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LA DISCIPLINA DEI SPL DI RILEVANZA ECONOMICA TRA SPENDING REVIEW E MITO DELLE LIBERALIZZAZIONI
di
Gerardo Guzzo*
Sommario: 1. Le modifiche apportate alla disciplina dei SPL di rilevanza economica dall’articolo 25 del d.l. n. 1/2012 convertito nella legge n. 27/2012. 2. Gli aggiustamenti introdotti dal d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 e dall’articolo 4 del d.l. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012. 3. La sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012. 4. La soluzione offerta dal Governo nel “decreto sviluppo 2”, n. 179/2012. 5. Le modifiche introdotte al T.U. EE.LL. dal d.l. n. 174 del 10 ottobre 2012. 6. Considerazioni finali.
1. Le modifiche apportate alla disciplina dei SPL di rilevanza economica dall’articolo 25 del d.l. n. 1/2012 convertito nella legge n. 27/2012.
La disciplina dei SPL di rilevanza economica ha subito una serie di aggiustamenti nel corso del 2012 prima di essere definitivamente espunta dal mondo del iure dalla sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012. Le prime modifiche apportate all’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 sono state introdotte dall’articolo 25 del d.l. n.1/2012, convertito con modifiche nella legge n. 27/2012. In particolare, l’articolo 25 del decreto sulle “liberalizzazioni” è intervenuto espressamente oltre che sull’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 anche sul precedente articolo 3 aggiungendo l’articolo 3-bis a tenore del quale “(…) a tutela della concorrenza e dell'ambiente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio, entro il termine del 30 giugno 2012. La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale. Le Regioni possono individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito ai sensi dell'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Fermo restando il termine di cui al primo periodo del presente comma, e' fatta salva l'organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quelle indicate nel presente comma. Decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei ministri, a tutela dell'unita' giuridica ed economica, esercita i poteri sostitutivi di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio (…)”. La norma, non incisa dalla citata pronuncia della Consulta, è di particolare importanza perché demanda l’organizzazione dello svolgimento a rete dei SPL di rilevanza economica alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, pur senza specificare cosa si intenda per “svolgimento a rete”. Altre novità di rilievo riguardavano l’assoggettamento delle società affidatarie in house al patto di stabilità interno e l’obbligo di acquisto per le medesime di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. Venendo all’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, l’articolo 25 del d.l. n. 1/2012 ha modificato il comma 13 riportando il valore massimo entro il quale era possibile procedere all’affidamento diretto della gestione del servizio a 200.000 euro annui, in luogo dei precedenti 900.000 euro annui. Si abbassava, così, la soglia del valore complessivo del servizio da affidare che veniva riportata a quella già prevista dal d.P.R. n. 168/2010 (Regolamento di attuazione dell’articolo 23-bis). L’articolo 25 del d.l. n. 1/2012, inoltre, incideva gli stessi termini che riguardavano il regime transitorio. Infatti, il termine di cessazione delle società in house del tutto prive dei requisiti del “controllo analogo” e del parametro della “prevalenza” dell’attività, ovvero aventi ad oggetto servizi di valore superiore a 200.000 euro annui, avrebbero dovuto cessare il 31 dicembre 2012, in luogo del 31 marzo 2012, a meno che entro tale data non si sarebbero verificate forme di integrazione operativa tali da configurare un unico gestore del servizio a livello d’ambito o di bacino territoriale ottimale. Le società miste costituite senza lo svolgimento della gara per la scelta del partner privato ovvero con gara, senza la previa definizione di compiti, funzioni e durata del rapporto che lega il privato al modulo societario costituito, sarebbero cessate non più il 30 giugno 2012 ma il 31 marzo 2013. Altra novità era costituita dall’estensione della disciplina contenuta nell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 anche al settore del trasporto ferroviario regionale mentre, nel rispetto della volontà popolare emersa dal referendum del 12 e 13 giugno 2011, rimaneva fuori da fuoco di applicazione della disciplina dell’articolo 4 il servizio idrico. Successivamente, la disciplina contenuta nell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 ha subito un ulteriore aggiustamento per effetto dell’articolo 53, comma 1, lettera n), del d.l. n. 83/2012 - pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito, con modificazioni, nella legge del 7 agosto 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 dell’11.8.2012 - ed, infine, per mano degli articoli 4 e 9 del d.l. n. 95, del 6 luglio 2012, convertito, con modifiche, nella legge n. 135 del 7 agosto 2012 (spending review 2).
