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Legge Finanziaria 2007; disposizioni in materia di Consigli di Amministrazione delle società degli Enti Locali: residue incertezze applicative ed analisi delle diverse posizioni dottrinali circa gli aspetti più controversi.
di Luca Manassero 28 maggio 2007
Materia: società / amministratori

Legge Finanziaria 2007; disposizioni in materia di Consigli di Amministrazione delle società degli Enti Locali: residue incertezze applicative ed analisi delle diverse posizioni dottrinali circa gli aspetti più controversi. La necessità di un urgente chiarimento da parte del Governo.

           

Premessa

Com’è noto, la Legge Finanziaria per il 2007 (Legge 27.12.2006 n° 296) contiene una serie di disposizioni rivolte a disciplinare i Consigli di Amministrazione delle Società partecipate dagli Enti Locali. La norma, di non agevole interpretazione e piuttosto approssimativa nella formulazione, ha già dato luogo ad analitiche ed autorevoli ricostruzioni (1), cui si rinvia per una disamina più articolata.

Gli spunti che seguono si propongono, quindi, esclusivamente di focalizzare l’attenzione sulle interpretazioni fornite dagli interpreti riguardo a quegli aspetti della normativa in parola che suscitano, tutt’ora, opinioni contrastanti e che, con l’approssimarsi dell’effettuazione delle Assemblee di approvazione dei bilanci di esercizio 2007 delle Società degli Enti Locali, si connotano di particolare attualità e delicatezza. Ciò,  in particolar modo (e fatto salvo quanto si dirà in seguito) per quelle società in cui l’approvazione del Bilancio debba abbinarsi, per la contemporanea scadenza del mandato degli Amministratori, alla nomina di un nuovo Consiglio con relativa determinazione del numero dei componenti e dei compensi spettanti.

In via di estrema sintesi, le disposizioni in commento della Legge Finanziaria 2007 (commi da 725 a 735 e da 587 a 593, oltre al comma 718), limitano, nella sostanza, la sfera di autonomia delle società partecipate dagli Enti Locali e dei relativi soci, statuendo:

-           dei limiti al numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione delle suddetta società;

-        dei tetti ai compensi del Presidente e dei componenti del Consiglio di Amministrazione;

-        delle limitazioni al conferimento dell’incarico di amministratore;

-        obblighi di comunicazione e di pubblicità a carico delle società e dei relativi soci pubblici;

            L’articolato ha destato più di una perplessità in sede esegetica; in particolare, si sono evidenziate problematiche relative all’efficacia temporale delle norme, ai criteri interpretativi da adottare, alla gerarchia delle fonti, alla coerenza con i principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale e comunitario. L’ambiguità di fondo della formulazione di alcuni articoli, peraltro, è tale che non è affatto agevole sciogliere definitivamente tali nodi. Significativo appare, al riguardo, che la stessa ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) abbia ritenuto di richiedere al Governo un incontro urgente a più di quattro mesi dall’entrata in vigore della norma (2) per ottenere un chiarimento su diversi aspetti della disciplina in commento. Tale chiarimento risulta, come qui si tenterà di dimostrare, ormai assolutamente indispensabile, stante l’estrema alea con la quale si trovano a dover fare i conti le Società e gli Enti Locali soci e le potenziali conseguenze derivanti da comportamenti non conformi (con particolare riguardo alla responsabilità da danno erariale) (3) .

           

1. Efficacia temporale della nuova normativa; effetti sugli organi in carica.

a) Con riguardo ai compensi attribuiti al Presidente ed ai Consiglieri di Amministrazione .

Una delle questioni più dibattute e delicate è quella concernente la decorrenza dell’applicazione della normativa ed, in particolare, gli eventuali effetti sugli organi in carica. La Legge Finanziaria 2007 è entrata in vigore il 1 gennaio 2007: non vi è dubbio, in dottrina, che eventuali nuove nomine di amministratori di società di Enti Locali dovranno conformarsi alla nuova normativa. Circa  i Consigli di Amministrazione in carica alla data di entrata in vigore della Legge il problema si pone, principalmente, rispetto all’introduzione, da parte del comma 725 (4) , di un tetto ai compensi massimi del Presidente e dei Consiglieri di Amministrazione; ciò in quanto (salvo ciò che si dirà in appresso) la  diversa questione connessa al numero massimo dei componenti dei Consigli attende, per una complessiva definizione, l’emanazione del DPCM previsto dal comma 729 (5).

Il comma 725 si limita a disporre che, per la società a totale partecipazione di Comuni è Province, “..il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore per il presidente all’80 per cento e per i componenti al 70 per cento… “. La lettera della norma (6) non giova, di per sé, a sciogliere il nodo dell’applicabilità anche ai Consigli in carica; se, infatti, la locuzione “non può essere” parrebbe postulare un divieto assoluto ed incondizionato, applicabile a chiunque a prescindere dal momento di conferimento dell’incarico, l’espressione “compenso ..attribuito”, al contrario, induce a propendere per un comportamento positivo da attuarsi in un momento futuro.

La dottrina ha fornito al proposito due diverse soluzioni del problema, sebbene con motivazioni differenti nell’ambito dell’una e dell’altra impostazione.

Una prima interpretazione, di carattere sistematico, nega l’applicabilità delle norme in questione ai Consigli di Amministrazione in carica, in base al confronto con altre disposizioni della Finanziaria che, invece, esplicitamente prevedono, per casi analoghi, la cessazione dagli incarichi ricoperti “alla data di entrata in vigore della presente legge” (comma 459), mentre una simile previsione risulta al contrario assente nel comma 725. A sostegno della tesi dell’inapplicabilità ai Consigli in carica si invocano, inoltre, il generale principio di irretroattività della legge ed il principio di certezza del diritto, che costituisce un principio cardine, fra l’altro, anche dell’ordinamento comunitario (7), nonchè il divieto di reformatio in peius nei rapporti privatistici in atto.

E’ stato, peraltro, contrariamente osservato, in proposito, da autorevole dottrina,  che “ Il divieto di retroattività della legge – pur costituendo valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento – non è stato, tuttavia, elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 Cost.. Quindi, il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva – interpretative o innovative che siano – purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (Corte cost., 6 dicembre 2004, n. 376). Scontato che le disposizioni in esame non contrastano “con altri valori e interessi costituzionalmente protetti”, vi è, per il resto, da dire che dette disposizioni, per il profilo che qui interessa, non appaiono neppure irragionevoli, trovando esse la loro giustificazione, appunto ragionevole, nel dichiarato fine di contenere la spesa pubblica degli enti locali e di limitare, di conseguenza, i trasferimenti erariali agli stessi enti locali.” (8).

Taluni altri autori, con un percorso argomentativo strettamente ancorato al diritto societario, hanno posto in luce che la norma, pur se immediatamente efficace, sarebbe peraltro inidonea ad incidere su atti legittimamente adottati dall’assemblea dei soci, il potere della quale, ai sensi dell’art. 2389 cod. civ., si consuma all’atto della nomina; gli atti compiuti, pertanto, resterebbero regolati dalla disciplina adottata dall’assemblea (secondo la regola del tempus regit actum) (9).

