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L’illuminazione pubblica è davvero un servizio “a rete”? Considerazioni in ordine alla presunta impossibilità, per i comuni, di indire gare in forma singola.
di Giorgio Lezzi 27 novembre 2012
Materia: servizi pubblici / disciplina

L’illuminazione pubblica è davvero un servizio “a rete”? Considerazioni in ordine alla presunta impossibilità, per i comuni, di indire gare in forma singola.

di Giorgio Lezzi[1]

 

Il settore dell’illuminazione pubblica ha destato negli ultimi anni un forte interesse negli enti locali e negli operatori, e ciò soprattutto a seguito della perdita, da parte dei precedenti gestori operanti a livello nazionale, della propria prerogativa di imprese monopoliste, con conseguente apertura al mercato dell’attività in questione.

Ciò detto, occorre rilevare che, mentre risulta consolidato l’orientamento in ordine alla qualificazione giuridica di questa attività, permangono alcune questioni sulla disciplina ad essa applicabile.

Infatti, in base a quanto unanimemente sostenuto dalla più recente giurisprudenza amministrativa, l’illuminazione pubblica rappresenta un servizio pubblico locale a rilevanza economica, posto che «le attività afferenti alla messa a norma, adeguamento, manutenzione e gestione della rete e degli impianti di illuminazione pubblica insistenti sul territorio comunale configurano un servizio pubblico locale, attesa la loro utilità per obiettive esigenze della collettività e la loro funzionalità al perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile»[2].

A quanto sopra va aggiunto che le medesime considerazioni valgono anche per le attività connesse alla realizzazione di nuove reti e impianti strumentali all’erogazione del servizio comunale di pubblica illuminazione, e ciò alla luce del fatto che trattasi comunque di attività «caratterizzate, sul piano soggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta ad una figura soggettiva di rilievo pubblico»[3].

Il profilo della natura giuridica del servizio di illuminazione pubblica, dunque, non desta più alcuna problematica interpretativa, poiché rappresenta oramai un “punto fermo”, allo stato irreversibile.

In ordine alla disciplina applicabile, invece, il quadro normativo di riferimento appare oggi molto destrutturato.

In particolare, dopo la sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2012, n. 199, a mezzo della quale la Corte ha “azzerato” la disciplina interna concernente le regole di affidamento dei servizi pubblici a rilevanza economica[4], rinviando all’applicazione di quelle recate dall’ordinamento comunitario[5] (che espressamente contemplano, quale modalità ordinaria di assegnazione dei citati servizi, la procedura di evidenza pubblica) il legislatore ha introdotto nel già vigente d.l. 13 agosto 2011, n. 138, il principio della necessaria indizione a livello di ambito delle gare strumentali all’assegnazione di servizi pubblici “a rete” di rilevanza economica, previsione, questa, “sopravvissuta” alla dichiarazione di illegittimità costituzionale (concentrata solo sul successivo art. 4 del medesimo d.l. n. 138/2011).

Il riferimento, come noto, è all’art. 3-bisAmbiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali») del predetto d.l. n. 138/2011 e s.m.i., il quale, nella sua attuale versione[6], dopo aver stabilito al c. 1 che «A tutela della concorrenza e dell’ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi, entro il termine del 30 giugno 2012. La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale»[7], statuisce al successivo c. 1-bis che «Le procedure per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei di cui al comma 1 del presente articolo dagli enti di governo istituiti o designati ai sensi del medesimo comma».

Ebbene, tenuto conto del potenziale impatto di quanto recato dalle predette disposizioni in ordine alle modalità di assegnazione del servizio di pubblica illuminazione, assume rilievo verificare se il servizio di illuminazione pubblica sia o non assoggettato alla disciplina in esame e, conseguentemente, se debba ritenersi oggi precluso agli enti locali bandire procedure concorsuali (o anche solo portare a conclusione, in caso di intervenuto avvio delle stesse) finalizzate all’affidamento, in forma singola, di gestioni relative alla pubblica illuminazione.