2. Gli aggiustamenti introdotti dal d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 e dall’articolo 4 del d.l. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012.
L’articolo 53, comma 1, lettera b), ha introdotto alcune significative novità. Ad esempio, è stato previsto che il parere che l’Autorità era chiamata a formulare in merito allo schema di delibera quadro ed alle verifiche delle condizioni di mercato compiute dall’ente locale, venisse formulato possibilmente entro sessanta giorni decorsi i quali, entro i successivi novanta giorni in luogo dei trenta originariamente previsti, l’ente locale doveva adottare la citata delibera quadro. Ancora. Al comma 35 dell’articolo 4 veniva aggiunto il comma 35 bis a tenore del quale, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge del 24 marzo 2012, n. 27, la verifica di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, le attività di cui al comma 5 e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, erano effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei di cui all'articolo 3-bis dagli enti di governo degli stessi istituiti o designati ai sensi del medesimo articolo. Ancora una volta, però, il Legislatore evitava di specificare in cosa consistesse la gestione dei servizi pubblici locali a rete. Di peso ben diverso risultano essere le novità introdotte dal d.l. n.95/2012, poi convertito, con modifiche, nella legge n. 135/2012.
Cosa ha previsto il d.l. n. 95/2012 in materia di SPL?
Un discorso a parte merita l’esame delle disposizioni contenute nel d.l. n. 95/2012, convertito, con modifiche, nella legge n. 135/2012. In prima battuta, va ricordato che l’articolato in parola è attraversato dalla evidente e dichiarata ratio di contenimento della spesa pubblica, funzionale ad una auspicabile ricrescita economica. Dunque, tutte le norme in esso contenute vanno lette nell’ottica di una razionalizzazione dei costi. Nel dettaglio, è possibile individuare un gruppo di norme che riguardano da vicino i SPL, siano essi di natura strumentale che di rilevanza economica. Non vi è dubbio che rientrino nella prima tipologia di norme le previsioni che sono contenute nei commi da 1 a 4 dell’articolo 4 della legge n. 135/2012, mentre sono riconducibili alla materia dei SPL di rilevanza economica le norme contenute nei commi da 5 a 14. Infatti, è lo stesso comma 3 dell’articolo 4 della legge n. 135/2012 a chiarire che le disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica, oltre che, inter alia, alle società che svolgono prevalentemente compiti di centrali di committenza ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Qualche dubbio, invece, solleva l’applicabilità dell’articolo 9 del d.l. n. 95/2012 alla materia in questione. Venendo al merito dei provvedimenti, il comma 1 dell’articolo 4 stabilisce che nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si procede, alternativamente: a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013. (Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della società sono esenti da imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali); b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, (non rinnovabili), a decorrere dal 1° gennaio 2014. (Il bando di gara considera, tra gli elementi rilevanti di valutazione dell'offerta, l'adozione di strumenti di tutela dei livelli di occupazione. L'alienazione deve riguardare l'intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante). La norma è piuttosto chiara e sembra inequivocabilmente riferirsi alle cosiddette società “strumentali”, originariamente previste dall’articolo 13 del d.l. 223/2006. Queste società, pertanto, sono destinate a cessare entro il 31 dicembre 2013 a patto, però, che presentino un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato per l’anno 2011. Diversamente, il Legislatore ha previsto una diversa exit strategy costituita dalla cessione delle partecipazioni pubbliche detenute alla data di entrata in vigore del d.l. (6 luglio 2012) entro il 30 giugno 2013 con contestuale assegnazione del servizio, mediante gara, per una durata massima di anni cinque, non rinnovabili, a cominciare dall’1 gennaio 2014.