Un’analisi della giurisprudenza in materia non aiuta a pervenire a  risultati univoci. Da un lato, infatti, un primo filone giurisprudenziale pone l’accento sulla natura privatistica del rapporto dei Consiglieri di Amministrazione con le rispettive S.p.A. pubbliche, inducendo l’interprete a privilegiare un interpretazione anche della Legge Finanziaria aderente al diritto privato e societario. Un diverso orientamento(10), al contrario, evidenzia la forte compenetrazione, in questa materia, di elementi di diritto societario con concetti di matrice pubblicistica (11).

Sul primo versante, il rapporto tra società pubbliche e relativi amministratori è stato inquadrato come squisitamente privatistico, ed al relativo diritto al compenso dei consiglieri è stato attribuito un carattere di intangibilità. Ad esempio, Trib. L’Aquila, 14.4.2004 (12) , occupandosi di un caso di riduzione unilaterale del compenso dei Consiglieri di Amministrazione di una società pubblica (ex Consorzio trasformato in SpA) da parte dell’Assemblea dei Soci, ha evidenziato (13) come, con l’approvazione delle norme del nuovo diritto societario, ed in particolare del nuovo rito societario, il legislatore abbia implicitamente riconosciuto che il rapporto dei Consiglieri con la Società non rivesta i caratteri della c.d. parasubordinazione, mancando, in particolare, il requisito della  coordinazione. Quale ulteriore corollario il Tribunale ne deriva che il Consigliere è organo della società (ed il rapporto è quindi di immedesimazione organica), ed “ha un diritto soggettivo irrinunciabile al compenso, che non può essere modificato se non con espressa manifestazione di volontà dell’amministratore ”.

Della natura di diritto soggettivo pieno e perfetto del diritto al compenso dà conto anche la Giustizia Amministrativa (14), secondo cui la revoca di un amministratore nominato con provvedimento diretto del socio pubblico ex art. 2449 cod. civ. (15) è soggetta alla giurisdizione del Giudice Ordinario, in quanto il socio pubblico, nell’effettuare la revoca esercita un potere analogo a quello assembleare, in qualità di socio, ed incide su organi che operano secondo il diritto privato.

La qualificazione dei rapporti in parola come squisitamente privatistici conferisce vigore alle tesi che sostengono la non applicabilità della nuova disciplina ai rapporti in essere, particolarmente in virtù dei richiamati argomenti fondati sul principio di certezza del diritto (e del correlativo principio dell’affidamento incolpevole del privato) e sull’intangibilità degli effetti di un atto tipicamente espressione di autonomia privata qual è quello assembleare.

Merita, inoltre, un cenno anche l’argomentazione che, nel negare l’applicazione ai Consigli in carica del comma 725, fa leva sul carattere derogatorio della disciplina in commento. Tale impostazione (16), fondata sull’art. 14 delle preleggi (17), evidenzia che la disciplina della Legge Finanziaria, derogando al regime generale delineato del codice civile, non può essere oggetto di interpretazione analogica od estensiva, salvo che vi sia una espressa ed inequivoca manifestazione di volontà in questo senso da parte del legislatore, in mancanza della quale i rapporti od i fatti cui la norma si riferisce restano assoggettati alla disciplina generale (18) ;  coerentemente, si aggiunge al proposto che, in tal caso, risulterebbe preclusa la possibilità di procedere ad una ricerca della voluntas legis, “che costituisce solo un criterio sussidiario di ermeneutica, peraltro l’ultimo in ordine di importanza, cui l’interprete deve far ricorso”.  Come accennato, non solo nel comma 725 manca un’espressa indicazione circa l’applicabilità della norma anche ai rapporti in essere ma, al contrario, un raffronto sistematico con altre norme analoghe (comma 459 (19) ) che invece prevedono espressamente la cessazione immediata dagli incarichi, farebbe propendere per la salvaguardia dei mandati dei Consigli in carica.

D’altro canto, diverse pronunce collocano le Società degli Enti Locali su di un versante più prettamente pubblicistico, inducendo a riflessioni sul portato della Legge Finanziaria di segno opposto a quelle sin qui condotte. Anzitutto, la stessa Corte Costituzionale (20) ha ripetutamente affermato riguardo alle Società degli Enti Locali che si tratta di “.. società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici” (nella fattispecie, la Consulta ha, fra l’altro, giudicato legittima, quale esplicazione della regola generale posta dall’Art. 97 Cost., una norma della Regione Abruzzo che ha imposto la regola del pubblico concorso per tutte le assunzioni all’interno delle società pubbliche locali operanti nella regione).

La giurisprudenza della Corte dei Conti (che è, è bene ribadirlo, tra i principali Organi chiamati ad applicare la legge in commento) è da tempo orientata (in conformità ad un orientamento della Corte Costituzionale (21) e della Corte di Cassazione (22) ) ad una qualificazione di tipo sostanziale, e non formale, delle società degli enti locali, e di quelle pubbliche in generale. Tale giurisprudenza, infatti, è ormai costante nel ritenere assoggettate alla giurisdizione contabile ex art. 103 Cost. le Società Pubbliche, siano esse a partecipazione locale, regionale o statale (23) . E’ stato affermato, in tale contesto, che “La P.A. svolge ormai attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato. Ancorché in forme privatistiche, gli enti pubblici svolgono dunque anch'essi attività amministrativa, rispetto alla quale tali forme sono nient'altro che lo strumento a tali fini utilizzabile ed utilizzato. Eguali considerazioni valgono, quando i pubblici servizi sono realizzati con ricorso ad altre forme o istituti propri del diritto privato, quali le S.p.A., purchè con impiego di denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti o dai fruitori dei servizi medesimi.” (24) Orbene, considerando il noto atteggiamento della Corte dei Conti di tipo sostanzialistico ed improntato alla tutela degli interessi pubblici sottesi alle norme applicate, tenuto conto della ratio esplicita di contenimento della spesa pubblica propria della normativa in analisi, può comprendersi l’atteggiamento prudenziale con cui alcuni commentatori si sono approcciati all’esegesi della disciplina, spinti dal timore di indurre i soggetti chiamati all’applicazione concreta della norma a comportamenti suscettibili di essere censurati dal giudice contabile. Considerata, quindi, la natura sostanzialmente pubblica delle società in argomento, e la natura di soggetti “di diritto speciale” attribuita alle stesse anche dalla Corte Costituzionale (25), non sembra fuor di luogo profilare una possibile interpretazione da parte del Giudice Contabile che attribuisca rilievo preminente agli interessi pubblici sottesi alla Legge 296/06, propendendo per un’immediata applicazione della norma anche ai Consigli in carica. In tale direzione si è peraltro espressa anche parte della dottrina propendendo per l’immediata applicazione della norma “de qua”, e l’interpretazione della stessa in chiave sostanziale e non formale anche in funzione dell’obiettivo di risanamento della finanza pubblica ad essa sotteso (26). Da ultimo, è stato anche sostenuto, per altro verso, come non possa escludersi un’interpretazione delle norme di cui ai commi 725-728, fondata sul carattere imperativo delle stesse e, quindi, sulla sua immediata applicabilità, a far data dal 1 gennaio 2007, in conformità all’art. 1419 c.c. (27).

