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In house providing e concorrenza: il ddl governativo, le procedure di infrazione promosse dalla Commissione UE, le posizioni dell’Auorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, l’istruttoria dell’Autorità per i Contratti pubblici..
di Luca Manassero 28 giugno 2008
Materia: concorrenza / disciplina

In house providing e concorrenza: il ddl governativo, le procedure di infrazione promosse dalla Commissione UE, le posizioni dell’Auorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, l’istruttoria dell’Autorità per i Contratti pubblici, ed i recenti orientamenti comunitari; il problematico contemperamento con il principio di autonomia degli enti locali. Un focus sul Servizio Idrico Integrato.

1. Premessa.

Nell’Adunanza del 7 maggio 2008, con deliberazione n° 16, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture ha avviato un procedimento volto ad accertare l’eventuale inosservanza della normativa per l’affidamento del servizio idrico integrato con riguardo ad alcuni casi di società pubbliche che hanno ricevuto in affidamento il Servizio Idrico Integrato (SII) in via diretta, secondo il meccanismo dell’in house providing (1) ; in particolare, l’Autorità ha preso in esame l’affidamento effettuato dall’ATO 2 Marche Centro – Ancona alla Società Multiservizi SpA e quello da parte dell’ATO Città di Milano alla società Metropolitana Milanese SpA.

Poco prima, in data 3 aprile 2008, la Commissione Europea ha avviato la procedura di infrazione n° IP/08/502 nei confronti dell’Italia; anche in questo caso all’Italia si contesta l’affidamento del servizio del Servizio Idrico da parte dell’ATO 2 Marche Centro Ancona alla società Multiservizi SpA.

Ancora, si registra la procedura di infrazione n° IP/08/685 avviata dalla Commissione Europea il 6 maggio 2008, circa l’affidamento da parte del Comune di Rocca Priora, nel Lazio, ad una società per azioni di proprietà pubblica – l’Azienda Servizi Pubblici SpA – dei servizi di igiene urbana e gestione delle farmacie, detenendo il Comune di Rocca Priora lo 0,038% del capitale della società affidataria.

Da ultimo, è il caso di menzionare la procedura di infrazione IP/08/123 avviata il 31 gennaio 2008 dalla Commissione Europea nei confronti della Repubblica Italiana per quanto riguarda l’aggiudicazione del servizio di gestione dei rifiuti da parte del Comune di Contigliano, pure nel Lazio, ad AMA Servizi Srl.

Le argomentazioni addotte dall’Autorità di Vigilanza e dalla Commissione sono molteplici, ma tutte riconducibili ad ipotizzate violazioni dei principi di libera concorrenza e parità di trattamento degli operatori economici sul mercato, assumendosi l’assenza, nei casi contestati, di tutti od alcuni dei c.d. requisiti Teckal (in particolare, del c.d. controllo analogo) assunti, nelle ricostruzioni delle autorità coinvolte, in una accezione particolarmente restrittiva e di segno strettamente formale.

Peraltro, come si esporrà, non mancano, in anche tempi recenti, autorevoli prese di posizione e pronunce giurisprudenziali improntate ad un diverso orientamento, specie in ambito comunitario, maggiormente attento a cogliere la sostanza delle diverse circostanze del caso concreto.

E’, infine, di questi giorni la presentazione di una bozza di disegno di legge del Governo ("Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", approvato nel Consiglio dei Ministri del 18 giugno 2008), nel quale si rinviene una disposizione finalizzata al riordino della materia dei servizi pubblici locali che, nel dettare una disciplina di dettaglio che lascia un ridotto spazio di manovra all’autonomia degli Enti Locali, qualifica espressamente il modello in house quale ipotesi residuale e derogatoria rispetto alle altre due ipotesi contemplate dalla norma (ossia la gara e la società mista), indipendentemente dalla circostanza che la tutela della concorrenza, come peraltro è già stato osservato da autorevole dottrina (2) e da non recentissima ma lineare giurisprudenza (3), costituisce materia distinta da quella dell’autonomia degli enti locali e della correlativa libertà di autoproduzione dei servizi di interesse generale.

In nome del principio generale della concorrenza, infatti, nel ddl governativo la possibilità di ricorrere ad uno strumento societario in house viene subordinata a condizioni talmente stringenti da escluderne, di fatto, la praticabilità (4).

Il legislatore nazionale, quindi, intende intervenire decisamente sulla materia; pare peraltro di dover sottolineare come tale intervento – se confermato in questi termini - non sembri pienamente in linea con i più recenti orientamenti comunitari e con quelli della giustizia costituzionale con riguardo alla questione dell’autonomia degli Enti Locali (5) .

Può giovare, in un simile contesto, una sintetica ricostruzione dei principi comunitari e nazionali in giuoco, tentando un approccio (in sintonia con la tradizione giuridica comunitaria) di tipo sostanzialistico, al fine di porre in luce il cuore del problema rappresentato dal fenomeno dell’in house providing (6) ed individuare, se possibile, gli eventuali spazi di contemperamento delle diverse istanze in campo.

Se, infatti, da un lato, il principio della concorrenza è da considerarsi prioritario ed immanente nel diritto comunitario (7), a partire dall’enunciazione di principio dell’art. 3, lett g) del Trattato CE (8) (secondo cui occorre realizzare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno), da un altro lato sembra necessario evitare l’affermarsi di posizioni fideistiche, che in nome del principio di concorrenza si pongono con approccio demolitorio nei confronti di fattispecie che con la concorrenza in sé poco hanno a che fare, trovando, al contrario, il proprio fondamento in diversi principi generali, di pari rilevanza per il diritto comunitario: la disciplina dei servizi di interesse economico generale e la correlativa tutela degli utenti, ed il principio di autonomia degli enti locali costituzionalmente salvaguardato.

 

2 . I servizi di interesse generale, ed il servizio universale in particolare, nel diritto comunitario.

Dispone l’art. 16 del Trattato UE (9) : "Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti.".

L’art 86 del TUE (10), quindi, prevede che "1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.."(11)

I principi desumibili dalle citate disposizioni del Trattato, secondo l’opinione consolidata della Corte di Giustizia (12) circa i servizi di interesse economico generale (13), e, più in particolare, riguardo al c.d. servizio universale (14), comportano che possono giustificarsi delle ragionevoli limitazioni della concorrenza, in vista della realizzazione di interessi pubblici di portata essenziale. Ciò, in particolare, secondo la Corte di Giustizia CE, è legittimo nella misura in cui restrizioni della concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi forma di concorrenza, sono necessarie per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi .

Nell’interpretazione, inoltre, dell’art. 86 del TUE fornita dalla stessa Commissione Europea nel Libro Bianco sui servizi di interesse generale, del 12.05.2004 n° COM (2004) 374, si legge che ".. in base al Trattato CE e in presenza delle condizioni di cui all'articolo 86, paragrafo 2, l’effettiva prestazione di un compito di interesse generale prevale, in caso di controversia, sull'applicazione delle norme del trattato. Pertanto, la normativa tutela i compiti piuttosto che le loro modalità di esecuzione. Il trattato consente quindi di conciliare il perseguimento e la realizzazione degli obiettivi di politica pubblica con gli obiettivi di competitività dell’Unione europea nel suo insieme". La Commissione prosegue affermando (pag. 11), commentando la propria proposta di direttiva sui servizi di interesse generale, che "Un aspetto ancora più importante risiede nel fatto che la proposta non impone agli Stati membri di aprire i servizi di interesse economico generale alla concorrenza e non interferisce sulle modalità di finanziamento o di organizzazione ".

Più di recente, la Commissione, nella Comunicazione interpretativa sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati, del 5 febbraio 2008, n C(2007)6661, ribadisce nuovamente che "nel diritto comunitario, le autorità pubbliche sono infatti libere di esercitare in proprio un'attività economica o di affidarla a terzi, ad esempio ad entità a capitale misto costituite nell'ambito di un partenariato pubblico-privato."

Sembra significativo, in proposito, che la stessa Commissione Europea, notoriamente attenta ad impedire potenziali violazioni del principio di libera concorrenza, debba comunque dar conto della cedevolezza del detto principio concorrenziale di fronte a quello di libertà di autoorganizzazione degli Stati membri e delle loro articolazioni interne.