Cosa accade nel caso in cui la P.A. non provveda allo scioglimento delle società entro il 31 dicembre 2013 o non ceda le proprie partecipazioni entro il 30 giugno 2013?
La risposta viene fornita dal comma 3 dell’articolo 4 che stabilisce che ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette società non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari. I servizi già prestati dalle società, ove non vengano prodotti nell'ambito dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale. La norma ha tutta l’aria di porre un perentorio sbarramento temporale prevedendo che, comunque, a partire dall’1 gennaio 2014 verrà interdetto a tali società strumentali: 1. di ricevere nuovi affidamenti diretti (senza gara); 2. di fruire del rinnovo del servizio o dei servizi già affidati; 3. di acquisire senza gara i servizi già prestati ove non prodotti nell’ambito, cioè a favore, dell’amministrazione. Un problema di non poco conto è quello di capire se le norme segnalate trovino applicazione anche nei confronti delle società miste. La sensazione che si ricava da un’interpretazione meramente letterale del testo è che le disposizioni in discorso possano disciplinare anche quelle particolari ipotesi di moduli societari misti costituite per garantire alla P.A. il corretto svolgimento delle sue funzioni e l’efficace realizzazione dei propri fini istituzionali. Del resto, lo stesso Legislatore parla di alienazione delle quote detenute dalla parte pubblica alla data di entrata in vigore del d.l. con la conseguenza che è verosimile che il fuoco applicativo della norma si estenda anche alle società miste. Diversamente opinando, si tratterebbe di una norma irrazionale ed illogica in quanto attraversata da una condivisibile esigenza di contrazione della spesa pubblica con riferimento alle società strumentali a capitale interamente pubblico che, per contro, verrebbe irragionevolmente obliterata nei confronti di quei moduli societari misti che pure possono atteggiarsi a valido strumento per la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente costituente. Una prova indiretta dell’assunto può essere colta nella previsione contenuta nel successivo comma 4 dell’articolo 4 che riguarda la composizione del CdA di tali società. La norma stabilisce che i consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1 devono essere composti da non più di tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. Il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato. I dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione (o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico) ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all'amministrazione (ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio) e alla società di appartenenza. E' comunque consentita la nomina di un amministratore unico. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il precetto nel fissare nel numero di tre i componenti del CdA chiarisce anche che due devono essere dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, in caso di partecipazione diretta, ed il terzo membro è chiamato a svolgere le funzioni di amministratore delegato. Pur nel silenzio del Legislatore in ordine alla spettanza della nomina del terzo membro, non vi è dubbio che la funzione di amministratore delegato non può non essere attribuita ad un soggetto espressione di quella parte societaria che rappresenti l’anima, il motore dell’attività d’impresa, vale a dire il privato. In questo modo, la parte pubblica, che costituisce la maggioranza nel CdA, eserciterebbe un adeguato controllo sull’attività di gestione del privato cui spettano sostanziali poteri di governance che ben possono essere compendiati nella figura dell’amministratore delegato. Per quanto concerne le assunzioni di personale da parte delle società strumentali, cui fa riferimento il comma 1 dell’articolo 4, i successivi commi 9, 10 11 e 12 stabiliscono che a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015, alle società di cui al comma 1 si applicano le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l'amministrazione controllante (comma 9) e che a decorrere dall'anno 2013 le società di cui al comma 1 possono avvalersi di personale a tempo determinato ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le rispettive finalità nell'anno 2009. Il comma 11, a sua volta, aggiunge che decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2014 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle società di cui al comma 1, ivi compreso quello accessorio, non può superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2011 mentre il successivo comma 12 demanda alle amministrazioni vigilanti di verificare sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti, prevedendo, in caso di violazione dei suddetti vincoli, che gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondano, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati.
Cosa prevede il d.l. n. 95/2012 in merito alle società pubbliche chiamate a gestire servizi di rilevanza economica?