In tale prospettiva, occorre procedere a un’esegesi dell’art. 3-bis cit., il quale al c. 1 chiarisce espressamente che la regola dell’obbligatoria indizione a livello di area vasta delle gare finalizzate all’affidamento dei servizi pubblici ivi fissata riguarda solo quelli configurabili come “a rete”, per i quali si prevede l’organizzazione del loro svolgimento in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei.

Più in particolare, viene precisato dalla norma in esame che:

a) le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano devono organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione entro il termine del 30 giugno 2012 (termine, questo, che risultava peraltro ampiamente spirato anche alla data della conversione in legge dell’ultimo decreto modificativo del citato art. 3-bis);

b) la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale[8];

c) alle regioni è consentito individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, ma motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica, nonché a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito ai sensi dell’art. 30 del testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267;

d) fermo restando il termine del 30 giugno 2012, è fatta salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali in coerenza con le previsioni indicate;

e) decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei Ministri, a tutela dell’unità giuridica ed economica, esercita i poteri sostitutivi di cui all’art. 8 della l. 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio.

Posto che i termini fissati dalla norma in questione risultano tutti oramai spirati, c’è da attendersi un intervento regolamentare volto a disciplinare la composizione degli ambiti interessati dalle gare dei servizi pubblici “a rete”.

Ebbene, sin da subito autorevole dottrina ha ritenuto la norma in esame immediatamente riferibile al settore del gas e del servizio idrico[9], vale a dire a quei servizi che, sotto il profilo tecnico e funzionale, sono effettivamente qualificabili come “a rete”.

Al contrario, sempre in dottrina è stato escluso che il servizio di illuminazione pubblica possa effettivamente qualificarsi come servizio “a rete” e, in quanto tale, risultare assoggettato alle disposizioni recate dall’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 e s.m.i..

Più in particolare, è stato condivisibilmente sostenuto che «appare importante sottolineare che l’obbligatorietà della gestione d’ambito riguarda – a norma del richiamato art. 3-bis – per i servizi pubblici locali c.d. “a rete”.

Tuttavia, la citata disposizione non ha provveduto ad individuare esplicitamente quali siano i spl “a rete” né ha definito cosa debba intendersi per servizio “a rete”.

Si tratta, dunque, di comprendere l’applicabilità della richiamata disposizione anche al settore della pubblica illuminazione: la questione – lungi dall’avere rilievo squisitamente sul piano teorico – riveste una significativa importanza sul piano pratico dal momento che, in tale caso, sarebbe preclusa la possibilità per i singoli comuni di procedere (forse anche in via transitoria) all’affidamento del servizio su base comunale.

Orbene, pure in mancanza di alcun riferimento normativo capace di orientare l’attività interpretativa, si è ragionevolmente portati a ritenere che la portata della norma vada intesa nel senso di estendere e rendere obbligatoria la gestione per ambiti territoriali ottimali per quei servizi contraddistinti dall’esistenza di una “rete” infrastrutturale comune ed estesa al territorio di una pluralità di comuni.

In altri termini, si ritiene che il legislatore intendesse alludere a quei servizi che si connotano per una serie di infrastrutture che, seppur materialmente localizzate sul territorio di diversi enti locali, costituiscono parti di uno stesso impianto e risultano, pertanto, fisicamente e funzionalmente collegate tra loro: ciò consente – anzi, rende più conveniente sia in termini di efficienza che di economicità – una gestione unitaria.

E’ il caso, come anticipato, del servizio idrico integrato ovvero di quello di distribuzione del gas naturale, nei quali gli impianti comunali non sono altro che le ramificazioni locali di un’unica rete “centrale”, la cui estensione può superare il territorio provinciale ed persino quello regionale (ciò non di meno, non possiamo non rilevare come la stessa disposizione faccia “salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti” ovvero proprio il servizio idrico integrato e la distribuzione gas per i quali la gestione sulla base di ambiti territoriali ottimali è già prevista dalle rispettive discipline di settore).

Al di là dell’affermazione di principio, non si comprende pertanto a quali servizi pubblici il legislatore abbia inteso riferirsi.

Non riteniamo – per ritornare alla questione che ci impegna – che in ogni caso la norma sia applicabile al servizio di pubblica illuminazione: non sfugge, infatti, come in tali casi, gli impianti di un comune, di regola, costituiscono un’entità materialmente e funzionalmente autonoma rispetto a quelli del comune confinante.