La definizione degli obblighi e delle funzioni di servizio pubblico, in tale quadro, spetta alle autorità pubbliche ai relativi livelli di competenza, in base al principio di sussidiarietà; la responsabilità primaria nell’organizzazione dei servizi di interesse generale compete, quindi, agli Stati membri e non alla Comunità.

Come è stato esattamente osservato (15), dunque "..i servizi pubblici, in quanto funzionali all’appagamento dei bisogni (qualificati come essenziali) dei cittadini, non possono che essere organizzati a livello di singoli Stati membri i quali, per un verso, si ritengono essere i poteri pubblici più prossimi agli utenti, e quindi meglio in grado di interpretarne le domande e, per l’altro, intendono difendere con grande gelosia il controllo sulle dimensioni quantitative e qualitative dei bilanci pubblici.." (16)

Lo stesso ordinamento comunitario, quindi, assicura espressamente una chiara sfera di autonomia discrezionale degli Stati membri in ordine all’organizzazione ed alla produzione di servizi di interesse economico generale; a maggior ragione, in base al principio di sussidiarietà, tale autonomia deve essere riconosciuta agli enti più prossimi ai bisogni delle collettività locali, ossia gli Enti Locali, che di quelle collettività sono enti esponenziali.

 

3 . Le autonomie locali nel diritto comunitario : la libertà di autoproduzione e la tutela della concorrenza nel Trattato e nel diritto comunitario derivato.

Mediante il modello dell’in house providing la Corte di Giustizia tenta, pertanto, di conciliare il principio di tutela della concorrenza e del mercato con quello di autoorganizzazione amministrativa (17), che trova il suo fondamento nel più generale principio di autonomia istituzionale, contenuto nell’art. 5 del Trattato (18).

L’ordinamento comunitario, in più occasioni, ha avuto modo di esprimersi sulla portata e sui limiti del principio di auto – organizzazione.

Nella "Risoluzione sul Libro verde sui servizi di interesse generale (COM(2003) 270 — 2003/2152(INI))" del 14 gennaio 2004, il Parlamento Europeo: " 18. ribadisce l'importanza fondamentale del principio di sussidiarietà, a norma del quale le autorità competenti degli Stati membri possono operare la loro scelta in materia di missioni, organizzazione e modalità di finanziamento dei servizi di interesse generale e dei servizi di interesse economico generale; sottolinea che una direttiva non può stabilire una definizione europea uniforme dei servizi di interesse generale, poiché la loro definizione e strutturazione deve restare di competenza esclusiva degli Stati membri e delle loro suddivisioni costituzionalmente riconosciute;"

"35. auspica che, in ossequio al principio di sussidiarietà, venga riconosciuto il diritto degli enti locali e regionali di «autoprodurre» in modo autonomo servizi di interesse generale a condizione che l'operatore addetto alla gestione diretta non eserciti una concorrenza al di fuori del territorio interessato; chiede, conformemente alla sua posizione sulle direttive concernenti i contratti di servizio pubblico, che le autorità locali vengano autorizzate ad affidare i servizi a entità esterne senza procedure d'appalto qualora la loro supervisione sia analoga a quella esercitata da esse sui propri servizi e qualora svolgano le loro principali attività mediante tale mezzo".

Emerge chiara, quindi, l’espressa volontà dell’Organo Elettivo della Comunità Europea da un lato di porre un limite alle competenze della Comunità stessa in materia di organizzazione dei servizi di interesse economico generale, e da un altro lato di attribuire la competenza in tale campo principalmente agli Enti Locali, in forza del principio di sussidiarietà, consentendo ai medesimi di autoprodurre i servizi stessi (in alternativa rispetto al ricorso al mercato) nel rispetto dei requisiti Teckal.

Tali principi sono stati peraltro ribaditi più di recente dal Parlamento Europeo, nella "Risoluzione sui partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni (2006/2043(INI))", il cui il Parlamento :

" 45. ritiene che i casi di cooperazione tra enti locali debbano essere considerati irrilevanti in relazione al diritto sugli appalti pubblici quando: - si tratta di una cooperazione fra enti locali,- i compiti, la cui realizzazione è stata affidata agli enti locali, devono essere considerati alla stregua di operazioni di ristrutturazione tecnica oppure nel caso in cui i diritti di sorveglianza detenuti dagli enti locali interessati sono identici a quelli che esercitano sui propri servizi, - le attività sono esercitate principalmente per conto degli enti locali interessati";

"46. respinge l'applicazione della legislazione in materia di appalti nei casi in cui gli enti locali intendono svolgere compiti nel loro territorio assieme ad altri enti locali nell'ambito di una riorganizzazione amministrativa, senza offrire a terzi operanti sul mercato la fornitura dei servizi in questione;

L’in house providing, dunque, per l’ordinamento comunitario costituisce espressione diretta del principio di autonomia istituzionale degli Stati membri e degli Enti Locali, il quale, in una lettura costituzionalmente orientata, ai sensi degli art. 5 e 117 della Costituzione costituisce il limite incomprimibile dell’autonomia degli Enti Locali.

Del resto, anche la stessa Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato pare avvertita della cogenza di tale principio laddove, affrontando il tema specifico degli affidamenti in house (dopo aver, peraltro, precisato che le condizioni alle quali è consentito agli enti locali erogare direttamente i servizi pubblici sono da interpretarsi ed applicarsi in senso restrittivo e che quindi il fenomeno deve essere circoscritto), afferma expressis verbis : "Giova sottolineare come le indicazioni contenute nella presente segnalazione non intendano ridurre il potere di auto-organizzazione proprio della pubblica amministrazione, bensì porre un opportuno argine alla distorsione di uno strumento operativo, quale l’affidamento in house.."(19)

 

4. Le condizioni di legittimità dell’in house providing alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza e le obiezioni sollevate dalla Commissione Europea e dall’Autorità per i contratti pubblici.

Occorre, a questo punto, analizzare quello che, in realtà, rappresenta il nodo centrale della problematica dell’in house providing, ossia la realizzazione nei confronti dell’affidatario, da parte del soggetto affidante, del c.d. controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (senza dimenticare, peraltro, l’ulteriore requisito della c.d. prevalenza dell’attività che, pure, ha generato diverse prese di posizione in dottrina ed in giurisprudenza).

Ed infatti, l’accertamento di una posizione di assoluta preminenza, di controllo sulle decisioni strategiche e su quelle importanti da parte dell’ente pubblico sul soggetto affidatario, e dei requisiti che, correlativamente, deve possedere il sistema in house costituisce indubbiamente il nodo centrale del dibattito sviluppatosi in questi anni sia in dottrina che in giurisprudenza.

Ciò in quanto è chiaro, perlomeno a livello comunitario, che, ove i requisiti Teckal siano soddisfatti, non dovrebbe farsi questione circa la legittimità di una delegazione interorganica, pur nei confronti di un soggetto formalmente e giuridicamente distinto.

E’ utile quindi, sinteticamente, dar conto di cosa significhino, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale, controllo analogo e prevalenza dell’attività, per poi confrontare tali principi, ormai consolidati, con i rilievi concreti mossi dai menzionati provvedimenti della Commissione Europea e dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, nonché delle osservazioni dell’Antitrust al fine di analizzarne la corrispondenza ai principi di derivazione comunitaria illustrati poc’anzi.

 

4.1. L’elaborazione giurisprudenziale sui c.d. requisiti Teckal : stato dell’arte; brevi cenni.

Premessa fondamentale alla ricostruzione del portato dei requisiti Teckal come definiti dalla giurisprudenza è costituita (repetita iuvant) dalla ratio di fondo che legittima l’istituto dell’in house providing (20): il servizio svolto in house, ossia in assenza di terzietà sostanziale (o in regime di delegazione interorganica), è svolto dall’Amministrazione al proprio interno, in base a proprie scelte discrezionali ed insindacabili, che trovano fondamento nell’autonomia che l’ordinamento riconosce all’Amministrazione in questione; sembra, quindi, improprio contrapporre tale modello organizzativo alla tematica della libertà di concorrenza (21).

E’, comunque, indiscutibile che, per giurisprudenza costante, sia comunitaria che nazionale (22), i requisiti dell’in house providing, in quanto meccanismo che esula dal ricorso al mercato e quindi esclude il meccanismo che del mercato è regola generale, ossia la gara, vadano interpretati restrittivamente. Il che, tuttavia , non equivale a dire che ci si trova in presenza di un’ipotesi meramente residuale od eccezionale (23), ma semplicemente che occorre accertare in termini rigorosi se ci si trovi realmente di fronte ad una fattispecie di delegazione interorganica ovvero se, al contrario, si evidenzi un mero artificio elusivo dei principi in materia di in house.