Vagliate le autorevoli ricostruzioni dottrinali su citate, sembra di dover comunque sostenere che l’interpretazione tesa all’immediata applicazione della norma di cui al comma 725 anche ai Consigli di Amministrazione in carica non appare del tutto convincente, dovendosi attribuire valore prevalente, sotto il profilo dell’aderenza complessiva ai principi dell’ordinamento giuridico, alle tesi favorevoli all’applicabilità della norma solo a decorrere dai nuovi incarichi. Non pare, infatti, che l’esigenza di salvaguardia della finanza pubblica, pur in uno la menzionata sostanziale pubblicità delle società in parola, possa legittimare un’interpretazione che mini (in assenza di una inequivoca disposizione di segno opposto) alcuni dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico: il divieto di interpretazione analogica o estensiva ex art. 14 preleggi, il principio dell’affidamento ed il correlativo principio di certezza del diritto, e via discorrendo. Appare, quindi, oltremodo necessario che, come peraltro richiesto da più parti e come si ribadirà più innanzi, il Governo si pronunci in tempi rapidi sulla materia con un intervento chiarificatore, poiché non si può ragionevolmente addossare ai protagonisti della concreta applicazione della norma la totale responsabilità (28) della sua applicazione.

b) Con riguardo al numero dei componenti dei Consigli di Amministrazione.

L’esclusione dei Consigli di Amministrazione in carica dall’applicazione della Legge Finanziaria sembrerebbe, invero, pacifica riguardo al tetto, posto dal comma 729, al numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione (29).

A mente del citato comma, l’obbligo per le Società di adeguare Statuti e Patti Parasociali scatta una volta decorsi tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri chiamato ad individuare la soglia di capitale sociale sopra la quale sarà legittima la nomina di un numero di consiglieri sino a cinque e, di converso, sotto la quale il numero massimo dei componenti il Consiglio sarà di tre. Il Dpcm in questione dovrà essere emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge (e, dunque, entro il 30 giugno 2007).  Peraltro, pur a fronte di una formulazione della norma certamente più chiara rispetto a quella del comma 725, non sono mancate anche sul punto interpretazioni divergenti.

Su di un versante si è collocato chi si è chiesto (concludendo affermativamente) se, perlomeno limitatamente al tetto massimo di cinque consiglieri la norma debba applicarsi da subito, senza attendere l’emanazione del Dpcm, almeno nei casi in cui si debba procedere al rinnovo dei Consigli di Amministrazione .

Dal lato diametralmente opposto vi è stato chi ha qualificato la norma, in assenza del Dpcm attuativo, del tutto inapplicabile o inefficace. Autorevoli commentatori hanno inoltre precisato che, successivamente all’emanazione del Dpcm, dovendo prima intervenire la modifica degli Statuti e degli eventuali Patti Parasociali l’efficacia della disposizione in commento si dispiegherà esclusivamente dall’iscrizione al Registro delle Imprese delle modifiche statutarie. In tale quadro, la norma troverebbe applicazione esclusivamente dalla prima nomina del Consiglio di Amministrazione che intervenga successivamente a tale ultima fase del procedimento (30).

In una posizione intermedia si colloca chi, pur dando atto della sostanziale inefficacia delle norme, ha ipotizzato che, a fini di opportunità e tenendo conto della natura pubblica degli azionisti, possa prudenzialmente darsi comunque un’informativa ai Soci con l’Avviso di convocazione dell’Assemblea per la nomina del nuovo Consiglio circa il vincolo normativo esistente, al fine di consentire ai soci di determinare, ove lo ritengano, in modo conformativo alla legge il nuovo C.d.A.

Pur dando atto della consistenza delle argomentazioni basate sulla mancanza del Dpcm, e pur condividendo (per le medesime ragioni illustrate più sopra circa i limiti ai compensi) l’assunto per cui deve escludersi in radice l’applicabilità del limite di cinque consiglieri nel caso di Consigli di Amministrazione in costanza di mandato, si esprime l’avviso che, per quanto attiene ai rinnovi dei Consigli che debbano avvenire in questo periodo, il tetto massimo di cinque Consiglieri sembrerebbe dover essere considerato vincolante da subito (31).

Il chiaro dato normativo per cui il legislatore ha inteso esprimersi per un limite massimo e comunque invalicabile, quale che sia il capitale della società, di cinque componenti, non sembra poter essere eluso appellandosi alla mera carenza del Dpcm, che risulta essere solo una condizione per orientare le scelte tra un Consiglio a tre oppure, appunto, a cinque membri. Ignorare tale precetto appare, infine, difficilmente conciliabile  con la ratio di contenimento della spesa pubblica che, come detto, impronta la norma.

 

3. L’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione della normativa.

Numerosi gli interrogativi sorti in ordine all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione dei commi in parola della Legge Finanziaria. Si è posto, anzitutto, il tema dell’applicabilità della norma nelle ipotesi in cui si sia adottato un modello di amministrazione diverso da quello tradizionale, o “latino”, ossia i modelli monistico e dualistico, e della correlativa trasponibilità delle limitazioni poste dalla Finanziaria a tali fattispecie. Ci si è, inoltre, interrogati, sulla disciplina applicabile alle società controllate e partecipate dalle Società degli Enti Locali. Tale problematica ha dato luogo ad opinioni divergenti tanto con riguardo al tema dei compensi dei membri del consiglio di amministrazione di tali società, quanto in ordine al numero dei componenti il consiglio stesso. Sotto il profilo soggettivo, infine, la previsione di onnicomprensività del compenso contenuta nel comma 725 ha dato origine ad un dibattito riguardo al quesito se i tetti massimi previsti dalla normativa si applichino o meno anche a quei consiglieri che siano investiti “di particolari cariche” ai sensi del terzo comma dell’art. 2389 cod. civ. (ossia ai Presidenti muniti di deleghe operative ed agli Amministratori Delegati).

Per quanto concerne l’applicabilità delle disposizioni alle ipotesi di modelli di amministrazione monistico o dualistico (32) può segnalarsi sinteticamente come una parte degli autori escluda, basandosi sulla lettera della legge, l’applicabilità delle disposizioni al Consiglio di gestione, al Consiglio di Sorveglianza al Comitato per il controllo sulla gestione ed all’amministratore unico, organi previsti dai citati modelli alternativi. Il comma 725, infatti, parla expressis verbis solo di “componenti dei Consigli di Amministrazione” (33). Sembra, tuttavia, da preferire (tenuto conto della ratio della normativa e della natura pubblica dei soggetti coinvolti) un’interpretazione non strettamente ancorata al dato strettamente letterale. Ciò anche sulla scorta  dell’equiparazione che il codice civile pone  in via generale (utilizzando la terminologia di amministratori in luogo di quella di consiglieri di amministrazione, ma chiarendo all’art. 223 septies delle disposizioni di attuazione che “se non diversamente disposto, le norme del codice civile che fanno riferimento agli amministratori ed ai sindaci trovano applicazione, in quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza, per le società che abbiano adottato il sistema dualistico, e ai componenti del consiglio di amministrazione e ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione, per le società che abbiano adottato il sistema monistico”) tra il consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale ed il consiglio di gestione nel caso di adozione del sistema dualistico ed agli amministratori (compreso l’amministratore unico) per l’ipotesi di adozione del sistema monistico (34).

