|
L’AGCM conclude la propria indagine conoscitiva sul settore del teleriscaldamento. Molti i nodi ancora da sciogliere. Di Giorgio Lezzi
Dopo oltre due anni, con Provvedimento n. 24817 del 5 marzo 2014, l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (di seguito, “AGCM” ovvero “Autorità”) ha concluso l’indagine conoscitiva sul settore del teleriscaldamento, avviata dalla medesima Autorità nel dicembre 2011 in ragione della necessità, all’epoca ravvisata dall’AGCM, di dotare il settore in questione di un appropriato «intervento normativo e regolamentare».
Come noto, il principale problema che ci si trova ad affrontare ogni qualvolta si discute di teleriscaldamento è quello legato alla qualificazione giuridica dell’attività, a seconda dei casi ricondotta al settore dei servizi pubblici locali ovvero ancora configurata quale prestazione economica svolta in regime di libera concorrenza.
Come altrettanto noto, non risultano di particolare ausilio, a tale fine, neppure le definizioni del termine “teleriscaldamento” recate dalla normativa che di tempo in tempo ha regolato taluni specifici aspetti dell’attività di cui trattasi, in quanto gli interventi del legislatore susseguitisi nel corso degli anni, più che a fini propriamente qualificativi, sono stati ispirati dalla necessità di meglio perimetrare l’ambito oggettivo di applicazione delle diverse disposizioni normative spesse volte emanate al fine di disporre il riconoscimento di incentivi di natura economica o di benefici fiscali.
E’ il caso, ad esempio, dell’art. 2, c. 3, lett. a) del d.m. 24 ottobre 2005, recante «Direttive per la regolamentazione dell’emissione dei certificati verdi alle produzioni di energia di cui all’articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239», ove è chiarito che, allo scopo di ottenere i benefici ivi previsti, è necessario che «la rete di teleriscaldamento [sia in grado di] soddisfare contestualmente le seguenti condizioni: i) alimentare tipicamente, mediante una rete di trasporto dell’energia termica, una pluralità di edifici o ambienti; ii) essere un sistema aperto, ovvero, nei limiti di capacità del sistema, consentire l’allacciamento alla rete di ogni potenziale cliente secondo principi di non discriminazione; iii) la cessione dell’energia termica a soggetti terzi deve essere regolata da contratti di somministrazione, atti a disciplinare le condizioni tecniche ed economiche di fornitura del servizio secondo principi di non discriminazione e di interesse pubblico, nell’ambito delle politiche per il risparmio energetico».
Tale decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, nel far riferimento al principio di non discriminazione nell’erogazione dell’attività di cui trattasi, pare quindi ricondurre il teleriscaldamento al settore dei servizi pubblici.
Ben più ampia è invece la definizione del servizio in questione – operata ai fini della concessione degli incentivi destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili – accolta dall’art. 2, c. 1, lett. g) del d.lg. 3 marzo 2011, n. 28, rubricato sotto «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione elle direttive 2011/77/Ce e 2003/30/CE», a termini del quale va inteso come «“teleriscaldamento” o “teleraffrescamento”: la distribuzione di energia termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati, da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete, per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la fornitura di acqua calda sanitaria», il che porta a ricomprendere in tale definizione anche i semplici sistemi di produzione centralizzata del calore a servizio di più edifici, senza tuttavia condizionarne la qualificazione in base alla universalità della prestazione.
Come si comprende, l’assenza di una disposizione normativa atta a qualificare in modo chiaro il teleriscaldamento fa sì che tale attività possa, almeno potenzialmente, essere ricondotta nell’ambito della definizione di servizio pubblico fornita, da un punto di vista generale, dall’art. 112 del d.lg. 18 agosto 2000, n. 267 («Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali»), il quale al c. 1 stabilisce che «gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali».