Una perfetta sintesi dei presupposti in cui possono considerarsi soddisfatti i requisiti Teckal si rinviene nella decisione assunta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n° 1 del 3 marzo 2008 che, oltre alla partecipazione pubblica totalitaria, anche sulla base della copiosa giurisprudenza formatasi sull’argomento, richiede:

a) la inalienabilità, anche solo potenziale, di quote sociali a privati (24);

b) il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico dev’essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale;

c) l’impresa non deve aver acquisito una "vocazione commerciale" (ossia dei tratti commerciali che ne accentuino l’autonomia e l’indipenenza rispetto all’ente pubblico) che renda precario il controllo dell’ente pubblico stesso: l’oggetto sociale non deve essere ampio e vasto, la possibilità di azione della società sotto il profilo territoriale deve trovare, in linea di massima, una corrispondenza nel territorio degli enti soci (25);

d) non solo le decisioni strategiche, ma anche le decisioni più importanti debbono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante;

e) il controllo che soddisfa i requisiti di effettività dal punto di vista sostanziale prevede:

i. il controllo del bilancio;

ii. la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti;

iii. la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali (26)

 

5. I contenuti del d.d.l. 18 giugno 2008, le osservazioni mosse dall’Autorità dei Lavori Pubblici, dalla Commissione Europea e dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato : la libertà di autoproduzione come espressione del principio generale di libertà di auto organizzazione degli enti locali.

Come poc’anzi esposto, il ddl approvato dal Consiglio dei Ministri il 18 giugno 2008 e recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", ed in particolare il Capo VI dello stesso, rubricato "Liberalizzazione e deregolazione", si propone di operare una radicale rivisitazione della normativa di riferimento per i servizi pubblici locali, ribaltando completamente l’assetto consolidatosi dopo le ultime modifiche all’art. 113 del D.Lgs n° 267/00.

La norma, infatti, detta una disciplina che relega la fattispecie dell’in house providing ad un ruolo marginale e residuale, soggetta alla "probatio diabolica" della dimostrazione dell’impossibilità dell’utile ricorso al mercato. Probatio diabolica perché, nella maggior parte dei casi, dimostrare che, in base alle "peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" non è praticabile il ricorso al mercato rischia di essere, nei fatti, impossibile, soprattutto considerando che, in ogni caso, l’atto deliberativo dell’ente locale sarà soggetto al preventivo parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e delle autorità di regolazione del settore, ove costituite (27), il cui orientamento, come accennato, è ben noto.

Si tratta, a ben vedere, della riproposizione, nella sostanza, del cuore del ddl AS n° 772 (c.d. d.d.l. Lanzillotta).

Peraltro, proprio nei confronti del ddl Lanzillotta è stato, a suo tempo, esattamente osservato che "La concorrenza che, appunto, a differenza di quanto affermato dall’art. 1 del testo in questione, non è principio, ma appunto regola, deve cedere di fronte alla tutela effettiva di beni sociali, espressione dei valori comuni dell’Unione e strumenti decisivi per la promozione della coesione economico-sociale e territoriale. Per il diritto comunitario, al fine di configurare una riserva in favore dello Stato, è sufficiente che risulti compromesso l’adempimento delle specifiche funzioni assegnate all’impresa, ovvero il soddisfacimento dell’interesse generale. L’ente locale, non eccezionalmente, come indica il disegno di legge, ma ogni qualvolta lo ritenga necessario, deve avere la possibilità di tenere per sé la gestione o di affidarla ad un soggetto interamente pubblico" (28).

L’in house providing, quindi, così inquadrato, più che una eccezione alle regole della concorrenza rappresenta, a sua volta, espressione di un principio generale: quello di auto – organizzazione o di autonomia istituzionale, in virtù del quale gli enti pubblici sono liberi di organizzarsi nel modo da loro ritenuto più opportuno per offrire i loro servizi (29).

E’ ben vero che il Consiglio di Stato, nel citato parere della Sez. II n° 456 del 18 aprile 2007 ha espressamente affermato che " La figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente perché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario"; tale affermazione, tuttavia, (come pure le pronunce della Corte di Giustizia menzionate nel predetto Parere), da un’attenta lettura del Parere stesso, pare discendere direttamente dalla considerazione che "il ridimensionamento dell’istituto è da ricondursi anche a fenomeni di distorsione nel ricorso a tale modello, del quale si tende ad abusare attraverso il fenomeno delle c.d. catene societarie e dei controlli indiretti, nonché attraverso le attività svolte nei confronti dei terzi".

Una lettura attenta, quindi, del Parere del Consiglio di Stato e delle pronunce della Corte nello stesso citate, a ben vedere, avvalorano anziché smentire la ricostruzione qui accolta. Ed infatti, la ricostruzione dell’in house quale eccezione ad una regola generale, in un simile contesto è in realtà finalizzata ad evitare quegli abusi e distorsioni che, è innegabile, nella prassi si sono verificati; pertanto, i requisiti del modello Teckal vanno, in quest’ottica, interpretati restrittivamente proprio per evitare l’innata – e tutta italica – tendenza all’elusione ed all’aggiramento delle norme.

In tale prospettiva meritano, quindi, di essere analizzate le recenti iniziative dell’Authority per i Contratti Pubblici, dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, del Governo e della Commissione Europea.

6 . In house providing in generale e Servizio Idrico Integrato : analisi critica dei rilievi dell’Autorità per i Contratti Pubblici, della Commissione, e dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il mercato, nonché dei contenuti del disegno di legge approvato dal Governo il 18 giugno 2008.

 

6.1 L’Istruttoria dell’Autorità Garante per i Contratti Pubblici.

Ed infatti, le posizioni assunte dall’Autorità per i Contratti Pubblici, dalla Commissione Europea, dall’Autorità garante per la Concorrenza ed il mercato nonché, da ultimo, dal Governo con il ddl 18 giugno 2008, meritano di essere analizzate congiuntamente, giacchè le unisce il medesimo filo conduttore, la medesima ratio ispiratrice di fondo: il (pur lodevole) intento di promuovere la concorrenza ed evitare ogni possibile forma di elusione delle regole del mercato che possa celarsi dietro le mentite spoglie di una fittizia delegazione interorganica.

Ciò posto, una tale convergenza di autorevoli opinioni ed un simile rigore, possono in realtà condurre a conseguenze diametralmente opposte, eccedendo in senso contrario.

L’ Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con Deliberazione n. 16 del 7 maggio 2008, avente ad oggetto "Avvio di procedimento volto ad accertare l’eventuale inosservanza della normativa per l’affidamento del servizio idrico integrato", traendo in larga parte spunto, per l’interpretazione del modello in house, dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente del 6.12.2004 (avente ad oggetto Affidamento del servizio idrico integrato a societa' a capitale misto pubblico-privato (30)), ha aperto un procedimento istruttorio volto ad accertare l’eventuale inosservanza della normativa per l’affidamento del servizio idrico integrato in 64 casi in cui le Autorità d’Ambito hanno disposto lo stesso in favore di società completamente pubbliche.

In particolare, la delibera analizza in dettaglio gli l’affidamenti del servizio idrico integrato da parte dell’ATO 2 Marche Centro - Ancona alla Multiservizi S.p.A. e da parte dell’ATO Città di Milano alla Metropolitana Milanese S.p.A, i rilievi nei confronti dei quali si riassumono di seguito.

Quanto all’ATO 2 Marche Centro - Ancona, dopo aver dato atto del formale rispetto, negli atti ufficiali di affidamento, dei principi in materia di in house providing (31) l’Authority, tuttavia, rileva che, "da un semplice accesso al sito web della Multiservizi S.p.A. emerge che questa, oltre all’attività di gestore del servizio idrico integrato, in alcune aree delle Marche svolge anche il servizio di distribuzione del gas metano (comuni di Ancona, Senigallia e limitrofi)". La stessa Multiservizi, inoltre, partecipa a varie società aventi oggetto diverso rispetto alla gestione del Servizio idrico Integrato. Da ciò (per stessa ammissione dell’Authority con valutazione meramente di carattere qualitativo), l’Autorità trae la conclusione che "la Società effettui numerose attività che esulano dalla gestione del servizio idrico integrato per l’ATO, svolte anche al di fuori dell’ATO stesso."