In merito alle società controllate, va osservato anzitutto che la lettera del comma 725 in materia di compensi sembrerebbe riferirsi esclusivamente alle società partecipate direttamente dagli Enti Locali. Svariati autori hanno desunto tale impostazione sia dal confronto con il successivo comma 729 che, riguardo al  numero degli Amministratori, al contrario, cita espressamente le partecipazioni indirette (35), sia dall’argomentazione (v. supra) fondata sul divieto di interpretazione analogica delle norme derogatorie a disposizioni di carattere generale, ex art. 14 preleggi (36). Parrebbe, quindi, che la volontà del legislatore sia di penalizzare, per quanto attiene ai compensi, le società partecipate esclusivamente e direttamente dagli Enti Locali stessi. La norma, secondo tale interpretazione, non porrebbe limiti l’ammontare dei compensi delle società c.d. di terzo grado, ossia partecipate o controllate dalle società degli Enti Locali. In tal senso sembrerebbe deporre anche il successivo comma 728, che consente l’elevazione dei compensi degli amministratori nel caso di società cui partecipino, oltre agli Enti Locali, anche “altri soggetti pubblici o privati”, purché “diversi dagli Enti Locali”. Trattasi, peraltro, di impostazione che, seppure fondata su validi elementi testuali, desta svariate perplessità ove la si riguardi dal lato della pluricitata ratio della normativa, specie tenendo conto di quella che, nella prassi, è divenuta la realtà delle Società degli Enti Locali, ampiamente caratterizzata dalla presenza di gruppi societari spesso molto articolati.

Non è un caso che alcuni autori, pur aderendo formalmente all’impostazione sopra richiamata, nell’esaminare la fattispecie concreta di un Presidente di una capogruppo che venga altresì nominato Presidente di una società controllata, abbiano ritenuto di suggerire che entrambi i compensi (pur ammettendo che possano essere sommati fra loro e pur potendo quindi, nel complesso, superare i limiti di legge) debbano essere mantenuti, singolarmente, entro i limiti della normativa (37). Ed infatti, a parte la piana considerazione per cui, secondo il comune buon senso prima ancora che in base alla tecnica giuridica, sembrerebbe francamente una stortura attribuire (ad esempio) al Presidente di una controllata un trattamento economico superiore (magari significativamente) a quello spettante al Presidente della capogruppo, proprio l’esempio, appena riportato, del Presidente con un doppio incarico (nella capogruppo e nella controllata) fa chiaramente percepire come tale situazione ben potrebbe, nell’interpretazione sostanziale propria del Giudice Contabile, assurgere a paradigma di  comportamento elusivo della norma. Ciò, in particolare, risulta ancora più vero nel caso di società interamente controllate, le cui risorse, quindi, sono di fatto pubbliche nella loro totalità.

Vi è, d’altra parte, chi autorevolmente aggiunge, a sostegno dell’esclusione delle partecipate dall’ambito di tale disciplina, che “..non sembra che possa neppure darsi particolare rilevanza alla circostanza che le società “indirettamente” partecipate da enti locali appartengano al medesimo “gruppo” di cui fa parte la società “direttamente” partecipata da enti locali, alla quale le disposizioni in questione sono applicabili.” Secondo tale impostazione “il fenomeno del collegamento societario non comporta, infatti, la formazione di un unico centro di imputazione di rapporti, diverso dalle società collegate, le quali conservano la rispettiva personalità e alle quali, pertanto, non sono automaticamente applicabili disposizioni dettate specificamente per talune delle società appartenenti al medesimo “gruppo”. A diversa conclusione potrebbe pervenirsi nel solo caso in cui possa dimostrarsi che il frazionamento di un’unica attività fra vari soggetti sia simulato ovvero sia preordinato, in frode alla legge, ad eludere il divieto di corrispondere agli amministratori delle società partecipate da enti locali compensi maggiori di quelli massimi stabiliti dalla legge.” L’Autore conclude nel senso che “resta, comunque, ferma la possibilità che la società “madre” attraverso apposite direttive indirizzate alle società controllate, stabilisca che agli amministratori di tali società non possano essere erogati compensi superiori a quelli massimi previsti dalle disposizioni della l. 296/06”(38)

Per dando atto della linearità della tesi ora esposta, si deve rilevare come essa sembri offrire il fianco a taluni rilievi anche sotto il profilo dello stesso diritto societario. Con il nuovo diritto societario (39), il legislatore ha disciplinato, con l’introduzione del Capo IX,  “Direzione e coordinamento di società” nell’ambito del Titolo V del Libro V del Codice Civile l’attività di direzione e coordinamento di società, e la correlativa responsabilità gravante sulla capogruppo (40). In particolare, l’art. 2497, pur con elementi di innovatività, si rifà nella sostanza ad una fattispecie nota all’ordinamento: il Gruppo Bancario di cui all’art. 61 del D.Lgs. 1/9/1993 n° 385 (Testo Unico in materia Bancaria e creditizia). Tale norma, nell’ambito della Sezione I, rubricata “Gruppo bancario”, al comma quarto prevede che “la capogruppo, nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento emana disposizioni alle componenti del Gruppo, per l’esecuzione delle disposizioni della Banca d’Italia”. Pertanto, se è vero che nei confronti dei terzi le società del Gruppo non costituiscono un unico centro di imputazione dei rapporti, è altrettanto vero che il legislatore ha puntualmente disciplinato sotto più aspetti, in termini di norme di diritto positivo, l’influenza della capogruppo nei confronti delle controllate e l’esercizio della medesima. Autorevole dottrina ha infatti evidenziato, tra i tratti costitutivi del gruppo societario, pur in presenza di un’autonomia giuridica propria dei singoli soggetti “il possesso da parte di una società del gruppo, della maggioranza o, comunque, di una congrua parte del capitale delle altre società, in guisa che tale società possa praticamente attuare il controllo e la direzione di tutte le imprese del gruppo” (41). La stessa conclusione cui perviene la tesi più sopra esposta, peraltro, laddove ipotizza l’emanazione di direttive da parte della capogruppo, finisce in realtà per riconoscere come nella sostanza gli amministratori della holding detengano un determinante potere di indirizzo nei confronti delle controllate. Non si vede, quindi, come possa eludersi l’applicazione del principio ispiratore della Legge Finanziaria – il contenimento della spesa pubblica – di portata ampia e generale, particolarmente laddove gli incarichi nelle controllate vengano affidati ad amministratori della controllante.

Nulla quaestio, invece, circa il limite al numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione nelle società di terzo grado; il comma 729, infatti, si riferisce espressamente anche alle società partecipate in via indiretta da enti locali.

Più complessa appare la soluzione del quesito se il tetto ai compensi vada o meno applicato agli amministratori investiti di particolari cariche ai sensi del terzo comma dell’art. 2389 cod. civ. (Presidenti con deleghe, Amministratori Delegati). Una prima tesi, prevalente in dottrina, che fa leva su di un interpretazione rigorosa e letterale della norma, nega che i limiti in parola possano applicarsi anche agli Amministratori Delegati (o ai Presidenti con deleghe) ed afferma che i compensi percepiti ex art. 2389 comma terzo cod. civ. (deliberati, quindi, dal Consiglio di Amministrazione in funzione delle cariche conferite) non dovranno essere computati ai fini del raggiungimento del succitato tetto massimo. Si afferma, in particolare, che la norma non si occuperebbe di tali figure, limitando il novero dei soggetti passivi al Presidente ed agli “amministratori”. Tale tesi, in sostanza, nega che la locuzione “onnicomprensivo”, riferita al compenso degli amministratori dal comma 725, possa indurre (come ritiene altra parte della dottrina) a considerare i limiti de quibus come comprensivi anche degli emolumenti derivanti dall’applicazione del terzo comma dell’art. 2389 cod. civ. Anche in questo caso, sembra che ci si trovi dinanzi ad un’interpretazione eccessivamente ancorata ad un rigoroso formalismo; essa infatti prende le mosse principalmente dalla constatazione che la norma fa riferimento unicamente al “presidente” ed ai “componenti del consiglio di amministrazione” (42). E’ stato, invece, correttamente osservato come il termine “onnicomprensivo” non possa che riferirsi a qualsiasi compenso percepito dal Presidente o dal componente (provvisto o meno di deleghe) del consiglio di amministrazione in virtù del rapporto societario (43), comprendendo a pieno titolo, pertanto, i compensi degli amministratori “investiti di particolari cariche in conformità dello Statuto” (44).