A tal proposito, occorre segnalare che l’AGCM, nell’ambito della propria indagine conoscitiva da ultimo conclusa, definisce il teleriscaldamento (o riscaldamento urbano), come «un sistema a rete, realizzato prevalentemente su suolo pubblico, al servizio di un comparto urbano esistente o programmato, destinato alla fornitura di energia termica (nella duplice valenza di “caldo” e “freddo”), prodotta in una o più centrali, ad una pluralità di edifici appartenenti a soggetti diversi, ai fini di climatizzazione di ambienti e di produzione di acqua calda ad uso igienicosanitario, sulla base di contratti di somministrazione e tale da consentire, nei limiti di capacità del sistema, l’allacciamento alla rete di ogni potenziale cliente secondo principi di non discriminazione», in qualche modo propendendo per la tesi atta a qualificare l’attività in questione quale servizio pubblico, essendo indubbia la capacità di tale servizio di soddisfare alle condizioni fissate dal citato art. 112 del d.lg. n. 267/2000 ai fini della configurabilità dello stesso quale attività di interesse economico generale.
Tuttavia, nella medesima indagine conoscitiva l’AGCM ha avuto modo di chiarire che, nella maggior parte dei casi esaminati dall’Autorità, tale qualificazione giuridica del teleriscaldamento quale servizio pubblico è avvenuta in modo quasi “involontario e automatico”, e per motivazioni che sono apparse del tutto contingenti alla particolare situazione storica in cui l’attività si è in concreto sviluppata nel nostro Paese: afferma infatti l’Autorità nel provvedimento oggetto della presente disamina che «storicamente, l’affidamento del servizio di TLR è avvenuto in molti casi in un contesto di inclusione “di fatto” di tale servizio tra i “servizi pubblici locali” (“SPL”). Tale inclusione – a parte alcuni casi isolati di esplicito riferimento ai pregi ambientali del teleriscaldamento (p.es., AMGA Legnano, Concesio e Bovisio (BS)) – non è avvenuta però sulla base di una dettagliata qualificazione delle motivazioni per le quali il servizio di TLR meritava la qualificazione di “servizio pubblico locale”; piuttosto, partendo dal fatto che, dal momento che il servizio di distribuzione e vendita del gas e di gestione della relativa rete svolto dalla municipalizzata era considerato un SPL, questa qualifica è stata estesa anche al TLR, in quanto la distribuzione del calore condivideva con la distribuzione del gas (e dell’elettricità) sia l’impiego di una rete che l’uso finale (acqua calda sanitaria e riscaldamento)».
Sul punto, l’Autorità riconosce che la giurisprudenza amministrativa non è stata nel tempo concorde riguardo alla qualificazione del teleriscaldamento come servizio pubblico locale, dando infatti rilievo a profili differenti (e tra loro a tratti contrastanti) nelle diverse decisioni assunte nel corso degli anni sull’argomento.
In particolare, va rammentato che il Consiglio di Stato, in una pronuncia avente ad oggetto l’attività di gestione di un impianto di cogenerazione asservito alla rete di teleriscaldamento di Genova, finalizzato alla commercializzazione dell’energia elettrica sul mercato liberalizzato, ha negato la configurabilità dell’attività in questione quale servizio pubblico locale, affermando che «tale attività risulta eseguita secondo logiche di impresa di carattere industriale e commerciale, in regime di concorrenza e non finalizzata al soddisfacimento di interessi generali, non potendo l’attività svolta considerarsi come alimentazione di una rete fissa pubblica, posto che non sussiste alcun obbligo di allaccio o di fornitura» (Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6690).
A opposta conclusione sono invece pervenuti i medesimi giudici di Palazzo Spada nella recente pronuncia con cui il Consiglio di Stato (sez. V, 2 maggio 2013, n. 2396) ha assunto una posizione a favore della qualificazione del servizio di teleriscaldamento come “servizio pubblico locale”, respingendo l’appello proposto da TCVVV S.p.A. – gestore del servizio a Sondalo e Tirano (SO) – per la riforma della sentenza del TAR Lombardia, Milano, sez. III, 28 maggio 2012, n. 1457, che aveva dichiarato illegittime le deliberazioni dei Comuni di Sondalo e Tirano e della Conferenza dei Sindaci di tali città con cui si approvavano i prezzi del servizio del teleriscaldamento per il biennio 2009-2010, previsti in aumento del 12,53% rispetto al 2008.