Lo stesso Statuto della Società Multiservizi, precisa inoltre l’Autorità, prevede un oggetto sociale ampio e variegato (32).

L’Autorità conclude ponendo in luce che l’art. 8 dello Statuto sociale, non sembra circoscrivere adeguatamente la proprietà della società ai soli enti locali facenti parte dell’ATO, ove prevede che "il trasferimento delle azioni…opera solo tra gli enti locali soci, o a favore di altri enti locali che affidano alla società la gestione dei servizi pubblici di cui sono titolari".

In ordine all’affidamento operato dall’ATO Città di Milano, del S.I.I. alla Metropolitana Milanese S.p.A, partecipata al 100% dal Comune di Milano, l’Autorità di Vigilanza rileva che :

- anche Metropolitana Milanese S.p.A. svolge attività ulteriori rispetto alla gestione del servizio idrico (33); le disposizioni dello statuto della Metropolitana Milanese S.p.A. appaiono, pertanto, all’Autorità tali da "far dubitare che effettivamente sussista il c.d. controllo analogo della stessa da parte dell’ATO, né si evince la modalità con cui verrebbe esercitato detto controllo analogo".

L’autorità rileva, inoltre che "l’equiparabilità del rapporto sottostante a quello di una delega interorganica, necessaria per ricondurre l’affidamento di cui trattasi a quello in house, appare, infine, in contrasto con la presenza nella convenzione per la gestione del S.I.I. di clausole integranti un sistema di condizioni disciplinanti le procedure di risoluzione ai sensi dell’art. 1454 del c.c. in caso di inadempimento, con conseguente incameramento, a titolo di penale, della cauzione, nonché la definizione e compensi delle eventuali ulteriori attività affidate al gestore. "

Sul punto, è necessario anticipare una riflessione critica.

Come si dirà poco appresso, la delibera n° 16/2008 sembra dedicare, invero, un’attenzione non sufficiente alla normativa di settore dettata dal D.Lgs n° 152 del 3 aprile 2006 (Testo Unico in materia Ambientale) ed alle relative discipline regionali di attuazione. Ora, l’art. 151 del T.U., nel dettare la disciplina (cogente) dello schema tipo della Convenzione tra l’Autorità d’Ambito ed i soggetti affidatari del servizio idrico integrato, siano essi scelti con gara o con una delle altre forme consentite dal precedente art. 150, al comma 2, lettera o), prevede l’obbligo di disciplinare "le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile". Una simile disposizione è contenuta, parallelamente, in tutte le leggi regionali di attuazione del Servizio Idrico Integrato. Pretendere, quindi, di inferire dalla presenza di tale clausola un indice della mancanza di un controllo sull’ente affidante (pur se non è completamente infondato dal punto di vista giuridico) sembra, quindi, perlomeno iniquo, posto che in nessun modo l’ATO potrebbe disapplicare delle normative cogenti.

Ad ogni modo, l’iniziativa dell’Autorità dei Contratti Pubblici era già stata in qualche modo preannunciata dallo stesso Presidente, Luigi Giampaolino, che, nel novembre 2007 (34), in una relazione sui nuovi compiti attribuiti all’Autorità con il Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n° 163/2006), a proposito dei servizi idrici ha affermato che da accertamenti compiuti dall’Autorità stessa si è rilevata "una sovrapposizione delle competenze di indirizzo e controllo con quelle della gestione con evidente contrapposizione di interessi; il diffuso affidamento del servizio a società in house, a società miste con soci privati individuati senza procedura di gara o ancor peggio con affidamenti diretti o a trattativa privata". Corre l’obbligo di sottolineare, in tale discorso, la sostanziale parificazione dell’affidamento in house agli affidamenti operati, senza gara, a favore privati.

 

6.1.1. La posizione dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato.

Peraltro, la tesi dell’inadeguatezza del doppio ( o triplo) ruolo (gestore – controllore - regolatore) rispetto alla gestione dei servizi pubblici, con conseguente conflitto di interessi, costituisce altresì un tratto fondamentale di numerose analisi formulate dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato.

Si veda, per tutti, la recentissima segnalazione A.S. 453 "Considerazioni e proposte per una regolazione proconcorrenziale dei mercati a sostegno della crescita economica", inviata al Parlamento dall’Autorità Antitrust l’11 giugno 2008, nella quale, riguardo ai servizi pubblici locali, si afferma che "In questo contesto, un rilievo assolutamente primario assume l’eliminazione dei conflitti di ruolo derivanti dai diffusi legami proprietari tra un soggetto pubblico (regione o ente locale) e società affidataria del servizio, al fine di garantire una maggiore trasparenza ed imparzialità delle procedure di selezione del gestore e di favorire una concorrenza non distorta tra imprese operanti nell’esercizio di attività pienamente liberalizzate (vendita di gas ed elettricità agli utenti finali)".

A parte la piana (ed ovvia) considerazione che, se ci si trova dinanzi ad attività completamente liberalizzate, non ha alcun senso parlare di "società affidataria del servizio", in quanto nei settori liberalizzati l’ente locale non affida alcunché, è evidente come, in un simile ragionamento, la proprietà pubblica delle imprese (fra l’altro espressamente tutelata dall’ordinamento costituzionale e comunitario) è vista negativamente in sé, a prescindere da qualsiasi riflessione sulla gestione dei servizi.

Parimenti, nella segnalazione AS446 del 5 marzo 2008 "Interventi di normativa secondaria per la definizione della tariffa del servizio idrico integrato", nella quale l’Autorità esamina alcune iniziative di carattere regionale di aumento delle tariffe del servizio idrico integrato (ferme peraltro da anni), con specifico riguardo alla Regione Puglia, osserva che " .. l’Autorità non può non considerare come l’adozione del prospettato metodo tariffario avverrebbe per di più in presenza di un palese conflitto di interessi, derivante dal fatto che l’ente territoriale risulta essere anche azionista di controllo del soggetto gestore dell’ambito corrispondente all’intero territorio pugliese, ovvero la società Acquedotto Pugliese SpA. Si ricorda come l’Autorità abbia già avuto modo, in una precedente segnalazione, di stigmatizzare le conseguenze anticoncorrenziali derivanti dalla circostanza che enti pubblici locali siano al contempo affidatari di servizi, azionisti della società di gestione e componenti degli organismi chiamati a vigilare la medesima."

Allo stesso modo, nell’Atto di Segnalazione n° 375 del 28 dicembre 2006, avente ad oggetto "Affidamento di servizi pubblici locali aventi rilevanza economica secondo modalità c.d. in house e ad alcuni contenuti della legge delega in materia di tali servizi", l’Autorità sottolinea, nuovamente, gli effetti nefasti del conflitto di interessi degli enti locali (35).

Su cosa possa derivare, anche solo potenzialmente, da tale commistione di interessi, l’Autorità tace, lasciando le conclusioni all’interprete. Ad esempio, si può supporre che, nel caso della Regione Puglia e di Acquedotto Pugliese SpA, secondo l’Autorità il doppio ruolo della Regione indurrebbe un indiscriminato e selvaggio aumento delle tariffe (ferme, si rammenta, al 2001) al (non dichiarabile) fine, di incrementare i profitti della società pubblica controllata.

Allo stesso modo, la commistione proprietaria tra Enti Locali, ATO (che, giuridicamente non rappresenta altro che una mera forma di auto-organizzazione dei primi) e la società di gestione provocherebbe un rischio, quantomeno, di mala gestio, in quanto non vi sarebbe nel controllore (l’ATO) alcuno stimolo a sottoporre a seria verifica un gestore partecipato dai medesimi soggetti che costituiscono l’ATO stesso.

Si tratta di ragionamento induttivo che, a parte il fatto di non essere supportato da alcun dato di esperienza, tralascia un aspetto fondamentale. Gli Enti Locali, quali (art 1 TUEL) enti esponenziali delle relative collettività locali, sono rappresentativi delle stesse, giacchè gli amministratori vengono eletti dalle relative comunità.