 

4. L’applicazione concreta dei limiti ai compensi

Come detto, il compenso lordo annuale non può essere superiore per il Presidente all’80% e per i componenti del Consiglio di Amministrazione al 70% dell’indennità spettante al Sindaco o, nel caso di più Enti Locali soci al Sindaco del Comune con la maggiore quota di partecipazione. Tema interessante, e di estrema delicatezza, è quello se il riferimento al 70% della retribuzione spettante al Sindaco vada riferito a tutto il Consiglio nel suo complesso oppure ai singoli Consiglieri considerati individualmente.

La lettera della norma, in questo caso, non risulta di alcuna utilità. Infatti, la locuzione “.. e per i componenti..” è suscettibile di essere letta tanto nel senso di “… e per tutti i componenti.. “ quanto nel senso opposto, ossia “..e per i singoli componenti… “.  Peraltro, di fronte ad una formulazione così ambigua della norma, anche le interpretazioni basate sulla ratio legis o di carattere sistematico lasciano in questo caso margini di dubbio assolutamente incompatibili con il principio generale di certezza del diritto. Taluni autori, sottolineando l’impiego del plurale “ai componenti” e “per i componenti” anziché “ad ogni componente” e “per ogni componente” evidenziano come ciò possa indurre a ritenere che il 70 per cento dei compensi attribuiti al Sindaco, quale tetto, vada diviso per il numero totale dei componenti il Consiglio. Un’altra interpretazione, di carattere sistematico, sostiene, in analogia con l’interpretazione fornita alle norme previgenti in materia di Aziende Speciali, che il tetto del 70 per cento vada riferito ai singoli Consiglieri di Amministrazione (la tesi si fonda sull’excursus storico della normativa a suo tempo applicata ai compensi degli amministratori delle aziende speciali e municipalizzate, che pure prevedeva un’indennità di carica per “i componenti” degli organi esecutivi delle Aziende Speciali, ed è stata a suo tempo interpretata univocamente in dottrina nel senso che la misura fosse riferita ai singoli componenti (45) ).

Da ultimo, una notazione circa la retribuzione cui fare riferimento per il calcolo del compenso spettante agli amministratori; è noto infatti che, per i Sindaci che siano lavoratori dipendenti, la legge (art. 70, primo comma, TUEL) prevede che l’indennità di carica prevista sia dimezzata nel caso in cui essi non abbiano richiesto l’aspettativa al proprio datore di lavoro; non sempre quindi, l’indennità  concretamente percepita dall’interessato arriva sino al massimo previsto dalla legge. Si dovrà, per stabilire il tetto massimo delle retribuzioni dei consiglieri, fare quindi riferimento al massimo teorico ovvero a quanto concretamente percepito dal Sindaco inteso come persona fisica ? L’utilizzo dell’espressione ”.. 70 per cento delle indennità spettanti al Sindaco..” potrebbe far propendere per un riferimento all’indennità massima teorica che spetterebbe al Sindaco in base alla legge, quale figura istituzionale a prescindere dalla situazione concreta. Anche in questo caso, peraltro, non sarebbe in censurabile neppure chi sostenesse la necessità di far riferimento all’indennità spettante a quel determinato Sindaco (anzi, a ben vedere, la seconda impostazione risulterebbe più congrua, nella misura in cui impedirebbe che, nel concreto, il Presidente di una Società di una Ente Locale venga a percepire un compenso maggiore del Sindaco dell’Ente Locale stesso, criterio a cui si è ispirato tanto il legislatore della L. 296/06 quanto quello della L.816/1985 citata poc’anzi).

 

5. Conclusioni.

Numerosi altri punti dell’articolato in commento meriterebbero un approfondimento puntuale, visti gli  accesi dibattiti suscitati in dottrina (46).

Quello che, peraltro, qui premeva, come accennato, era porre in luce i principali aspetti problematici della norma che pongono gli amministratori degli Enti Locali, nella loro veste di soci, e gli amministratori delle Società partecipate in una condizione di estrema incertezza operativa. Si è tentato, al proposito, di evidenziare come le differenti interpretazioni fornite rispetto ai vari temi in discussione siano dotate, nella gran parte dei casi, di analoga dignità giuridica, proprio perché la non felice tecnica legislativa utilizzata conduce ad utilizzare gli strumenti interpretativi più diversi tra i quali, in astratto ed in mancanza di solidi riscontri nella norma, non sempre è dato individuare il più corretto. Proprio per questo, ancora una volta, non si può che invocare, in tempi il più possibile celeri, un chiarimento da parte delle autorità a ciò preposte.  Tale chiarimento, peraltro, che in prima battuta potrebbe limitarsi ad una Circolare o ad una Direttiva, sembrerebbe dover successivamente tramutarsi in un atto avente forza giuridica uguale e contraria alla Legge Finanziaria; è nota, infatti la limitata valenza giuridica delle circolari e, vista la portata estremamente responsabilizzante dell’articolato, sembrerebbe doverosa una correzione normativa che segni con chiarezza i definitivi confini della disposizione.

 

Note:

(1) Si rinvia, in particolare, all’esaustiva disamina di C Tessarolo, “Gli Amministratori delle società partecipate dagli Enti Locali: compensi, numero (le disposizioni della Legge Finanziaria 2007)”, in www.dirittodeiservizipubblici.it; vedasi anche M. Calzoni, “Le nomine ed i compensi legali; cosa cambia per il Consiglio di Amministrazione con la legge Finanziaria 2007”, atti del seminari Confservizi Lombardia del 31 gennaio 2007 ; A. Paparo, G. Campana e F. Pietrosanti “L. 27 dicembre 2006, n° 296 (Legge Finanziaria 2007). Consiglio di Stato, Sez. V – sentenza 13 dicembre 2006 n° 7369. Servizi Pubblici Locali. Componenti dei Consigli di Amministrazione e compensi. Quotate in borsa: zona franca? Prime osservazioni e commenti”, autorevole parere fornito a Federutility il 6 marzo 2007; Circolare Area Giuridica Confservizi del 2 marzo 2007, Prot. n° 094/07/AG/GC/gg “Legge 27 dicembre 2006, n° 296 recante“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2007): approfondimenti sui commi 725 – 735 e 587-593” Perra L., “I presunti costi della politica (a seguito della Finanziaria per il 2007)”, in Utility, n° 9/2006 pagg. 14-16, Utility Publishing & Co, Firenze.