Non esiste, di regola, una infrastruttura unica a livello sovra comunale ovvero una interconnessione tra i singoli impianti comunali che sono, solitamente, autonomi.

Pur non sottacendo l’evidente ambiguità della portata applicativa della norma in commento, tuttavia si ritiene, sulla base delle sopra richiamate preminenti considerazioni, che la stessa – e quindi il relativo obbligo di gestione su base d’ambito – non sia applicabile al servizio di pubblica illuminazione»[10].

Ciò detto, va segnalato che la tesi volta a escludere che il servizio di illuminazione pubblica possa essere ricondotto all’interno del novero dei servizi “a rete” evocati dall’art. 3-bis cit. è senza dubbio quella maggioritaria, che trae origine dalla circostanza (tecnica, oltre che fattuale) secondo cui l’illuminazione si sostanzia nella gestione del singolo impianto nell’ambito territoriale di ciascun comune.

A tal proposito, è stato affermato che «nè d’altra parte, i singoli impianti comunali possono ritenersi tra loro interconnessi, appunto a rete, né si può invocare la connessione di tutti i singoli impianti comunali all’unica rete; nazionale. Viceversa il legislatore, pur non definendo il concetto di servizi a rete, intendeva evocare una gestione d’Ambito per tutti quei servizi pubblici che si sostanziano nella gestione di una infrastruttura suscettibile di determinare un monopolio naturale (reti idriche e del gas, ferrovie regionali ecc.). Deve pertanto ritenersi che l’affidamento della gestione del servizio di pubblica illuminazione possa e debba essere affidato dai singoli comuni sulla base di una autonoma procedura di affidamento, senza che lo stesso servizio debba intendersi attratto nell’orbita della gestione d’Ambito»[11].

In tale contesto va segnalata anche la posizione assunta dall’ANCI Lombardia, che, con propria circolare n. 73/2012 in data 5 giugno 2012, ha reso edotti gli enti locali associati della propria iniziativa, consistente nella trasmissione, da parte del proprio Presidente, di una lettera inviata al Governatore della Lombardia e al competente Assessore regionale, volta a far sì che il legislatore lombardo, nell’ambito delle prerogative allo stesso attribuite dallo stesso art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, accogliesse l’invito proposto a far sì che «in via prioritaria, il servizio di pubblica illuminazione – proprio perché non può essere classificato con la necessaria certezza come “servizio a rete” – debba essere escluso dal campo di applicazione dell’art. 3 bis L. 148/2011.

In via subordinata – qualora si ritenesse di procedere comunque alla creazione degli ambiti - occorrerebbe creare le condizioni affinché i Comuni che desiderassero intervenire strutturalmente su questo servizio possano farlo senza subordinare la loro azione a decisioni e scadenze decise centralmente i cui unici effetti sarebbero quelli di posticipare sine die i benefici promossi dalle superamento dei regimi monopolistici e dall’avvio del processo di liberalizzazione»[12].

Per completezza espositiva, va peraltro segnalato che nella stessa direzione si sono fino ad oggi mossi i rappresentanti politici della Regione Lombardia che, con mozione urgente n. 0347 del 21 maggio 2012, a firma di tredici consiglieri regionali, dopo aver evidenziato le motivazioni tecniche, economiche e gestionali volte a confermare che «il servizio di pubblica illuminazione non è configurabile come “servizio a rete”»[13], hanno deliberato di impegnare la Giunta regionale «ad adottare – entro il 30 giugno 2012 – il provvedimento di esclusione del servizio di pubblica illuminazione – in quanto servizio “non a rete” – dal campo di applicazione dell’art. 3bis l. 148/2011».

Alla luce delle predette considerazioni, si comprende pertanto perchè nell’impostazione largamente maggioritaria (che merita certamente adesione, essendo fondata su motivazioni del tutto condivisibili in quanto radicate sulla natura meramente locale dell’impianto di illuminazione pubblica) il servizio di cui trattasi venga considerato estraneo al settore dei servizi “a rete”, come tale non assoggettato alla disciplina recata, in punto di necessaria obbligatorietà dell’indizione di gare a livello di area vasta, dall’attuale versione dell’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, con la conseguenza che deve riconoscersi la perdurante facoltà, per gli enti locali, di indire in forma singola le procedure finalizzate all’affidamento dell’attività di cui trattasi.