All’interno dell’articolo 4 sono rinvenibili alcune norme che toccano da vicino le società pubbliche che gestiscono SPL di rilevanza economica sia da un punto di vista della composizione degli organi di governance, come abbiamo visto, che sotto il profilo più strettamente procedurale della costituzione stessa. Ad esempio, il comma 8 dell’articolo 4, limitatamente agli affidamenti in house, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014. Sono altresì fatte salve le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, delle organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381. Anche in questo caso, il Legislatore introduce uno sbarramento temporale (31 dicembre 2013) avvertendo che a partire dall’1 gennaio 2014 gli affidamenti diretti a società a capitale interamente pubblico potranno avvenire nel rispetto della normativa e della giurisprudenza comunitaria. La norma, invero, non sembra contenere alcuna portata innovativa, atteso che anche sotto la vigenza dell’abrogato articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008 gli affidamenti in house avvenivano nel rispetto dei parametri comunitari, siano essi legislativi che giurisprudenziali. Piuttosto, colpisce l’aver fissato la soglia massima a 200.000 euro di valore del servizio entro la quale sarebbe possibile procedere all’affidamento diretto. Va ricordato che il tetto dei 200.000 euro di valore annuo non costituisce un quid novi rispetto al passato, dal momento che lo stesso regolamento di attuazione dell’articolo 23-bis, il d.P.R. n. 168/2010, prevedeva tale soglia, poi innalzata a 900.000 euro dall’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 e riportata nuovamente a 200.000 dal d.l. n. 1/2012. Ciò che non convince è che l’abbassamento di tale soglia rende particolarmente arduo il ricorso all’affidamento diretto nonostante l’esito referendario del 2011 avesse chiaramente evocato una più massiccia presenza del pubblico nella gestione dei SPL e la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 199/2012, di cui si dirà in seguito, abbia cassato l’articolo 4 del d.l. n. 138/2012 e s. m. ed integrazioni, per violazione della volontà popolare (art. 75 della Costituzione) compiendo un significativo passaggio proprio su tale aspetto. Un ulteriore problema posto dal d.l. n. 95/2012 riguarda l’applicabilità dell’articolo 9 alle società che gestiscono i SPL di rilevanza economica. La disposizione, rubricata “Razionalizzazione amministrativa, divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi” ha sollevato, sin dall’inizio, non pochi dubbi ermeneutici circa il fuoco di applicazione della norma. La questione non è di poco conto in quanto il comma 1 dell’articolo 9 prevede che al fine di assicurare il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative, le Regioni, le Province e i Comuni sopprimono o accorpano (o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento), enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province, e Città metropolitane ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione. La sensazione che si ricava dal testo di legge riportato è che la norma in parola quantomeno trovi applicazione nei confronti delle società a totale partecipazione pubblica, in specie se strumentali, notoriamente organismi di diritto pubblico ai quali viene demandato l’esercizio di determinate funzioni pubbliche per una migliore realizzazione dei fini istituzionali dell’ente costituente. Del resto, il richiamo all’articolo 117, comma 2, lettera p), che include anche la materia delle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane”, associato alla previsione contenuta nel comma 1-bis, a tenore del quale le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali, sembrerebbe confermare l’applicabilità della norma non solo ai moduli societari pubblici di natura strumentale ma anche a quelli chiamati a gestire SPL di rilevanza economica non espressamente esclusi dal testo. Questo significa che se, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le Regioni, le Province e i Comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, tali moduli societari, in uno agli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1, sono soppressi con conseguente nullità di tutti gli atti successivamente adottati dai medesimi. Il che avrebbe luogo agli inizi del gennaio 2013. La norma, dunque, sembrerebbe colpire indistintamente sia le società strumentali che quelle incaricate della gestione di un SPL di rilevanza economica, sacrificate nell’ottica di un incomprimibile bisogno di contenimento della spesa pubblica a meno che non si tratti di società che rientrino tra quelle previste dall'articolo 14, comma 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni. In conclusione, l’esatta individuazione del range applicativo degli articoli 4 e 9 del d.l. n. 95/2012 è di fondamentale importanza al fine di capire quanta parte degli stessi sia sopravvissuta agli effetti “demolitori” della Corte costituzionale.