(2) Cfr. Adnkronos 23 aprile, comunicato stampa ANCI: “ANCI e Confservizi segnalano di aver ricevuto numerosi quesiti relativi alla corretta applicazione dei commi da 718 a 734 della Finanziaria.. I problemi maggiori…sono stati riscontrati nella definizione degli ambti soggettivi ed oggettivi di applicazione della normativa citata e nella determinazione dell’efficacia temporale della stessa, avuto riguardo al divieto di reformatio in pejus del trattamento economico acquisito, alla tutela dell’affidamento e al principio generale di irretroattività della legge

(3) Ci si consente di sottolineare come, una volta di più, si confermi l’estrema inadeguatezza di strumenti normativi quali la Legge Finanziaria, il cui procedimento di approvazione irto di ostacoli politici ed, insieme, temporalmente ristretto mal si sposino con la necessità di incidere su sistemi giuridici complessi e su materie - qual è quella del diritto dei servizi pubblici locali -, regolate da norme, principi e regole giurisprudenziali di provenienza diversa, amministrativa e civilistica, e che richiedono un percorso legislativo dedicato e più ponderato.

(4) Il quale, com’è noto, prevede che “Nelle società a totale partecipazione di comuni o province, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore per il presidente all’80 per cento e per i componenti al 70 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell’articolo 82 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Resta ferma la possibilità di prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili ed in misura ragionevole e proporzionata.”

(5) Secondo il quale “Il numero complessivo di componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate totalmente anche in via indiretta da enti locali, non può essere superiore a tre, ovvero a cinque per le società con capitale, interamente versato, pari o superiore all’importo che sarà determinato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.”

(6) Occorre infatti prendere le mosse dalla lettera della Legge, conformemente all’art. 12 delle Preleggi : “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Per costante giurisprudenza, infatti, “ .. nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato … l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della mens legis… Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al criterio ermeneutica sussidiario) l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutica, si che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare  (ex pluribus, Cass, Sez. I, 25 ottobre 1989 n° 4373). L’aderenza a tale principio assume carattere prioritario anche nell’interpretazione delle norme de quibus; indubbiamente, peraltro, come si vedrà, tale principio ispiratore torna prepotentemente all’attenzione dell’interprete una volta preso atto dell’ambiguità letterale di alcuni dei commi in esame.

(7) Più in particolare, è stato sostenuto che la certezza del diritto nei rapporti giuridici rappresenta “ un valore cardine dell’ordinamento giuridico comunitario e nazionale (Corte di Giustizia UE Cause C-280/00 e 247/03), essendo importante che, per garantire la certezza del diritto, i singoli possano contare su una situazione giuridica chiara e precisa che consenta loro di sapere esattamente quali sono i loro diritti e di farli valere” A. Paparo, G. Campana e F. Pietrosanti “L. 27 dicembre 2006, n° 296…, cit” Per quanto attiene alla centralità del tema della tutela dell’affidamento nel diritto comunitario si veda, fra l’altro, ex pluribus, Corte di Giustizia, 20 settembre 1990, Causa C-5/89. Cfr, inoltre, Corte di Giustizia, sentenza 24 luglio 2003 in Causa C-280/2003, secondo cui “ .. è particolarmente importante, per garantire la certezza del diritto, che i singoli possano contare su una situazione giuridica chiara e precisa, che consenta loro di sapere esattamente quali sono i loro diritti e di farli valere, se del caso, davanti ai giudici nazionali”.

(8) C. Tessarolo “Gli Amministratori delle società partecipate, op. cit..”

(9) Cfr., in proposito, l’autorevole parere di Malena, M. ,“Limiti ed ambiti di applicazione delle norme di cui ai commi dal 725 al 728 e brevi cenni sul comma 729 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007”, reso all’Associazione ASSTRA ed a Confservizi il 31 dicembre 2006 /30 gennaio 2007. La riflessione che tale visione induce, inoltre, porta ad evidenziare come, per l’applicabilità ai rapporti in essere non si ponga, a ben vedere una questione di retroattività della norma. Trattandosi di rapporti giuridici ad efficacia durevole nel tempo, la norma non andrebbe ad agire retroattivamente sugli atti compiuti prima della sua entrata in vigore, ma bensì ad incidere, ex nunc sugli effetti degli atti medesimi dalla sua entrata in vigore in avanti.

(10) Originato prevalentemente da pronunce in materia di responsabilità per danno erariale, pronunciate sia dalla Corte dei Conti che dalla Corte Costituzionale.

(11) Tale apparente contrasto rimarca una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, la particolarità delle società di questo genere, che conduce alcuni osservatori a parlare di “società di diritto speciale

(12) In www.dirittodeiservizipubblici.it.

(13) Contrariamente all’orientamento espresso sino ad ora dalle Sezioni Unite, che parificava il rapporto Consiglieri – Società alla c.d. parasubordinazione, anche sulla scorta nelle norme tributarie che hanno assimilato il trattamento dei Consiglieri di Amministrazione a quello dei Collaboratori Coordinati e Continuativi

(14) Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 18.2.2006 n° 1984, in www.dirittodeiservizipubblici.it;

(15) A mente del quale lo Statuto delle società nelle quali lo Stato o altri Enti Pubblici può conferire agli stessi la facoltà di nominare direttamente uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del Consiglio di Sorveglianza. Gli amministratori e i sindaci o i componenti del Consiglio di sorveglianza così nominati possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati, ed hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea.

(16) Per la quale si veda l’autorevole ed incisivo scritto di Malena, M. ,“Limiti ed ambiti di applicazione delle norme di cui ai commi dal 725 al 728 e brevi cenni sul comma 729 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007”, parere reso all’Associazione ASSTRA ed a Confservizi, e da questa diffuso alle associate, il 31 dicembre 2006 /30 gennaio 2007

(17) Il quale dispone che “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali non si applicano oltre i casi ed i tempi in esse considerati

(18) Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 2004 n° 596.

(19) Secondo cui “Ai fini del contenimento della spesa pubblica, il numero dei membri del consiglio di amministrazione della Società di cui al decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, nonché della Società di cui all’articolo 13, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, è ridotto a tre. I componenti dei suddetti consigli di amministrazione cessano dall’incarico alla data di entrata in vigore della presente legge ed i nuovi componenti sono nominati entro i successivi quarantacinque giorni. Il limite di tre si applica anche per il numero dei componenti dei consigli di amministrazione delle società di cui al comma 461” Si tratta, in particolare, di società partecipate dallo Stato.

(20) Corte Costituzionale n° 29 del   2006

(21) Corte Costituzionale n° 272 del 13-27/7/2004 e, soprattutto, Corte Costituzionale 28 dicembre 1993 n° 466 che, pronunciando in materia di assoggettabilità alla giurisdizione contabile della Corte dei Conti delle Società per Azioni derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici, ha posto in luce la differenza intercorrente tra la c.d. privatizzazione formale (nella quale il capitale sociale rimane integralmente in mano al socio pubblico) e la c.d. privatizzazione sostanziale, “ ..nel momento in cui il processo di “privatizzazione”, attraverso l’effettiva dismissione delle quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica

(22) La quale, in epoca piuttosto recente, ha significativamente mutato indirizzo rispetto al passato, giungendo ad una lettura sempre meno formalistica della realtà di queste società, entro le quali, com’è stato esattamente osservato (A. Caroselli, La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, in www.dirittodeiservizipubblici.it) si assiste ad una sorta di osmosi tra diritto pubblico e privato. Con la sentenza n° 19667 del 22.12.2003 la Suprema Corte ha condiviso l’assunto del procuratore Regionale della Corte dei Conti secondo cui la progressiva diffusione di forme organizzative diverse per l’esercizio di funzioni, così come per la gestione di servizi, concentra ormai sull’aspetto finalistico l’elemento discriminante la pubblicità dell’ente

(23) Si veda, al riguardo, l’illuminante disamina del dott. Paolo Crea (Consigliere della Corte dei Conti) “La gestione in forma privata dei servizi pubblici. La giurisdizione della Corte dei Conti sugli enti pubblici economici dopo Cassazione sezioni unite 22 dicembre 2003 n° 19667.”  in www.giustamm.it.