Ciò detto, è evidente che sussiste la possibilità – non solo ammissibile, ma anche auspicabile – di una gestione associata del servizio in esame da parte di una pluralità di comuni: il riferimento è, in particolare, alla circostanza che un insieme di enti locali, secondo i meccanismi e le modalità proprie delle gestioni associate di funzioni amministrative (fra cui quella del convenzionamento fra enti locali di cui all’art. 30 del d.lg. n. 267/2000), decidano di procedere all’espletamento di un’unica procedura per l’individuazione del medesimo gestore del servizio, il tutto, peraltro, tenendo conto del fatto che, come rilevato da attenta dottrina, «tale assetto organizzativo si pone tuttavia come facoltativo e non obbligatorio per i singoli comuni e deve intendersi ricollegato alla possibilità di perseguire, in concreto, dei vantaggi (in termini di qualità del servizio e/o di economicità del medesimo) rispetto ad una gestione singola dello stesso»[14].

Ma v’è di più: alle medesime conclusioni (circa la facoltatività e non già l’obbligatorietà di una gara a livello di area vasta) deve ad ogni modo pervenirsi anche aderendo alla tesi contraria – come detto: priva di persuasivo fondamento –, volta a configurare il servizio di illuminazione pubblica come “a rete”, in quanto tale assoggettato alla disciplina di cui all’art. 3-bis cit..

In particolare, è evidente che seguendo la prospettazione da ultimo delineata ci si troverebbe in una situazione del tutto analoga a quella riscontrabile, nell’ambito del settore della distribuzione del gas naturale, al momento dell’emanazione delle previsioni normative che, pur contemplando la necessaria indizione delle procedure di affidamento a livello di ATEM, non avevano ancora provveduto ad individuare gli ambiti territoriali all’interno dei quali erano destinati a confluire i diversi enti locali, né a precisare quale ente locale avrebbe assunto il ruolo di responsabile della gara a livello di ambito[15].

Ebbene, come certamente si ricorderà, il quadro normativo all’epoca vigente[16] era stato interpretato dalla giurisprudenza nel senso di escludere che la previsione – di natura programmatica – che contemplava l’indizione e la gestione delle gare a livello di area vasta potesse determinare, di fatto, un blocco (sine die) delle gare finalizzate all’affidamento del servizio in questione, e ciò sino all’individuazione degli ambiti ottimali[17], ponendosi tale orientamento – prospettato soventemente dai gestori uscenti, che miravano a conservare l’efficacia dell’affidamento agli stessi intestato – in netto contrasto rispetto ai principi comunitari in materia di tutela della concorrenza e libertà di prestazione dei servizi[18].

La predetta interpretazione pro-concorrenziale, avallata anche da un autorevole parere dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato[19], è stata confermata anche a seguito dell’emanazione, da parte del governo, del decreto volto a determinare gli ATEM[20], ma che non operava ancora l’individuazione del soggetto destinato a ricoprire il ruolo di ente competente a espletare le procedure a livello di area vasta[21].

Ebbene, declinando i principi sopra delineati con riferimento al settore dell’illuminazione pubblica, è evidente che, anche aderendo alla tesi (quanto mai dubbia) concernente la riconducibilità dell’attività in questione fra i servizi pubblici “a rete”, risulterebbe del tutto illogico sostenere che, in assenza della definizione degli ambiti ottimali da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano – peraltro non si comprende su quale base territoriale, essendo gran parte delle Province italiane interessate da un processo normativamente imposto di aggregazione, che si concluderà con una modifica degli attuali confini provinciali -, i comuni siano impossibilitati a indire in forma singola le gare strumentali all’affidamento dell’attività di cui trattasi.

Tale impostazione infatti, oltre a determinare un illegittimo blocco sine die delle medesime procedure, configurerebbe una compressione della stessa esigenza di apertura al mercato manifestata dal legislatore, il quale, nell’incipit all’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, ha chiarito che la previsione in commento risulta finalizzata ad assicurare la «tutela della concorrenza e dell’ambiente», esigenze, queste, non conciliabili con un presunto differimento – peraltro a data non certa – di tutte le gare.