3. La sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 199/2012, ha espunto dal mondo del iure la disciplina sei SPL di rilevanza economica per come essa era stata concepita dall’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, convertito, con modifiche, nella legge n. 148/2011. Va ricordato che l’intervento del Legislatore su cui si sono abbattuti gli strali della Consulta nasceva dalle ceneri dell’articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008 abrogato dalla consultazione elettorale del 12 e 13 giugno 2011. Gli effetti della pronuncia della Corte colpiscono la disciplina contenuta nell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, nella sua versione finale risultante all’esito dei successivi aggiustamenti intervenuti nel corso sia del 2011 (legge n. 183/2011) che nel 2012 (legge n. 27/2012, legge n. 135/2012) necessari ad armonizzare l’architettura del testo con gli esiti referendari. In sostanza, i giudici delle leggi hanno ritenuto che il novellato articolo 4 della legge n. 148/2011 violasse il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare cristallizzato dall’articolo 75 della Costituzione. Nello specifico, la Corte ha spiegato che a distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l’impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea”, detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010. Essa, infatti, da un lato, rende ancor più remota l’ipotesi dell’affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1), analogamente a quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la àncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Dall’altro lato, la disciplina recata dall’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (… ) sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione dell’art. 23-bis. Alla luce delle richiamate indicazioni – nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato – risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identità della ratio ispiratrice. Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava «pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai quali era rivolto l’art. 23-bis, non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011 (cfr. § 5.2. cons. in diritto). Dunque, i supremi giudici hanno bacchettato il Legislatore in quanto si è limitato, attraverso un’opera meramente riproduttiva, a licenziare una disciplina dei SPL di rilevanza economica assolutamente simmetrica, per non dire identica, a quella abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011. Particolarmente interessante è la questione posta dalla Corte in merito alla soglia del valore del servizio di 200.000 euro annui entro la quale sarebbe possibile affidare direttamente la gestione a società in house, ritenuto dai giudici delle leggi capace di determinare automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti contrariamente a quanto emerso dalla consultazione popolare. Il problema non è di poco conto dal momento che attualmente è allo studio del Governo l’ennesimo tentativo di riscrittura della disciplina dei SPL di rilevanza economica contenuta nel “decreto sviluppo bis” che, necessariamente, dovrà tenere conto del monito dei giudici costituzionali. Inoltre, resta da capire se gli effetti della sentenza n. 199/2012 colpiscono anche alcune parti dell’articolo 4 del d.l. n. 95/2012, pubblicato in G.U. il 6 luglio 2012, cioè ben prima del deposito della sentenza della Corte, avvenuto il 20 luglio 2012. In linea di massima, i commi 1-4 dell’articolo 4, proprio perché relativi alle società strumentali, non espressamente disciplinate in precedenza dall’articolo 4 del d.l. n. 138/2012, dovrebbero essere immuni dal fuoco di applicazione della pronuncia. Tuttavia, il problema si pone con riferimento alle altre parti della norma, a cominciare dal comma 8 che ripropone la soglia dei 200.000 euro annui entro i quali, a partire dall’1 gennaio 2014 sarebbe possibile l’affidamento diretto che sembrerebbe colpito dall’effetto “demolitorio” della pronuncia. E’più che ragionevole ritenere che tale previsione, ancorché non espressamente richiamata dalla sentenza n. 199/2012, sia da considerarsi lesiva della volontà popolare e, dunque, vada emendata.