Nell’occasione, il Collegio ha ricordato che, in difetto di una definizione dell’attività in questione, la giurisprudenza ha univocamente riconosciuto la qualifica di “servizio pubblico locale” a quelle attività caratterizzate: (i) sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, e, (ii) sul piano soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che entrambi i requisiti sopra richiamati fossero soddisfatti con riferimento all’attività svolta da TCVVV S.p.A., posto che sotto il profilo oggettivo, l’attività di tale società, come risultante dal relativo statuto - contemplante la produzione e/o la distribuzione di energia da biomassa per scopi di riscaldamento e generazione di elettricità allo scopo di «valorizzare le risorse locali e diminuire la dipendenza energetica dall’esterno mediante utilizzo di fonti rinnovabili di energia e conseguente risparmio energetico, con diminuzione dell’inquinamento dell’aria e incentivazione alla cura e manutenzione dei boschi» – costituisce una tipica attività rivolta «a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali». Sotto il profilo soggettivo, poi, il Consiglio di Stato ha osservato che, pur essendo TCVVV nata nel 1997 a seguito di una iniziativa esclusivamente privata, sia il Comune di Sondalo (nel 1998) che quello di Tirano (nel 1999) hanno acquisito una partecipazione nella società, nell’ambito di delibere nelle quali vi era piena coscienza del loro ruolo come “enti convenzionanti” i soci e gli utenti.
Ad ogni modo, la difficoltà di qualificare a priori l’attività di teleriscaldamento emerge dal contenuto di un ancor più recente provvedimento del giudice amministrativo, non menzionato nell’indagine conoscitiva dell’AGCM.
Il riferimento, in particolare, è all’ordinanza cautelare con cui la quinta sezione del Consiglio di Stato, nel riformare l’ordinanza n. 1198 del 7 novembre 2013 emessa dalla prima sezione del TAR Lombardia, Milano (con cui i giudici di primo grado avevano ritenuto che «l’attività di teleriscaldamento svolta nel caso di specie [nel Comune di Assago] non appare riconducibile, né sotto il profilo oggettivo né sotto il profilo soggettivo, allo svolgimento di un servizio pubblico locale […] poiché, in effetti, da un lato la società ricorrente non pare perseguire la realizzazione di fini sociali e di promozione dello sviluppo economico e civile della comunità in cui opera; dall’altro, risulta mancare una effettiva e inequivoca manifestazione di volontà dell’amministrazione locale interessata di assumere (e/o quanto meno di considerare) il servizio di teleriscaldamento quale servizio pubblico locale, ovvero di realizzare come opera pubblica la rete di teleriscaldamento, affidandola con idonea procedura concorsuale»), ha riconosciuto la riconducibilità del servizio di cui trattasi al settore dei servizi pubblici, il tutto anche in ragione di quanto stabilito, nell’ambito del territorio della Lombardia, dalla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26, recante «Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche», che qualifica espressamente la distribuzione dell’energia termica quale servizio locale di interesse economico, e ciò indipendentemente dall’estensione della rete di teleriscaldamento e dalle modalità di svolgimento della predetta attività.
Peraltro, va segnalato che a tale conclusione il Collegio è pervenuto, come in altre occasioni, anche alla luce delle caratteristiche proprie della fattispecie sottoposta al proprio vaglio, circostanze, queste, che hanno indotto il Consiglio di Stato a propendere, nel caso di specie, per la necessità di assoggettare lo svolgimento del servizio di teleriscaldamento all’esperimento di idonea procedura di evidenza pubblica indetta dall’ente locale territorialmente interessato.