A quanto sopra va inoltre aggiunto che la tesi della sostanziale perdita, da parte dei comuni, della loro prerogativa di indire in forma singola le gare finalizzate all’affidamento del servizio di illuminazione pubblica, basata sulla predetta interpretazione dell’art. 3-bis cit., comporterebbe una proroga di fatto degli affidamenti concernenti la gestione del servizio di illuminazione pubblica già pervenuti alla loro naturale scadenza o di cui è prevista, a breve, la cessazione dell’efficacia.

In particolare, va rilevato che il profilo sopra delineato è stato affrontato dalla giurisprudenza amministrativa che, nell’esaminare il contenuto delle diverse disposizioni normative volte a prescrivere l’indizione e l’affidamento di gare a livello di area vasta, ha avuto modo di chiarire che l’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 non può essere interpretato nel senso di comportare una proroga ex lege delle concessioni scadute, e ciò fino alla piena operatività della disciplina sui bacini territoriali[22].

E’ – questa – un’ulteriore circostanza che conduce a escludere che possa trovare concreto appiglio la tesi volta a ritenere preclusa, ai comuni, la facoltà di espletare in forma singola le gare finalizzate all’affidamento del servizio oggetto della presente analisi, opzione, questa, che allo stato deve ancora riconoscersi, e ciò soprattutto in assenza della definizione degli ambiti e della mancata individuazione dell’ente incaricato di gestire l’indizione e l’espletamento delle procedure su area vasta.

 

 

 

[1] Avvocato amministrativista, esperto in materia di servizi pubblici locali, di appalti pubblici e di diritto degli enti locali.

2 Così Cons. St., sez. V, 16 dicembre 2004, n. 8090; conformemente, Cons. St., sez. V, 25 novembre 2010, n. 8232.

3 In tal senso T.A.R. Sardegna, sez. I, 11 giugno 2009, n. 966, nonchè Cons. St., sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369.

4 Come noto, nell’occasione la Consulta ha dichiarato che «è costituzionalmente illegittimo l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv., con modif., dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni, in quanto viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost. Il citato art. 4 (intitolato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea”), adottato dopo che, con d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, era stata dichiarata l’abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, recante la precedente disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». Quanto alle motivazioni poste a fondamento di tale decisione, la Corte ha affermato che la norma censurata «detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010. Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato, risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identità della ratio ispiratrice. Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava “pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica” ai quali era rivolto l’art. 23-bis, non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che il suddetto art. 4 costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011».

5 E’ stato in particolare chiarito dalla più recente giurisprudenza contabile che «allo stato, risultando caducate - ad opera della consultazione referendaria del giugno 2011 (l’art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008) e della sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale (l’art. 4 del D.L. n. 138/2011) - le norme nazionali che prevedevano l’espansione della regola generale comunitaria che impone l’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, è indubitabile che l’affidamento diretto in house ed a società mista può avvenire in conformità alle regole del diritto europeo» (Corte Conti Basilicata, sez. contr., 20 settembre 2012, n. 20).

6 Si tratta, più precisamente, di una norma inserita all’interno del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in l. 14 settembre 2011, n. 148, ad opera dell’art. 25, comma 1, lett. a), del d.l.  24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, nella versione emergente a seguito dell’emanazione dall’art. 53, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134.

7 Per completezza espositiva, va poi rilevato che la medesima previsione normativa stabilisce che «Le regioni possono individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito ai sensi dell’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Fermo restando il termine di cui al primo periodo del presente comma che opera anche in deroga a disposizioni esistenti in ordine ai tempi previsti per la riorganizzazione del servizio in ambiti, è fatta salva l'organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali in coerenza con le previsioni indicate nel presente comma. Decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei Ministri, a tutela dell’unità giuridica ed economica, esercita i poteri sostitutivi di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio».