(24) Corte dei conti, sez. giurisd. per la Regione Abruzzo, 14/1/2005 n. 67, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

(25) Corte Cost. n° 466/93, cit., secondo cui dal complesso della disciplina adottata per tali società viene a specificarsi attraverso la previsione di “norme particolari – differenziate rispetto a quelle proprie del regime tipico delle società per azioni-“ .

(26) A. Paparo, G. Campana e F. Pietrosanti “L. 27 dicembre 2006, n° 296…, cit”, secondo cui dalla ratio della norma “ consegue, stante la dichiarata ratio legis delle norme in esame, che esse debbono essere interpretate non già letteralmente e formalmente bensì, più correttamente, secondo il seguente canone ermeneutico: <<ubi eadem legis ratio ibi eadem dispositio>> (stessa ratio, identica regolamentazione normativa); sicché è evidente che eventuali soluzioni formalistiche volte a derogare i principi e lo scopo delle norme dette potrebbero costituire – a giudizio delle Autorità di volta in volta interessate (es. Corte dei Conti) - una violazione delle medesime.

(27) ANCI, Prime note sui commi della Finanziaria 2007 in materia di compensi e numero degli amministratori delle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali., in www.anci.it

(28) Ci si consenta : potenzialmente erariale.

(29) Per quanto riguarda i Consigli in carica si rinvia, nella sostanza, ai ragionamenti svolti più sopra riguardo ai compensi; va precisato, peraltro, che la totalità dei commentatori (anche alla luce della necessità di attendere l’emanando Dpcm) si è espressa con decisione per la non applicabilità immediata della norma ai Consigli di Amministrazione in carica (escludendo, quindi, la necessità di far luogo alla revoca di Consiglieri nello svolgimento del proprio mandato), tesi che qui si condivide per le motivazioni suesposte, oltre che per l’argomentazione “metagiuridica” ma estremamente efficace e fondata sul buon senso secondo cui sarebbe “da brivido” pensare che i diversi Consigli Comunali (competenti ex art. 42 TUEL ad esprimere gli indirizzi per le nomine nelle società partecipate) si troverebbero a dover esprimere indirizzi per la revoca di questo o quel Consigliere (M. Calzoni, “Le nomine ed i compensi legali; cosa cambia..cit.)

(30) In tal senso si esprimono la Circolare di Confservizi, Area Giuridica, Prot. 094/07/AG/GC/gg del 2 marzo 2007, avente ad oggetto Legge 27 dicembre 2006, n. 296 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”: approfondimenti sui commi 725 - 735 e 587 - 593., nonché , nella sostanza, C. Tessarolo “Gli amministratori…” cit, per il quale le disposizioni del comma 729 non sono immediatamente applicabili.

(31) Questa l’opinione, fra gli altri, di A. Paparo, G. Campana e F. Pietrosanti “L. 27 dicembre 2006, n° 296…, cit, che colgono nel segno sottolineando che il comma 729 pone un parametro massimo certo, Gli Autori, inoltre, si esprimono in forma dubitativa anche sull’applicabilità immediata della norma agli stessi Consigli in carica, che è invero ritenuta più probabile, rinviando peraltro all’atteso Dpcm per auspicati chiarimenti applicativi.

(32) La questione, allo stato, ha una rilevanza pratica non elevatissima, stante il ridotto numero di società che, in Italia, ha adottato questi modelli di amministrazione. Vedasi, al riguardo lo studio di P. Montalenti, “La riforma del diritto societario: dati statistici ed esperienze applicative”, citato da M. Calzoni, op. cit., secondo cui in Italia, al 30 giugno 2005, delle S.p.A. esistenti (pari a 61.314), soltanto 352 (pari allo 0,57%) avevano adottato un modello di governance alternativo a quello latino. E’ peraltro del tutto evidente che, ove si concludesse per la non applicabilità della riforma alle società di tipo non tradizionale, le proporzioni del fenomeno sarebbero suscettibili di mutare significativamente, perlomeno nel campo delle società degli enti locali.

(33) Così M. Calzoni,  Le nomine ed i compensi legali. Cosa cambia…” cit. Nello stesso senso M. Malena, “Limiti ed ambiti di applicazione..”, cit., che giunge ad affermare che il legislatore della finanziaria si è disinteressato degli organi amministrativi propri dei modelli alternativi.

(34) Cfr., nello stesso senso, C. Tessarolo “Gli amministratori…, cit.” (il quale peraltro specifica come qualche incertezza possa darsi per il fatto che, nel caso di adozione del sistema monistico, all’interno del consiglio di amministrazione deve essere costituito un comitato di controllo sulla gestione, assimilabile ai componenti del collegio sindacale delle SpA a modello tradizionale, cosicché potrebbe ritenersi che le disposizioni della Legge Finanziaria 2007 non siano applicabili ai componenti di tale comitato. Tale conclusione, secondo l’A. – la cui impostazione qui si condivide-, è però smentita dell’art. 2409-noviesdecies c.c., che dichiara applicabile al “consiglio di amministrazione” nel suo complesso l’art. 2389 cc..) ed ANCI “Prime osservazioni su commi da 725…” , cit.

(35) E pertanto, solo in tal caso dovrebbe valere il riferimento alle società indirettamente partecipate, secondo il brocardo “ubi lex non dixit, noluit”.

(36) Così, fra gli altri, C. Tessarolo, “Gli amministratori…, cit.”

(37) E non se ne comprende la ragione: ove, infatti, si assuma che le società di terzo grado siano escluse dall’applicazione della norma, non si vede il motivo per cui si dovrebbe porre un tetto al compenso dei relativi amministratori. A giudizio di chi scrive, tale posizione deriva dall’esigenza, avvertita o meno, che, per ragioni anche solo di opportunità, non si dia disparità di trattamento tra consiglieri della controllante e consiglieri della controllata.

(38) C. Tessarolo, “Gli amministratori…, cit.”

(39) Ossia la nuova disciplina delle società introdotta con i decreti legislativi n° 5 e 6 del 17 gennaio 2003 e s.m.i.