Ebbene, una volta riconosciuta l’esistenza di un interesse pubblico a garantire l’accesso a tale tecnologia a tutti i cittadini potenzialmente interessati, nei limiti tecnici ed economici della capacità delle reti di teleriscaldamento, a condizioni ragionevoli e ai livelli di qualità ritenuti pubblicamente desiderabili - esigenza, questa, come detto soddisfatta nel nostro Paese utilizzando sostanzialmente due configurazioni giuridiche per il servizio in questione, quali le concessioni di servizio pubblico diffuse nei centri urbani metanizzati e le altre forme di autorizzazione diverse dalla concessione di servizio pubblico, dove il servizio di teleriscaldamento è sorto a seguito di iniziative di privati ed è da essi gestito in un contesto largamente deregolamentato -, con la propria indagine conoscitiva l’AGCM si pone il problema se sia o non opportuna una generalizzazione della qualificazione del servizio di teleriscaldamento come servizio pubblico locale, anche alla luce del futuro sviluppo del settore.
In tale prospettiva, l’Autorità rileva che, dal punto di vista antitrust (e, quindi, pro-concorrenziale), per fornire risposta al predetto quesito, occorre chiedersi innanzitutto se i meccanismi di mercato attualmente presenti nel settore di riferimento siano o non in grado di soddisfare l’interesse pubblico a garantire l’accesso al servizio di teleriscaldamento a tutti i cittadini potenzialmente interessati, posto che solo nella misura in cui il mercato non riesca a garantire l’accesso a tale servizio in modo soddisfacente e a condizioni di prezzo, qualità, continuità e di accesso al servizio coerenti con il pubblico interesse definito dallo Stato o dagli enti locali, potrebbe giustificarsi l’imposizione – ex lege – di obblighi specifici di servizio pubblico alle imprese che svolgono l’attività in questione.
Chiarito tale aspetto, l’AGCM afferma nel provvedimento conclusivo dell’indagine conoscitiva che «le caratteristiche economiche che contraddistinguono la fornitura del servizio di TLR in Italia sono tali da far sì che il mercato non sia sempre in grado di garantire da solo la fornitura del servizio alle condizioni di universalità, continuità, sicurezza, qualità, accessibilità dei prezzi e protezione degli utenti desiderate, soprattutto in presenza di una ridotta concorrenza ex-ante tra sistemi di riscaldamento. La riscontrata presenza di regolamentazioni locali (ed a volte anche di autoregolazioni) che vincolano il comportamento dei gestori del servizio ha avuto quindi l’effetto di evitare un possibile fallimento del mercato. L’Indagine ha rilevato una grande varietà di situazioni presenti sul territorio. L’eterogeneità delle situazioni richiede dunque un intervento pubblico differenziato, limitato tuttavia agli obblighi di servizio pubblico ritenuti necessari a livello locale per raggiungere i livelli prestazionali desiderati. In altri termini, si ritiene che i meccanismi di mercato operanti nel settore, supportati da un’appropriata regolamentazione, siano idonei ad assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico all’accesso a prezzi ragionevoli e trasparenti ad un servizio di TLR offerto secondo standard elevati di qualità, continuità e sicurezza. In particolare, laddove il mercato – attraverso la concorrenza (ex ante) tra sistemi di riscaldamento - sia in grado di assicurare, ad esempio, prezzi accessibili, gli obblighi di servizio pubblico devono essere limitati ad altre prestazioni, quali l’universalità della connessione e la continuità della fornitura».
Alla luce delle sopraesposte considerazioni, l’Autorità ritiene di poter affermare che nel settore del teleriscaldamento non si deve procedere ad una integrale sostituzione dei meccanismi di mercato esistenti con una regolamentazione pervasiva (come ad esempio quella prevista dalla vigente normativa in materia di servizi pubblici locali), ma piuttosto che «tali meccanismi devono essere sviluppati e sostenuti da una appropriata regolamentazione, che non potrà che essere una disciplina pro-concorrenziale settoriale e specifica (sotto-forma di una legge di settore attualmente assente)».
In altre parole: ad avviso dell’AGCM è necessario che lo svolgimento del servizio di teleriscaldamento venga regolamentato da una specifica normativa di settore, che tenga conto delle peculiarità sottese all’attività in questione, senza la possibilità di assoggettare tout court tale servizio alla – assai complessa e rigida - disciplina riferibile alla generalità dei servizi pubblici locali.