8 Non è dato peraltro sapere se tale prescrizione si riferisce agli attuali confini provinciali, ovvero ancora a quelli risultanti dall’accorpamento delle Province, per come disposto dal d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 135 (c.d. spending review) e, da ultimo, dal d.l. 5 novembre 2012, n. 188, attualmente in corso di conversione.

9 E’ stato in particolare affermato che «Il pensiero va immediatamente al gas e al servizio idrico integrato. Ma per entrambi è già prevista un’organizzazione in ambiti o bacini territoriali ottimali in attuazione di specifiche direttive europee e ai sensi delle discipline di settore vigenti. Così che per questi settori si applica la disciplina speciale ma resta fermo che il tutto deve essere effettuato entro il 30 giugno 2012, pena l’esercizio dei poteri sostitutivi» (C. VOLPE, Servizi pubblici locali e liberalizzazioni. Dall’art. 23-bis al decreto legge “crescita”: la produzione normativa non ha mai fine, in www.giustizia-amministrativa.it.

10 Così M. BRAGAGLIA, P. CRISTIANO, S. DI GIOVANNI, La pubblica illuminazione nell’attuale quadro normativo, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

11 T. D’ONZA, P. CRISTIANO, Illuminazione in partnership, Gestione unitaria per risparmiare sui costi degli impianti, in Italia Oggi, 6 aprile 2012.

12 Il riferimento è alla missiva inviata dal Presidente dell’ANCI Lombardia, avv. Attilio Fontana, in data 1° giugno 2012, prot. n. 1011/12/AF/as, avente ad oggetto «servizio pubblica illuminazione - proposta di ridefinizione ambiti territoriali (art. 3 bis L. 16 settembre 2011 n.148», con cui l’associazione lombarda dei comuni aveva avuto modo di segnalare ai rappresentanti della Regione Lombardia che «Forti dubbi emergono invece rispetto alla configurabilità della pubblica illuminazione come “servizio a rete” atteso che il funzionamento del servizio prescinde dall’esistenza di una unica infrastruttura di base. Detto in altri termini, l’organizzazione della pubblica illuminazione locale non è equiparabile a quella delle reti idriche, del gas o delle ferrovie, dove è oggettivamente impossibile creare barriere che separino fisicamente le interconnessioni strutturali o territoriali del servizio e, tantomeno, la rete pubblica dalla rete privata.

Nel caso della pubblica illuminazione la separazione delle reti è invece oltre che possibile anche auspicabile e ciò a fronte della storica “promiscuità” fra il gestore della rete di distribuzione dell’energia e il gestore della rete pubblica. La separazione delle due reti e la conseguente realizzazione di una rete dedicata alla “pubblica illuminazione” creerebbe invece i presupposti per un intervento funzionale ad assicurare vere e proprie razionalizzazioni della spesa. In concreto, fino a quando la rete rimarrà promiscua i consumi di energia continueranno ad essere pagati forfettariamente. Laddove invece la rete fosse separata, sarà possibile potenziare i sistemi di regolazione, controllo e razionalizzazione della spesa con la conseguente possibilità di ridurre anche in misura rilevante i costi dell’energia».

13 E’ stato anche in tale sede affermato che a siffatta conclusione si debba necessariamente pervenire «in quanto:

a) l’organizzazione attuale del servizio sul territorio regionale presenta una situazione non omogenea così definita: - la distribuzione dell’energia è integrata ed affidata al concessionario nazionale mentre l’erogazione del servizio è gestita da diversi soggetti sia pubblici che privati; - i servizi di gestione sono strutturati quasi esclusivamente su ambiti di dimensione comunale; - la proprietà degli impianti di erogazione è sia privata che pubblica. La rete impiantistica privata è di norma integrata con la rete della distribuzione e non consente di misurare i consumi reali, la rete impiantistica pubblica (comunale) è invece stata realizzata in modo indipendente; laddove sono state realizzate separazioni della rete di erogazione del servizio dalla rete distributiva, è stato possibile inserire sistemi di regolazione e di misurazione dei consumi che hanno accelerato il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’inquinamento e di razionalizzazione dei costi. Tali interventi sono stati perseguiti e raggiunti da azioni dimensionate sul livello comunale; non esistono attualmente connessioni infrastrutturali della rete impiantistica su bacini sovra comunali;