Essi sono, quindi, periodicamente soggetti a valutazione politica delle collettività di riferimento, mediante il voto. Non sembra irragionevole osservare come sia abbastanza improbabile che, per favorire un ente da essi stessi controllato, gli amministratori locali possano assumere provvedimenti punitivi proprio per la collettività che li ha eletti.

Qui, a ben vedere, sta il punto debole della ricostruzione logica dell’Autorità: non ci si trova, in realtà, in presenza di situazioni di conflitto di interesse; al contrario – benché si siano, certo, registrate delle distorsioni – l’Ente Pubblico, laddove si determina ad offrire direttamente servizi alla propria comunità lo fa proprio per poter giuocare, dall’interno, un ruolo diretto nella gestione del servizio nella convinzione, giusta o sbagliata che essa sia, di meglio tutelare, in tal modo, gli interessi della collettività di riferimento.

6.2. Ulteriori riflessioni critiche intorno all’Istruttoria dell’Autorità dei Contratti Pubblici. I rapporti con la legislazione di settore, con particolare riguardo al Testo Unico Ambientale.

6.2.1 Aspetti procedimentali dell’istruttoria

Tornando all’istruttoria dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici va evidenziato, in primo luogo, come l’iniziativa in parola sia da ricondursi ai poteri di vigilanza commessi all’Autorità dall’art. 6, settimo comma, del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 12.4.2006 n° 163), secondo cui l’Autorità vigila sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare vigente verificando, anche con indagini campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento.

L’istruttoria medesima si concluderà, ai sensi del comma 13 del predetto art 6, mediante la trasmissione degli atti e dei rilievi dell’Autorità agli organi di controllo. L’Autorità stessa, nelle "Linee guida dell’attività dell’Autorità nel settore degli appalti pubblici e sue prospettive di sviluppo", documento presentato alla VIII Commissione della Camera dei Deputati il 20 giugno 2007, chiarisce quelli che sono i suoi intendimenti circa l’estensione della propria area di competenza nell’ambito della vigilanza sui contratti pubblici, laddove, tra i nuovi compiti che il Codice dei Contratti Pubblici le ha attribuito, ricomprende " il rispetto dei principi comunitari – quali la parità di trattamento, la trasparenza, la concorrenza – per l’affidamento dei contratti " e richiede maggiori spazi anche nei confronti dei servizi pubblici locali (36).

Pur senza volersi addentrare nella questione concernente la sussistenza della competenza dell’Autorità nel settore in esame, corre tuttavia l’obbligo di rilevare che: a) l’art. 5 del D.Lgs n° 163/2006 attribuisce, in effetti, all’Autorità compiti di vigilanza sul rispetto dei principi di correttezza e trasparenza, ma limitatamente alle procedure di scelta del contraente, e il rispetto delle regole della concorrenza dev’essere valutato dall’Autorità nelle singole procedure di gara ; b) la tutela della concorrenza, lungi dal rivestire un significato "più generale" rispetto all’osservanza delle regole in materia di pubblica evidenza, nel quadro della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 sembrerebbe, prima facie, porsi come competenza esclusiva dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato; c) è noto che, ai sensi dell’art. 21 della L. 36/94 (ancora in vigore, in parte qua, ai sensi del Decreto Legislativo 8 novembre 2006 n. 284 - "Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152", che ha espunto dal Testo Unico Ambientale le disposizioni sull’Autorità di Vigilanza delle Risorse idriche), è istituito, presso il Ministero dei lavori pubblici, il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (CoViRI), il quale è fra l’altro deputato a garantire, fra l’altro, nell’ambito della gestione dei servizi idrici, l'osservanza dei princìpi di efficienza, efficacia ed economicità del servizio, della regolare determinazione e del regolare adeguamento delle tariffe, ha poteri ispettivi autonomi e si avvale dell’Osservatorio dei Servizi Idrici, che ha compiti di analisi, fra l’altro, in materia di "modelli adottati di organizzazione, di gestione, di controllo e di programmazione" del servizio idrico (art. 22, comma 1, lett. c. L. 36/94). Il Comitato predispone, nelle materie di propria competenza, una Relazione Annuale al Parlamento che presenta in forma autonoma. Non sembra, in tale quadro, che l’istruttoria in esame possa ritenersi pienamente rispettosa dei limiti delle sfere di competenza amministrativa attribuite dalla legge da un lato all’Autorità per i Contratti Pubblici, e, dall’altro lato, all’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato ed al CoViRI, dal cui "Rapporto sullo stato dei servizi idrici" pubblicato nel marzo 2008 pure l’Autorità prende spunto (37).

Ciò posto, analizzando la delibera n° 16/2008, emergono altri elementi che si prestano ad una lettura critica.

Anzitutto, non può farsi a meno di osservare che, nel corpo della delibera, viene menzionato una sola volta, incidenter tantum, il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 15 (c.d. Testo Unico Ambientale) che, nella Parte III, Sezione III, Titolo II, disciplina il Servizio Idrico Integrato. Al contrario, nella premessa della delibera 16/2008 l’Autorità cita espressamente la Legge 36/94 (abrogata) quale fonte dei compiti di attuazione della riforma dei servizi idrici.

Ed invece, per analizzare correttamente lo scenario giuridico dei servizi idrici integrato non può prescindersi dall’art 150 del citato D.Lgs n° 152/2006 (38) in materia di scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, secondo cui " 1. L'Autorità d'ambito … delibera la forma di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara .... 3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267….."

L’art. 150 citato, quindi, pur rinviando all’art. 113 del TUEL, prevede (innovando le previsioni della precedente Legge Galli) una particolarità rispetto al modello in house, consentito, a differenza della regola generale dell’art. 113 TUEL, solo ove ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche. Non si tratta, a ben vedere, di un modello eccezionale o residuale, ma solo di una fattispecie amministrativa c.d. a motivazione rinforzata. E se ne comprende, peraltro, la ragione, così come si comprendono agevolmente i motivi per cui anche il ddl Lanzillotta aveva escluso dal proprio campo di applicazione proprio i servizi idrici; l’articolazione dell’organizzazione del Servizio idrico sul territorio nazionale è estremamente articolata e complessa, con situazioni molto differenti, geologicamente, sotto il profilo idrografico e dal punto di vista dello stato delle infrastrutture. Occorre, quindi una disciplina che tenga conto di tali particolarità; esemplare, riguardo alle specificità che possono venire in discussione in questa materia, è la vicenda che ha condotto all’impugnativa, da parte del Governo, della Legge della Regione Lombardia n° 18 dell’8 agosto 2006, nonché alla promozione, da parte di un consistente numero di Comuni lombardi, di un referendum abrogativo della stessa Legge (39).

L’Autorità, dopo aver affermato che il contratto tra l’Autorità d’Ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico intergrato è riconducibile ad una concessione di servizi e che, ex art. 30 del Codice dei contratti pubblici le concessioni di servizi sono escluse dall’applicazione del Codice stesso, precisa che, comunque, ai sensi del suddetto art. 30, la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato. L’Autorità individua, quale riferimento specifico per la scelta del soggetto gestore, l’art. 113 del D.Lgs. n° 267/00, al quale, specifica l’Authority, rimanda l’art. 150 del D.Lgs. n° 152/2006.

Come si è visto, tuttavia, quello operato dall’art. 150 del Testo Unico Ambientale non è un mero rimando, ma una specificazione del contenuto dell’art. 113 del D.Lgs. n° 267/00.

Inoltre, e più in generale, sostenere che, rispetto all’art. 30 del Codice dei contratti, l’art. 113 del TUEL si pone come riferimento normativo specifico e settoriale relativo alla scelta del contraente non sembra in linea con i principi generali in materia di gerarchia delle fonti; infatti, il comma 1 dell’art. 113 suddetto prevede che le disposizioni dello stesso sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore quale, appunto, il Codice dei contratti.

Ne discende che, ratione materie, la disciplina dell’affidamento dei S.I.I. dev’essere rinvenuta esclusivamente nell’art. 113 TUEL e nel Testo Unico Ambientale, trovando il Codice dei contratti applicazione meramente residuale; in particolare l’art. 30 citato non parrebbe altro che un richiamo generico ai principi concorrenziali desumibili dal Trattato, e già applicabili ai servizi pubblici in virtù di costante giurisprudenza della Corte di Giustizia (40).

Una lettura delle circostanze maggiormente aderente alla normativa succitata conduce, a ben vedere, a valutare diversamente i casi concreti esaminati dall’Autorità.

Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza (sottolineata dall’Autorità) per cui entrambe le società prese in esame svolgono, per conto degli Enti Locali soci (ma, alcuni, non rientranti nell’ATO, nel caso della Multiservizi SpA) servizi diversi dal Servizio Idrico integrato. Dall’esame del comma 7 dell’art. 151 del D.Lgs. n° 152/2006 (41) ci si avvede che, in realtà, il legislatore ha espressamente inteso consentire al Gestore del S.I.I. (anche in house) di gestire anche altri servizi pubblici con esso compatibili.

Evidente la ratio della norma: al fine di far fruire gli utenti del Servizio Idrico Integrato delle sinergie derivanti dalla gestione congiunta di altri servizi (plausibilmente) a rete, si consente al Gestore di giovarsi di dette sinergie (derivanti, ad esempio, dalla contestuale esecuzione di lavori su reti di tipo diverso).

In un simile contesto, non solo lo svolgimento da parte di Multiservizi SpA di servizi di distribuzione del gas può non essere, in concreto, di rilevanza tale da intaccare la c.d. prevalenza dell’attività nei confronti dell’ente controllante (intesa, come noto, quale svolgimento della parte essenziale, sotto il profilo quantitativo ma anche qualitativo, del soggetto in house), ma, anche sotto il profilo astratto, risulta congruente con gli obiettivi espressi del Legislatore del Testo Unico Ambientale.

Da notare, poi, il rilievo dell’Autorità secondo cui la previsione dello statuto di Multiservizi, nella parte in cui consente l’ingresso nella compagine societaria di altri enti locali che affidino alla società la gestione di servizi di cui sono titolari, "non sembra circoscrivere adeguatamente la proprietà della società ai soli enti locali facenti parte dell’ATO ". Confrontando tale linea interpretativa con quella del TAR Lombardia, Brescia, nella Sentenza n° 148 /2007 (citata alla nota 21, che pone alla Corte di Giustizia la questione se una clausola di inalienabilità delle quote non possa rendere il socio Comune "prigioniero della società", essere quindi affetta da nullità e vanificare, quindi, la stessa previsione statutaria), ne emerge l’evidente antinomia secondo cui, per rispettare i vincoli in house, le società pubbliche sarebbero tenute ad introdurre negli Statuti delle clausole affette da nullità, così contravvenendo proprio ai requisiti Teckal, in un circolo vizioso senza apparente soluzione.

Ciò, soprattutto, se si pone mente a quella attenta giurisprudenza che ha più volte puntualizzato come, nei confronti dei modelli in house di tipo societario, non sia possibile, pena la violazione dei principi fondamentali del diritto societario e lo stravolgimento dei meccanismi di governance che caratterizzano il tipo societario di base previsto dal codice civile (42).

Proseguendo nell’analisi, la delibera dell’Autorità trae largo spunto, per quanto attiene alla qualificazione del modello in house quale ipotesi del tutto eccezionale e residuale, alla Circolare del Ministero dell’Ambiente del 6 dicembre 2004, avente ad oggetto "Affidamento in house del servizio idrico integrato" (43).

Non pare il caso in questa sede di approfondire l’argomento dell’efficacia giuridica attribuibile alla citata Circolare, già esaustivamente ed autorevolmente esaminato (44).

Corre però l’obbligo di rammentare, al riguardo, che attenta dottrina ha da tempo chiaramente evidenziato come la predetta circolare non possa, propriamente, ritenersi fondata su basi giuridiche solidissime (45) .

 

6.3 La procedura di infrazione n° IP 08/502 promossa dalla Commissione Europea; esame delle disposizioni statutarie della Multiservizi SpA.

Richiamando quanto si accennava poc’anzi circa il rapporto tra il requisito del controllo analogo e la forma societaria del soggetto affidataria del servizio, proprio con riferimento al caso della Multiservizi SpA e dell’ATO 2 Marche Centro Ancona, si rileva anche l’avvio della Procedura di Infrazione n° IP/08/502 del 3 aprile 2008 da parte della Commissione Europea.

La Commissione contesta, fra l’altro, che i poteri conferiti ad ogni Comune in quanto proprietario di minoranza sarebbero insufficienti per esercitare un controllo analogo a quello da essi esercitato sui rispettivi servizi e che, nonostante i poteri supplementari conferiti all’assemblea degli azionisti dallo Statuto della Multiservizi, il consiglio di amministrazione della società conserva una notevole autonomia di gestione( oltre alla circostanza, già rilevata dall’Autorità, che la Mutiservizi svolge una serie di servizi diversi dal servizio di gestione dell’acqua).

Rinviando a quanto si dirà tra un attimo riguardo al controllo congiunto da parte di più amministrazioni nell’ambito del diritto comunitario, sembra utile un rapido sguardo alle disposizioni che, in accordo con l’ATO 2 e proprio per soddisfare i requisiti Teckal, sono state introdotte nello Statuto di Multiservizi SpA ed approvate con deliberazioni dell’Assemblea Consortile n° 3 del 26 maggio 2005 e n° 4 del 30 giugno 2005.

All’art. 5 (oggetto sociale) dello Statuto, al comma 7, si legge "La società è tenuta a realizzare e a gestire in favore degli enti locali soci le attività ed i servizi di cui al 1° comma… in misura non inferiore all’80% dei ricavi risultanti dal conto economico del bilancio di esercizio di ogni anno, ai sensi dell’art. 2425, 1° comma, lettera A1) c.c.".

Posto che l’eventuale violazione, da parte degli amministratori, di tale clausola statutaria va ritenuta improbabile, giacchè darebbe luogo ad azione di responsabilità nei confronti degli amministratori stessi, il requisito della prevalenza dell’attività parrebbe essere senz’altro soddisfatto, in quanto basato sul noto parametro analogico tratto dall’art. 218, comma 3 del Codice dei Contratti Pubblici e dall’art. 23 della Direttiva 2004/17 (cfr. art. 13, direttiva 93/38/CEE), che legittimano l’affidamento diretto di servizi alle imprese comuni o ad imprese collegate su cui l’ente aggiudicatore possa esercitare un’influenza dominante, a condizione tali soggetti fatturino almeno l’80% del proprio fatturato medio con l’Ente controllante. Si tratta di un parametro analogico condiviso da molti che è stato utilizzato anche da autorevole dottrina (46) quale indicatore del rispetto del requisito in parola (anche se, successivamente, sono stati via via introdotti parametri di tipo più marcatamente qualitativo).

Ciò posto, le ulteriori previsioni statutarie circa le varie attività gestibili dalla società, e l’area territoriale di azione, non sembrerebbero tali da inficiare, nel caso di specie, il requisito in parola.

Va, poi, osservato che, in base all’art. 8 dello Statuto (trasferimento di azioni e diritto di prelazione) il trasferimento delle azioni (47) ad Enti Locali diversi dai soci (ma che comunque affidino alla società dei servizi) è possibile solo qualora nessun Ente Locale socio eserciti il diritto di prelazione (48).

Ai sensi dell’art. 25, primo comma, dello Statuto della Multiservizi SpA, in effetti, il Consiglio di Amministrazione è investito di "tutti i poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società, senza eccezioni di sorta"; questa, principalmente, sembrerebbe essere la disposizione statutaria su cui si è appuntata l’attenzione della Commissione nell’eccepire la mancanza del controllo analogo.

E, tuttavia, anche in questo caso il rilievo appare di segno prettamente formalistico, privo di reale sostanza nella misura in cui denota una totale noncuranza delle peculiarità del diritto societario italiano.

L’ampiezza dei poteri del Consiglio di Amministrazione, è noto, viene prevista negli Statuti delle Società per Azioni in quanto : a) per il nuovo diritto societario il Consiglio di Amministrazione è, in base al codice civile, l’esclusivo organo di gestione della società, dovendosi quindi dubitare seriamente della legittimità di disposizioni statutarie che ne svuotino i poteri; b) si intende in tal modo evitare che operazioni societarie anche di rilievo possano non andare a buon fine in seguito ad un’eventuale eccezione di carenza di potere gestorio in capo al Consiglio.