Peraltro, è la stessa Autorità, nell’ambito dell’indagine oggetto della presente disamina, a segnalare che, sebbene in linea di principio l’organizzazione di gare per l’affidamento del servizio di teleriscaldamento – aventi ad oggetto le condizioni di fornitura del servizio, e in particolare gli standard di qualità, continuità, sicurezza e prezzo del calore – potrebbe rappresentare un mezzo (alternativo ad altre forme di regolamentazione) per limitare l’esercizio di potere di mercato ex-post e per favorire lo sviluppo della concorrenza ex-ante soprattutto laddove l’assegnatario risulti non collegato al gruppo che distribuisce e vende il gas ai piccoli clienti nelle aree dove insiste la rete di teleriscaldamento, le caratteristiche peculiari dell’attività in questione rendono problematica l’organizzazione di una procedura competitiva per l’affidamento del servizio di teleriscaldamento che risulti veramente efficace.
Più precisamente, l’AGCM segnala che, data la natura verticalmente integrata del servizio di teleriscaldamento, la gara dovrebbe, in prima battuta, riguardare l’intera attività di gestione del servizio, vale a dire dalla generazione del calore, al trasporto del medesimo, sino alla vendita al cliente finale.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi esaminati dall’Autorità nell’ambito ella medesima indagine, è stato possibile verificare che le reti di teleriscaldamento e gli impianti di generazione del calore sono di proprietà del gestore, e i rilevanti piani di investimento che si sono resi necessari per la realizzazione di tali reti (alcuni dei quali ancora in corso e non interamente ammortizzati) sono stati approvati e attuati sull’assunto implicito della “non contendibilità” del servizio.
A tal proposito, e a meno di non voler pensare a procedure di riscatto delle infrastrutture (sia di generazione sia di trasporto e vendita) da parte dell’ente locale (procedure comunque onerose e di complessa realizzazione), l’Autorità evidenzia che «si dovrebbero prevedere forme di rimborso al gestore uscente in caso di aggiudicazione della gara di un nuovo operatore che con ogni probabilità coinvolgerebbero ingenti somme, tali da rappresentare una forte barriera all’accesso alla gara. In molti casi, ciò potrebbe tradursi nel fatto che solo il gestore uscente riuscirebbe a partecipare alla gara. Per ovviare a tale problematica potrebbe essere opportuno procedere preliminarmente ad una qualche forma di unbundling tra generazione, distribuzione e vendita, tenendo conto del fatto che la generazione di calore – a differenza della distribuzione -, non è, almeno nelle reti maggiori, un monopolio naturale, mettendo a gara separatamente le attività relative alle due fasi, eventualmente distinguendo diversi lotti per la generazione».
Tuttavia, l’AGCM riconosce che anche l’adozione di tali soluzioni pro-concorrenziali non risulterebbe, da sola, in grado di superare alcune importanti criticità legate al settore del teleriscaldamento, quali le difficoltà di determinazione del prezzo del servizio di distribuzione da parte dell’ente locale territorialmente interessato, e, in presenza di più generatori, la sussistenza dei costi di coordinamento tra più operatori che il gestore di rete dovrebbe senza dubbio esser chiamato a risolvere.
Appare pertanto condivisibile la tesi da ultimo prospettata dall’AGCM, che, attese le peculiarità del settore del teleriscaldamento e la diversità delle caratteristiche strutturali e regolamentari delle singole reti, ritiene necessaria l’adozione di una disciplina specifica di settore, disegnata in modo da tener conto di tale diversificazione e quindi delle differenti condizioni di sviluppo della concorrenza nelle singole reti.
In questo contesto, ad avviso dell’Autorità, l’affidamento del servizio di teleriscaldamento tramite una procedura di gara rappresenta uno (ma non l’unico) degli strumenti a disposizione per consentire al processo concorrenziale di ridurre i costi e aumentare la qualità del servizio per i cittadini, da utilizzare, peraltro, soltanto nei casi in cui ne siano state verificate la praticabilità tecnico economica e la probabile efficacia (che dipende in maniera cruciale dalla strutturazione della gara stessa), e a condizione che la concorrenza effettiva nel mercato sia insufficiente per assicurare la fornitura del servizio di teleriscaldamento alle condizioni desiderate.