b) l’assetto finale del servizio, in attuazione della recente normativa in materia di servizi pubblici locali, prevede: - la separazione della rete distributiva da quella di erogazione del servizio; - la separazione della rete pubblica da quella privata; - la scelta autonoma sulla futura gestione nel rispetto dell’art. 4 comma 28 legge 16 settembre 2011, n. 148 (“Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”); - la conseguente possibilità, in coerenza con le indicazioni della L.R. n. 17 del 27.03.2000 (“Misure urgenti in tema di risparmio energetico ad uso di illuminazione esterna e di lotta all’inquinamento luminoso”), di promuovere interventi che favoriscano la riduzione dei consumi e la razionalizzazione dei costi;

c) le recenti normative in materia di sicurezza (art. 80 D.Lgs. 81/08) assegnano agli enti locali una responsabilità diretta, civile e penale, per eventuali infortuni derivanti da realizzazione degli impianti in violazione delle norme sul rischio elettrico. Si rende dunque necessario accelerare l’iter che consenta l’acquisizione e la messa a norma degli impianti».

14 M. BRAGAGLIA, P. CRISTIANO, S. DI GIOVANNI, op. cit.

15 Ci si riferisce, come senz’altro noto, all’art. 46-bisDisposizioni in materia di concorrenza e qualità dei servizi essenziali nel settore della distribuzione del gas») del d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, rubricato sotto «Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale», convertito, con modificazioni, dalla l. 29 novembre 2007, n. 222, il quale disponeva al c. 1 che «Al fine di garantire al settore della distribuzione di gas naturale maggiore concorrenza e livelli minimi di qualità dei servizi essenziali, i Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, sentita la Conferenza unificata e su parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, individuano entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto i criteri di gara e di valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio di distribuzione di gas previsto dall’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, tenendo conto in maniera adeguata, oltre che delle condizioni economiche offerte, e in particolare di quelle a vantaggio dei consumatori, degli standard qualitativi e di sicurezza del servizio, dei piani di investimento e di sviluppo delle reti e degli impianti», per poi statuire, al successivo c. 2, che «I Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e sentita la Conferenza unificata, determinano gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, a partire da quelli tariffari, secondo l’identificazione di bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi, e determinano misure per l’incentivazione delle relative operazioni di aggregazione».

16 Precedente all’entrata in vigore del d.lg. 1° giugno 2011, n. 93, in forza delle cui statuizioni la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (29 giugno 2011) le gare per l’affidamento del servizio di distribuzione sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all’art. 46-bis, c. 2, del D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222» (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 7 luglio 2011, n. 1104).

17 Era stato in proposito affermato che «la mancata individuazione dei criteri di selezione e degli ambiti territoriali di utenza, di cui all'art. 46-bis del D.L. n. 159/2007, non costituisce una moratoria “sine die” delle gare in tale settore. Pertanto, un comune può legittimamente bandire isolatamente la propria gara anche in assenza di tali criteri, previa identificazione dei bacini ottimali di utenza» (Cons. St., sez. V, 6 luglio 2010, n. 4311); ed ancora, «Ogni Comune è legittimato a bandire isolatamente la propria procedura ad evidenza pubblica di affidamento del servizio di distribuzione del gas anche in mancanza dei criteri di gara e di valutazione dell’offerta e della preventiva identificazione dei cd. bacini ottimali di utenza di cui all'art. 46 bis del D.L. n. 159 del 2007» (Cons. St., sez. V, 4 gennaio 2011, n. 2; conformemente, ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Brescia, 27 maggio 2008, n. 566).