Analizzando, con un approccio sostanziale, l’art 17 quarto comma dello Statuto della Multiservizi (relativo alle competenze dell’Assemblea), ci si avvede che, fra l’altro, all’Assemblea competono: l’approvazione degli indirizzi generali concernenti le strategie e le politiche economiche e finanziarie e di sviluppo della società; l’approvazione del budget, comprensivo della relazione revisionale e programmatica contenente i programmi di investimento nonché il piano industriale annuale; la verifica dell’andamento della gestione mediante l’illustrazione del preconsuntivo; l’approvazione dei criteri di nomina del Direttore Generale.

In quest’ottica, che per una Società per Azioni sembra francamente al limite dello spirito del Codice Civile in ordine ai poteri di gestione della società, non si comprende, davvero, in cosa potrebbe consistere la "notevole autonomia di gestione " del Consiglio se non in una clausola quasi di stile, dato che, nella pratica, ogni atto gestionale del Consiglio, dovrà trovare la propria puntuale base in un preventivo atto di pianificazione (anche estremamente di dettaglio, come il piano industriale annuale) approvato dall’Assemblea.

Si noti, per di più che, ai sensi dell’art. 18, comma 2, dello Statuto della Multiservizi SpA, per alcune delle materie prima illustrate l’Assemblea delibera a maggioranza dei soci presenti in assemblea, secondo, quindi il c.d. principio nominalistico (o capitarlo, tipico delle cooperative) in luogo di quello, proprio delle società di capitali, capitalistico. Inutile sottolineare come una simile impostazione (financo ardita, in materia di società di capitali) abbia l’obiettivo di favorire la configurazione del controllo analogo, incrementando il potere deliberativo dei soci con una percentuale ridotta di capitale. Non sembra corretto, alla luce del diritto societario italiano, che ciò non venga tenuto in debita considerazione.

 

7 . Le recenti evoluzioni a livello comunitario: la sentenza ASEMFO, le conclusioni dell’Avvocato Generale Verica Trstenjak ed il recente Regolamento CEE n° 1370/07 in materia di trasporto pubblico di passeggeri.

7.1 La sentenza Asemfo.

In un contesto generale che parrebbe, quindi, riservare al modello dell’in house providing un ruolo sempre più marginale, si sono tuttavia registrati atti giuridici, a livello comunitario, che parrebbero suscettibili di gettare una luce diversa, e forse più equilibrata, sulla questione.

La Corte di giustizia europea, Sez. II, con Sentenza 19/4/2007 n. C-295/05, nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna), in una controversia avente ad oggetto una causa fra l’Asociación Nacional de Empresas Forestales ("Asemfo") e l’Administración del Estado relativamente ad una denuncia concernente il regime giuridico della Transformación Agraria SA ("Tragsa"), ha enunciato una serie di principi innovativi ed estremamente significativi.

In particolare, la Corte ha statuito che le direttive comunitarie sugli appalti "… non ostano ad un regime giuridico quale quello di cui gode la Transformación Agraria SA, che le consente, in quanto impresa pubblica operante in qualità di strumento esecutivo interno e servizio tecnico di diverse amministrazioni pubbliche, di realizzare operazioni senza essere assoggettata al regime previsto dalle direttive in parola, dal momento che, da un lato, le amministrazioni pubbliche interessate esercitano su tale impresa un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi e che, dall’altro, la detta impresa realizza la parte più importante della sua attività con le amministrazioni di cui trattasi".

La pronuncia, a prima vista, parrebbe in linea con la costante giurisprudenza della Corte in materia di in house providing.

L’esame della fattispecie, peraltro, conduce a conclusioni differenti.

Ai sensi dell’art. 88 della regio decreto spagnolo n° 66/1997, intitolato "Regime giuridico", la Tragsa è una società statale , al cui capitale sociale le comunità autonome possono partecipare. L’art. 3 del detto regio decreto, dispone, inoltre, che "La Tragsa e le sue controllate rappresentano uno strumento esecutivo interno e un servizio tecnico dell’amministrazione generale dello Stato e delle amministrazioni di ognuna delle comunità autonome interessate. I vari dipartimenti o ministeri delle comunità autonome delle amministrazioni pubbliche in questione, così come gli organismi pubblici da esse dipendenti e gli enti di qualsiasi natura ad esse connessi ai fini della realizzazione dei loro piani d’intervento, possono incaricare la Tragsa o le sue controllate dei lavori e delle attività necessarie per l’esercizio delle loro competenze e missioni, nonché dei lavori e delle attività complementari o accessorie conformemente al regime stabilito dal presente regio decreto. 2. La Tragsa e le sue controllate devono realizzare i lavori e le attività loro affidati dall’amministrazione."

La Tragsa, pertanto, non ha discrezionalità nell’accettare o meno gli incarichi di volta in volta affidati dalle amministrazioni che la controllano; ciò, invero, non sembrerebbe costituire altro che un ulteriore indice della "totale dipendenza" dalle medesime.

Sennonché, proseguendo nell’analisi della sentenza, emerge che ".. il 99% del capitale sociale della Tragsa è detenuto dallo Stato spagnolo stesso, per mezzo di un’impresa di partecipazione e di un fondo di garanzia, e che quattro comunità autonome, ognuna delle quali in possesso di un’azione, detengono l’1% di detto capitale."

La Corte di Giustizia desume, peraltro, una conclusione che, alla luce dei principi sinora noti, appare sorprendente: " …sembra quindi che la Tragsa non possa essere considerata come un terzo rispetto alla comunità autonome che detengono una parte del suo capitale sociale..".

All’obiezione che, in tal modo, non verrebbe soddisfatto, riguardo alle comunità autonome, il requisito del controllo analogo, la Corte così replica: " A tale riguardo, non può essere accolta la tesi secondo la quale la condizione di cui trattasi sarebbe soddisfatta solamente rispetto agli appalti effettuati su incarico dello Stato spagnolo, con esclusione di quelli oggetto di incarichi delle comunità autonome, rispetto alle quali la Tragsa dovrebbe essere considerata come un terzo. Pare, infatti, discendere dagli artt. 88, n. 4, della legge 66/1997 e 3, nn. 2-6, e 4, nn. 1 e 7, del regio decreto 371/1999 che la Tragsa è tenuta ad eseguire gli incarichi ad essa affidati dalle amministrazioni pubbliche, comunità autonome incluse. Sembra altresì evincersi da tale normativa nazionale che, come per ciò che concerne lo Stato spagnolo, nell’ambito delle sue attività con queste ultime in quanto strumento esecutivo interno e servizio tecnico, la Tragsa non ha la possibilità di stabilire liberamente il costo dei suoi interventi e che i suoi rapporti con le dette comunità non sono di natura contrattuale."

Pertanto, a giudizio della Corte, una percentuale di partecipazione dell’1% sarebbe sufficiente a configurare la sussistenza di un rapporto in house, sia pur sul presupposto che il soggetto affidatario non abbia la facoltà di interloquire in ordine all’affidamento dell’incarico, al suo oggetto ed al prezzo.

E se ne comprende la ratio sottostante: in realtà, come chiarito fin dalla sentenza Teckal, il rapporto tra il soggetto in house e l’ente pubblico è un rapporto di natura non contrattuale, distinto dai contratti a titolo oneroso tra due parti contraenti autonome.

Ciònondimeno, si ribadisce, tale orientamento sorprende, soprattutto se confrontato con altre pronunce della Corte in cui l’esiguità della partecipazione al capitale del soggetto affidatario aveva fatto escludere della sussistenza di un rapporto in house (49).

Peraltro, (in apparenza) ancor più sorprendentemente la Corte conclude riguardo al requisito c.d. della prevalenza dell’attività : "Per quanto riguarda la seconda condizione, relativa alla circostanza che la parte essenziale dell’attività della Tragsa dev’essere realizzata con l’ente o gli enti pubblici che controllano detta società, dalla giurisprudenza risulta che, nel caso in cui diversi enti locali detengano un’impresa, la condizione in parola può essere soddisfatta qualora l’impresa in questione svolga la parte più importante della propria attività non necessariamente con questo o quell’ente locale ma con tali enti complessivamente considerati..... la Tragsa realizza mediamente più del 55% della sua attività con le comunità autonome e circa il 35% con lo Stato. Appare dunque che la parte più importante dell’attività della società di cui trattasi è realizzato con gli enti e gli organismi pubblici che la controllano. Alla luce di quanto precede, e con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, va rilevato che le due condizioni richieste dalla giurisprudenza …ricorrono nel caso di specie."