(40) 2497 (Responsabilita). - Le societa' o gli enti che, esercitando attivita'   di   direzione  e  coordinamento di societa', agiscono nell'interesse  imprenditoriale  proprio  o  altrui in violazione dei  principi  di  corretta  gestione  societaria  e imprenditoriale delle societa'  medesime,  sono direttamente responsabili nei confronti dei  soci  di  queste  per il pregiudizio arrecato alla redditivita' ed al  valore  della  partecipazione  sociale, nonche'  nei  confronti  dei creditori   sociali  per  la  lesione  cagionata  all'integrita'  del  patrimonio  della societa'. Non vi e' responsabilita' quando il danno  risulta  mancante  alla luce del risultato complessivo  dell'attivita'  di  direzione  e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a cio' dirette. Risponde  in  solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e,  nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente  tratto beneficio. Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la societa' o l'ente che esercita l'attivita' di direzione e coordinamento, solo se non  sono stati soddisfatti dalla societa' soggetta alla attivita' di direzione e coordinamento. Nel  caso  di  fallimento,  liquidazione  coatta  amministrativa  e  amministrazione   straordinaria   di   societa'  soggetta  ad  altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa e'  esercitata  dal curatore o dal  commissario  liquidatore o dal  commissario straordinario. 2497-bis  (Pubblicita).  -  La  societa'  deve  indicare la propria  soggezione  all'altrui  attivita'  di direzione e coordinamento negli atti  e  nella  corrispondenza,  nonche'  mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di  cui al comma successivo.   E'  istituita  presso  il  registro  delle imprese apposita sezione nella  quale  sono  indicati  i  soggetti che esercitano attivita' di  direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.  Gli amministratori che omettono l'indicazione di cui al comma primo  ovvero  l'iscrizione  di cui al comma secondo, o le mantengono quando la  soggezione e' cessata, sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza ditali fatti abbia recato ai soci o ai terzi.  La   societa'   deve   esporre,  in  apposita  sezione  della  nota integrativa,   un   prospetto   riepilogativo   dei  dati  essenziali dell'ultimo  bilancio  della  societa' o dell'ente che esercita su di  essa l'attivita' di direzione e coordinamento. Parimenti, gli amministratori devono indicare nella relazione sulla  gestione  i  rapporti  intercorsi  con  chi  esercita  l'attivita' di  direzione  e  coordinamento  e  con  le  altre  societa'  che vi sono  soggette,   nonche'   l'effetto   che   tale   attivita'   ha   avuto  sull'esercizio dell'impresa sociale e sui suoi risultati.  2497-ter  (Motivazione  delle  decisioni).  -  Le  decisioni  delle  societa'  soggette  ad attivita' di direzione e coordinamento, quando da  questa  influenzate,  debbono  essere  analiticamente  motivate e  recare  puntuale  indicazione  delle ragioni e degli interessi la cui  valutazione  ha  inciso  sulla decisione. Di esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'articolo 2428.

(41) P.E. Cassandro – I gruppi aziendali, Cacucci, Bari, 1986. Vedasi anche P. Saraceno – La produzione industriale, Libreria Universitaria editrice, Venezia, 1978, secondo cui “.. si ha un gruppo quando una persona od un gruppo di persone hanno il potere di determinare l’indirizzo di gestione di più imprese che si presentano autonome

(42) Anche se taluni – peraltro sempre prendendo spunto dal dato letterale – fanno risalire tale esclusione al divieto – più sopra analizzato -  di applicazione analogica delle norme derogatorie rispetto alla disciplina generale, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi. (Cfr. M. Malena, Limiti ed ambiti..” cit)

(43) Sembra chiarito, ormai, per essere generalmente condiviso in dottrina, che – nei limiti in cui siano giustificati dalla professionalità del soggetto e risultino estranei ai doveri compresi nel mandato dell’amministratore – non rientrano, al contrario, nel suddetto limite i compensi percepiti dal consigliere in virtù di un separato incarico professionale (o di lavoro dipendente) con la società.

(44) Correttamente è stato infatti affermato che “la possibilità da parte del Consiglio di Amministrazione di attribuire un compenso separato agli amministratori di società partecipate da enti locali “investiti di particolari cariche” non è esclusa dal c. 725, ma è, più semplicemente, da detta disposizione, limitata, nel senso che tale compenso, anche se diverso e maggiore rispetto a quello concesso agli altri amministratori, non può, comunque, essere fissato in misura tale che, nel complesso, ossia tenendo anche conto di quello stabilito “all’atto della nomina o dall’assemblea”, venga a superare quello massimo determinato in applicazione dei criteri previsti dal medesimo c. 725” (C. Tessarolo, Gli amministratori.., cit)

(45) Legge n° 816/1985, articolo 7, “Indennità di carica del Presidente e dei componenti di organi esecutivi di aziende speciali Ai Presidenti delle Aziende Speciali di Enti territoriali è corrisposta una indennità mensile di carica entro i limiti del 65 per cento di quella prevista per il Sindaco o per il Presidente dell’Ente Territoriale da cui dipendono. Ai componenti degli organi esecutivi delle predette aziende può essere corrisposta un’indennità mensile di carica entro i limiti del 40 per cento di quella prevista per il Presidente “ La tesi è sostenuta da M. Calzoni,  “Le nomine ed i compensi legali. Cosa cambia…”cit. A ben vedere, peraltro, l’esame della norma in questione potrebbe anche condurre a conclusioni di segno inverso. Ed infatti, mentre il comma 725 fissa il tetto per i compensi dei consiglieri al 70 % del Sindaco, la norma ora citata stabiliva il compenso dei commissari delle Aziende Speciali al 40 per cento di quella prevista per il Presidente, a sua volta commisurata al 65 per cento di quella del Sindaco. In altre parole, l’indennità per i componenti delle Commissioni Amministratrici delle Aziende Speciali era limitata a circa il 30 per cento di quella del Sindaco. Applicando il medesimo criterio rispetto al comma 725 citato, ad esempio nell’ipotesi di un Consiglio composto da tre componenti (di cui uno Presidente, il cui compenso va computato a parte), ne deriverebbe che l’attribuzione al complesso dei Consiglieri del 70 per cento dell’indennità spettante al Sindaco comporterebbe l’assegnazione del 35 per cento della medesima indennità a ciascun Consigliere; ciò sembrerebbe porsi in una linea di continuità sostanziale e di ratio con la noma predetta. Sempre sotto il profilo della ratio della norma, è astrattamente possibile proporre anche un altro tipo di ragionamento. Atteso, infatti, che il tetto dell’80 per cento dell’indennità spettante al Sindaco risulta onnicomprensivo, non sembrerebbe del tutto proporzionato attribuire un’indennità solo del 10 per cento superiore a chi assume deleghe e responsabilità gestionali in prima persona rispetto a chi porta il proprio contributo esclusivamente nell’ambito delle periodiche riunioni dell’organo consiliare. Sta di fatto, si ribadisce una volta di più, che gli amministratori delle società ed i relativi azionisti non possano, lo si ribadisce, esser mantenuti in balia di una simile incertezza interpretativa, con l’alea che ne consegue. Mantenere, pertanto, lo stato attuale delle cose appare esiziale ed iniquo nei confronti di chi si trova, nella prassi, a dover fare i conti con l’applicazione della nuova disciplina in una condizione di assoluta incertezza e di esposizione a qualsiasi tipo di interpretazione “a posteriori” da parte degli organi preposti al controllo.

(46) Si pensi, ad esempio, alla disposizione del comma 718 in materia di divieto di corresponsione dei compensi agli amministratori di società che ricoprano anche la carica di amministratori dei relativi Enti Locali. Anche in tal caso si sono poste questioni di coordinamento con la normativa vigente (nella specie con gli artt. 60 , 63 e 67 TUEL), di disciplina intertemporale (quid iuris nel caso di amministratore di Ente Locale che sia già, ossia non “assuma” ora la di amministratore di una società controllata dal medesimo Ente Locale?), lessicali (a quali soggetti dell’Ente Locale deve riferirsi il termine “amministratori”? devono intendersi ivi compresi anche i consiglieri comunali.

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