18 Sul punto, il Consiglio di Stato aveva chiarito che «dalle menzionate disposizioni non può desumersi l’introduzione di una moratoria sine die delle procedure di gara nel settore della distribuzione del gas naturale. Tanto più che finora non sono stati ancora individuati i bacini ottimali di utenza e i criteri di selezione, nonostante siano abbondantemente scaduti i termini, previsti dall’art. 46 bis cit., per lo svolgimento dei relativi adempimenti (V. la citata decisione n.5217/2009). Tale conclusione è confortata dalla necessità di rispettare i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza e libertà di prestazione dei servizi (cfr. in termini Cons. St., sez. V, 30 settembre 2008, n. 5213/ord.), nonché le stesse finalità descritte dal comma 1° dell’art. 46 bis di “garantire al settore della distribuzione di gas naturale maggiore concorrenza e livelli minimi di qualità dei servizi essenziali”. […] Di conseguenza il singolo comune può legittimamente bandire isolatamente la propria procedura ad evidenza pubblica di affidamento del servizio anche in assenza dei criteri di gara e di valutazione dell’offerta e della previa identificazione dei bacini ottimali di utenza di cui al richiamato art. 46-bis» (Cons. St., sez. V, 22 giugno 2010, n. 3890; nello stesso senso, T.A.R. Lombardia, Brescia, sez., II, 12 giugno 2009, n. 1221).

19 Cosi l’AGCM, che con il Parere As 674 del 4 febbraio 2010 ha ritenuto che l’interpretazione orientata a sostenere il blocco delle gare fino alla determinazione degli ambiti contrastasse con il principio comunitario di concorrenza, la cui attuazione attraverso un atto ministeriale potrebbe essere rinviata a un futuro incerto, con il rischio di ritardare ulteriormente la liberalizzazione del gas, con conseguente facoltà, per i comuni, di decidere se indire le gare in forma singola o attendere la definizione degli ambiti.

20 In particolare, il D.M. 19 gennaio 2011, recante «Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale», il quale all’art. 2 («Gare d’ambito») statuiva che «Gli Enti locali di ciascun ambito territoriale minimo affidano il servizio di distribuzione gas previsto dall'articolo 14, c. 1 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, tramite gara unica», mentre al successivo art. 3 («Affidamento e durata della concessione nel primo periodo»), c. 3 prescriveva che « Ai sensi dell’articolo 46-bis c. 2, del decreto legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e per ultimo modificato dall'articolo 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, a decorrere dall'entrata in vigore del presente provvedimento le gare per l’affidamento del servizio di distribuzione gas previsto dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, per le quali non è stato pubblicato il bando o non è decorso il termine per la presentazione delle offerte di gara sono aggiudicate unicamente relativamente agli ambiti determinati nell’allegato 1 facente parte integrante del presente provvedimento».

21 Si richiama, ex plurimis, la pronuncia con cui la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che «la definizione degli ambiti non è sufficiente per l’indizione delle gare (di ambito), posto che, non avendo la legge individuato un’autorità competente all’espletamento della gara, occorrerà comunque che gli enti locali ricompresi negli ambiti si organizzino (mediante accordi) per gestire la procedura» (T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 13 gennaio 2011, n. 1).

22 Ci si riferisce, in particolare, all’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, sez. I, 15 febbraio 2012, n. 539 che, con riferimento al settore della distribuzione del gas naturale, ha affermato che «E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, c. 4, del d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), che inibisce di procedere a gara nel settore di specie, fino a che non siano divenuti operativi gli ambiti territoriali di cui all’art. 46 bis, c. 2, del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale) in riferimento all’art. 76 della Costituzione».  

Ebbene, con particolare riferimento alla disciplina oggetto della presente disamina, occorre segnalare che con l’ordinanza in questione il Tribunale ha preso posizione in ordine alla presunta proroga ex lege degli affidamenti dei servizi pubblici “a rete”, potenzialmente derivante dalle disposizioni dell’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 che sanciscono l’obbligo di indire gare a livello di ambito, previsione, questa, come detto introdotta dall’art. 25 del d.l. n. 1/2012, avendo cura nell’occasione il Collegio di affermare che «mentre l’art. 24, comma 4 [del d.lg. n. 93/2011, relativo al servizio di distribuzione del gas], prescrive indirettamente con effetto immediato la proroga delle concessioni scadute, fino all’operatività della disciplina sui bacini territoriali, l’art. 25 [del d.lg. n. 1/2012, che ha introdotto l’art. 3-bis cit., concernente i servizi pubblici “a rete”] non reca disposizioni in merito, tantomeno di carattere retroattivo», dovendosi pertanto escludere che analoga proroga, applicabile alla generalità dei servizi pubblici “a rete”, sia stata effettivamente disposta dal legislatore.

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