzione dell’appalto pubblico di servizi fosse necessaria per stabilire che il detto ente locale esercitava sulla società Abfall un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi (…)”

(Corte di Giustizia CEE, 10.11.2005, n, C-29/04)

 

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