Assai significativo (e quasi paradossale, trattandosi di una conclusione rassegnata da un’autorità antitrust) è quanto afferma, in conclusione, l’AGCM, secondo cui «la gara non può essere considerata un bene in sé; essa, come detto, è solo uno strumento che supplisce ad una insufficiente concorrenza nel mercato e che quindi deve essere utilizzato con cautela in settori già aperti alla concorrenza come risulta essere il TLR proprio sulla base della presente Indagine».
E’ peraltro evidente che, nelle more dell’auspicato intervento del legislatore volto a regolamentare il settore del teleriscaldamento, rimangono irrisolte le difficoltà interpretative e operative in ordine all’esatta qualificazione giuridica dell’attività in questione, da operare, caso per caso, anche alla luce delle caratteristiche e delle peculiarità che contraddistinguono ciascuna fattispecie concreta oggetto di analisi, non potendosi neppure escludere la legittimità – al ricorrere delle circostanze evidenziate dalla stessa Autorità – di iniziative private non precedute da alcuna procedura concorsuale, finalizzate alla realizzazione e gestione di impianti di teleriscaldamento, che potrebbero essere riconducibili ad attività svolte in un mercato in molti casi pienamente liberalizzato.
Avvocato amministrativista, Studio SZA di Milano, esperto in materia di servizi pubblici locali, di appalti pubblici e di diritto degli enti locali.
Sotto il profilo tecnico, il teleriscaldamento rappresenta una soluzione alternativa per la produzione di acqua calda igienico-sanitaria e il riscaldamento degli edifici residenziali, terziari e commerciali, basata sulla produzione centralizzata di calore mediante una centrale termica, un impianto di cogenerazione (consistente nella produzione congiunta di elettricità e calore) o una sorgente geotermica e la sua trasmissione, mediante una rete di tubazioni in cui scorre un appropriato fluido di trasporto (vapore o, più comunemente, acqua calda o surriscaldata), ad un insieme di utenti spazialmente concentrati (la rete di distribuzione locale del calore), ma distanti anche alcuni chilometri dalla fonte di produzione del calore. La concentrazione degli utenti in un’area ben definita, come un quartiere, un’area commerciale o industriale, un insieme di utenze pubbliche prossime tra loro (prevalentemente scuole o impianti sportivi), o loro combinazioni, è necessaria per la sostenibilità economica del servizio: il collegamento di utenze isolate e sparse, lontane tra loro, è tecnicamente possibile ma comporterebbe costi proibitivi per l’utenza stessa. Non a caso, il termine inglese utilizzato per definire il teleriscaldamento – vale a dire “district heating” - richiama proprio questa caratteristica di riscaldamento “distrettuale” o “di quartiere”.
Disciplina recata, oggi, dall’art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, per come integrato, da ultimo, dall’art. 13 del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni dalla l. 27 febbraio 2014, n. 15; disciplina, questa, da leggere come noto in combinato disposto con l’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011, che prevede, da un punto di vista generale, la necessità di organizzare e gestire i servizi pubblici “a rete” di rilevanza economica in ambiti territoriali ottimali. Peraltro, la natura infra-urbana del servizio di teleriscaldamento esclude a priori che tale attività, pur essendo qualificabile come servizio “a rete”, possa essere affidata unicamente a livello di area vasta, e ciò contrariamente a quanto stabilito dal citato art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 e s.m.i. in relazione a tutti i restanti servizi “ a rete” aventi rilevanza economica, circostanza, questa, che risulta coerente con quanto stabilito dall’attuale versione dell’art. 13 del d.l. n. 150/2013 e s.m.i., che fa riferimento, quanto al soggetto affidante, non solo «all’ente di governo dell’ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo», ma anche all’«ente responsabile dell’affidamento» (quindi: al singolo ente locale), la cui competenza in tal senso deve intendersi riconosciuta sino all’eventuale costituzione dell’ente operante a livello di area vasta.
|