4. La soluzione offerta dal Governo nel “decreto sviluppo 2”, n. 179/2012.
Il Governo nel nuovo “decreto sviluppo 2”, approvato dal CdM lo scorso 4 ottobre, poi pubblicato sulla G.U. n. 245 del 19 ottobre 2012, S.O. n. 194, rubricato n. 179/2012, ha inserito alcune norme dedicate ai SPL di rilevanza economica. In particolare, l’articolo 34, al comma 13, prevede che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che da conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste. La norma, attraversata da una condivisibile scelta di trasparenza, condiziona l’affidamento diretto di un SPL di rilevanza economica alla stesura di una relazione ad hoc dalla quale risultino le ragioni che hanno indotto l’ente verso quella scelta, in luogo dell’interpello del mercato, e la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo (controllo analogo e prevalenza dell’attività in favore dell’ente costituente). Il successivo comma 14 aggiunge che in relazione agli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, la relazione prevista al comma 13 deve essere pubblicata entro la data del 31 dicembre 2013. Per gli affidamenti per i quali non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell’affidamento, pena la cessazione dell’affidamento medesimo alla data del 31 dicembre 2013. Il precetto contenuto nella norma non convince del tutto. Infatti, da un lato, si pretende che la relazione esplicativa delle ragioni che hanno indotto l’ente pubblico ad un affidamento diretto del servizio già in essere e della sussistenza dei requisiti debba essere pubblicata entro il 31 dicembre 2013 e, dall’altro, che non venga irrogata alcuna sanzione, in caso di inosservanza dell’obbligo, con conseguente pacifica durata delle società fino alla scadenza prevista da contratto. Al contrario, nella seconda ipotesi prevista dal medesimo comma 14, che si riferisce ai casi di affidamento di servizio per i quali non è prevista alcuna scadenza, l’inadempimento dell’ente pubblico determina la cessazione dell’affidamento. In tali ipotesi, il Legislatore impone agli enti competenti di inserire nel contratto di servizio un termine di scadenza pena la cessazione dell’affidamento alla data del 31 dicembre 2013. Il comma 15, a sua volta stabilisce che gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, il 31 dicembre 2020. In questo modo, il Legislatore ha calendarizzato la cessazione delle società pubbliche quotate in borsa spostando al 2020 la data ultima. Infine, il comma 16 dell’articolo 34 introduce dopo il comma 1, il comma 1-bis dell’articolo 3-bis, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, a tenore del quale le procedure per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei di cui al comma 1 del presente articolo dagli enti di governo istituiti o designati ai sensi del medesimo comma. Ancora una volta, però, il Legislatore non ha chiarito cosa realmente intenda per gestione dei servizi pubblici a rete limitandosi a stabilire che l’affidamento deve per ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei. In conclusione, dal testo in commento scompare, opportunamente, ogni riferimento al limite massimo dei 200.000 euro annui di valore del servizio da affidarsi senza gara e vengono calendarizzate le date di cessazione degli affidamenti diretti fissate, rispettivamente, per il 31 dicembre 2013, se non viene inserita alcuna data di scadenza nel contratto di servizio già in corso, e del 31 dicembre 2020, per le società quotate in borsa, a patto che il contratto di servizio non preveda, parimenti, alcuna data. Diversamente, la scadenza avrà luogo alla data di scadenza del contratto.
5. Le modifiche introdotte al T.U. EE.LL. dal d.l. n. 174 del 10 ottobre 2012.
Il d.l. n. 174 del 10 ottobre 2012, apparso sulla G.U. n. 237 dello stesso giorno, ha introdotto alcune significative novità in materia di società partecipate allo scopo dichiarato di garantirne un adeguato controllo amministrativo gestionale. In particolare, l’articolo 3 del testo di legge, rubricato “Rafforzamento dei controlli in materia di Enti Locali”, ha inciso l’articolo 147 del d.lgs. n. 267/2000 introducendo, inter alia, anche il comma 147-quater che riguarda proprio la disciplina dei “Controlli sulle società partecipate”. In particolare, il novellato articolo 147-quater del T.U. degli EE.LL. prevede che l’ente locale definisca, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società partecipate dallo stesso ente locale. L’esercizio di tali controlli viene demandato alle strutture proprie della pubblica amministrazione che, così, ne diventano responsabili. Il controllo deve essere teso verificare se gli obiettivi gestionali fissati preventivamente dall’amministrazione, nell’esercizio dei propri poteri di indirizzo, siano stati realizzati dalla società partecipata nel rispetto dei parametri degli standard quali-quantitativi predefiniti. Per compiere la verifica in parola, l’ente organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. I dati e le informazioni acquisite consentono all’ente locale di monitorare periodicamente l’andamento delle società partecipate, analizzare gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati ed individuare le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente. Il comma 4 del novellato articolo 147-quater del d.lgs. n. 267/2000, infine, aggiunge che i risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica. In sostanza, questo ennesimo disorganico intervento del Legislatore svela la ineludibile necessità di tenere sotto stretto controllo l’operato delle partecipate demandando a delle strutture interne, costituite ad hoc dall’ente locale nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, il compito di verificare se l’andamento d’impresa delle stesse sia o meno conforme agli obiettivi fissati dalla P.A., con particolare riferimento all’osservanza dei parametri degli standard quali-quantitativi dalla medesima fissati. Solo il tempo dirà se e in che misura i Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, gli unici tenuti ad applicare la norma (comma 5), riusciranno a dare compiuta attuazione al precetto, nonostante il Legislatore abbia opportunamente previsto una responsabilità dell’ente in materia di controllo.
6. Considerazioni finali.
Gli stravolgimenti subiti dalla disciplina dei SPL negli ultimi anni sono sintomatici di una certa legislazione a “strappi” che deve fare i conti con contingenti esigenze di contrazione della spesa pubblica che, a loro volta, inevitabilmente, incrociano il forte bisogno di liberalizzare i mercati per liberare risorse. Le norme contenute nel d.l. n. 174/2012 certificano questo modo disarticolato di intervenire in una materia già particolarmente segnata da sufficienti incertezze legislative. A questo si aggiunga che, nel caso dei SPL, vi è un ulteriore elemento di ambiguità, fortemente condizionante, rappresentato dalla giurisprudenza comunitaria e dalla relativa produzione normativa. L’esperienza insegna quanto ondivaghi siano stati i giudici di Lussemburgo in subiecta materia. Il problema si è posto in tutta la sua crudezza e gravità negli scorsi mesi quando la Corte delle leggi, con una condivisibile pronuncia, si è vista costretta a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 e successive modifiche per violazione della volontà popolare espressa dalla consultazione elettorale rinviando proprio alla disciplina comunitaria la regolamentazione della materia; problema che ancora oggi attende una compiuta risposta sul piano legislativo interno. Il punto è proprio questo. In una situazione del genere, quale direzione prenderà il Legislatore se mai deciderà di mettere mano in modo organico ad una disciplina dei SPL di rilevanza economica? Seguirà la volontà popolare emersa dal referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 oppure preferirà seguire le indicazioni comunitarie decisamente orientate verso l’apertura al mercato? La questione, per sua stessa natura, pone anche un altro problema che è esattamente quello dell’autonomia del Legislatore di uno Stato membro rispetto ai principi posti dall’Unione. In altri termini, fino a che punto la legislazione di uno Stato membro può “dilatare” i principi comunitari fino a disattenderli? La riscrittura parziale della disciplina dei SPL contenuta nel “decreto sviluppo 2”, n. 179/2012, sembra, opportunamente, non affrontare il problema, limitandosi a fissare soltanto la calendarizzazione del regime transitorio delle società pubbliche affidatarie dirette del servizio, a differenza di quanto accaduto con il d.l. n. 95/2012 che aveva fissato nel comma 8 dell’articolo 4 il tetto dei 200.000 euro di valore del servizio entro il quale si sarebbe potuto procedere all’affidamento diretto senza gara. La sensazione che si ricava dall’analisi della dinamica parlamentare è che il Legislatore, di fronte ad una situazione oggettivamente emergenziale e turbolenta, sia costretto ad intervenire con delle norme spesso (forse troppo) frammentarie e difficilmente raccordabili ed armonizzabili con il preesistente quadro normativo di riferimento; il tutto con indubbie ricadute negative sul piano della certezza del diritto. A questo punto, forse, sarebbe opportuno considerare seriamente l’idea di abbandonare il proposito di elaborare una disciplina generale dei SPL di rilevanza economica abdicando a favore delle singole discipline di settore, magari con un nucleo essenziale di norme, inserito in un testo di legge organico, a costituire una sorta di minimo comune denominatore.
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