La Corte, quindi (richiamato il precedente orientamento secondo cui la prevalenza dell’attività va considerata avendo riguardo al complesso degli enti controllanti, orientamento, peraltro, che, prima facie, non si sarebbe certo detto attagliarsi al caso della Tragsa) propende per la sussistenza di un legame in house tra un soggetto e degli enti che ne detengono appena l’1% del capitale e nei cui confronti il soggetto realizza il 55% del proprio fatturato.

Ne discende, fra l’altro, in punto di logica che Tragsa deve considerarsi in house, a fortiori, anche nei confronti dello Stato Spagnolo che, come si è visto, la controlla al 99% ma nei cui confronti la società realizza solo il 35% del proprio fatturato e, soprattutto, che la controlla per il tramite di un fondo (50).

La Corte, in altri termini, attribuisce in questo caso maggiore rilevanza ad aspetti sostanziali (l’obbligo di eseguire gli incarichi ad un tariffario prefissato) piuttosto che alla (ir)rilevanza della quota di capitale detenuta dagli enti locali e ad una composizione del fatturato aziendale da cui non può assolutamente inferirsi che si tratti della parte essenziale dell’attività della Tragsa (51).

7.2 Le Conclusioni dell’Avvocato Generale Verica Trstenjak, del 4/6/2008 nella Causa n. C-324/07

L’Avvocato Generale Verica Trstenjak, nelle Conclusioni rassegnate il 4/6/2008 nella Causa n. C-324/07, ha effettuato una ricostruzione dei principi in materia di in house providing assolutamente in linea con i canoni di ragionevolezza ed attenzione alla particolarità delle fattispecie concrete che sono necessarie per un corretto approccio al problema.

La causa principale vede ricorrente la S. A. Coditel Brabant e tre convenuti: il Comune di Uccle, la società cooperativa Société Intercommunale pour la Diffusion de la Télévision ("Brutélé") e la Région de Bruxelles-Capitale. Il 23 novembre 2000, il consiglio comunale di Uccle ha statuito di associare il Comune alla Brutélé, non aderendo ad un’offerta avanzata, in gara, da Coditel. Brutélé aveva presentato al Comune di Uccle un’offerta di ingresso nella propria compagine sociale, che prevedeva il conferimento all’attivo della rete comunale con sottoscrizione di quote societarie, il pagamento di un canone annuo, nonché l’offerta al Comune di costituire un suo sotto settore di gestione con autonomia decisionale. Nella sua delibera, il consiglio comunale motivava che l’associazione alla Brutélé presentava numerosi vantaggi per il Comune: autonomia decisionale, introiti considerevoli, mantenimento della proprietà della rete, nonché un accordo che avrebbe permesso, ove necessario, di uscire facilmente dalla società. Con decisione del 3 luglio 2007 il Conseil d’État Belga ha sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee una serie di questioni pregiudiziali aventi ad oggetto la legittimità di un simile affidamento alla luce del diritto comunitario, con particolare riguardo ai principi in materia di in house providing (52).

Circa la Società Intercomunale Brutelè, da un rapido esame del Rapport 2006 presente sul sito web della stessa, emerge che:

14 si tratta di una Società Intercomunale, di capitali, composta da trenta Comuni, sei nella Regione di Bruxelles e ventiquattro nella Regione Wallonne et l’AIESH;

15 il Comune di Uccle detiene soltanto l’8,26% delle quote sociali della Brutélé (76 quote sociali su un totale di 920).

16 la Brutélé offre i suoi servizi quali teledistribuzione, telefonia e Internet (con propria rete in fibra ottica; al riguardo, in concorrenza con altri operatori privati, Brutelè ha partecipato ad una selezione per l’acquisto di reti in fibra ottica da parte di alcune società comunali, grazie anche ad un rilevante sforzo degli azionisti (53)) su base commerciale e in concorrenza con altri offerenti privati: dispone di circa 300.000 clienti privati e realizza una cifra d’affari, con tale clientela privata, di circa 58 milioni di euro l’anno al 31.12.2006.

Secondo l’Avvocato generale Il fatto che tale cooperativa sia costituita esclusivamente da comuni e associazioni tra comuni (o enti pubblici), senza alcun ricorso a capitale privato, indica, sostanzialmente, che il requisito dell’esercizio di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è soddisfatto. L’Avvocato Generale ha, altresì affermato, che il controllo esercitato per il mero tramite degli organi statutari della società intercomunale, costituiti da rappresentanti dei comuni e delle associazioni tra comuni che deliberano a maggioranza, è da intendersi quale controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

La ricorrente Coditel ha eccepito che, in base alla esigua quota di capitale sottoscritta in Brutelè dal Comune di Uccle ed alla struttura interna della Brutélé (sostanzialmente analoga alla struttura interna di una impresa privata) il Comune di Uccle non avrebbe la possibilità di controllare la Brutélé.

In via preliminare, l’Avvocato Generale afferma che "la cooperazione intercomunale pura, sebbene non a priori, non necessita, di regola, di una gara d’appalto. L’analisi giuridica ha chiarito che la cooperazione intercomunale pura non è, in linea di principio, assoggettabile ad una procedura di aggiudicazione, salvo intervengano particolari circostanze atte a dimostrare che l’ente intercomunale ha acquisito una vocazione commerciale e un’autonomia tali da superare i limiti entro i quali una cooperazione intercomunale volta all’adempimento degli obblighi di interesse generale non è assoggettabile al diritto in materia di aggiudicazione di appalti."

L’Avvocato Generale, al riguardo, ritiene di precisare che incombe ai giudici nazionali, nella fattispecie al giudice del rinvio, valutare tali circostanze nel caso concreto; del resto, la necessità di valutare con attento esame del caso concreto la sussistenza dei requisiti Teckal è stata di recente ribadita anche da accorta dottrina, che ha esaminato alcune pronunce giurisprudenziali in apparenza contraddittorie (54).

Secondo l’Avvocato Generale, nel caso di specie il requisito del controllo può dirsi rispettato, in quanto le decisioni interne a Brutelè vengono assunte grazie l’influenza collettiva degli enti locali partecipanti, esercitata a maggioranza, sia in assemblea, sia nel consiglio di amministrazione.

Si tratta, anche in questo caso, di un’affermazione che, almeno in parte, si pone in linea contraria rispetto a quella giurisprudenza che nega, la caso di partecipazioni esigue, la sufficienza di un meccanismo di governance a maggioranza ad assicurare il grado di controllo richiesto per la sussistenza di un rapporto in house.

Quanto alla "vocazione commerciale" della Brutélé, l’Avvocato Generale si limita ad indicare come essa risponda ad esigenze di interesse generale, quali la teledistribuzione, la telefonia e Internet: "…nel presente contesto è irrilevante che la Brutélé offra i suoi servizi commercialmente all’utenza e che, di conseguenza, si ponga automaticamente in concorrenza con altri offerenti privati."

Ancor più significative, peraltro, sono poi, sono le considerazioni che l’Avvocato Generale svolge in merito al valore, in generale, della cooperazione intercomunale, in quanto sembrano improntate ad un reale rispetto dei principi generali dell’ordinamento comunitario in ordine alle autonomie locali, esposti al principio della presente trattazione.

Così, al riguardo, l’A.G. Trstenjak : "La legislazione sugli appalti pubblici è e resta uno degli strumenti politici più influenti..per il processo di integrazione europea. Si tratta, tuttavia, di un potenziale che non va utilizzato in maniera sconsiderata. Se, come proposto dal giudice del rinvio, dalla Coditel e dalla Commissione, si esigesse una «ampia autonomia decisionale» del comune interessato, da intendersi nel senso che esso eserciti il «pieno potere» sulla rispettiva cooperazione intercomunale (nel presente procedimento, il potere sulla cooperativa), non vi sarebbe praticamente più futuro per le cooperazioni intercomunali. Una delle caratteristiche importanti di una vera cooperazione consiste, infatti, nell’adozione paritetica delle delibere e non nella supremazia di uno solo dei soci partecipanti alla cooperazione. Dalle posizioni assunte dalla Coditel e dalla Commissione nel corso del procedimento e dell’udienza si evince che entrambe le parti interessate abbozzano criteri secondo i quali, in realtà, un singolo ente locale dovrebbe esercitare, per così dire, da solo il controllo su di una cooperazione. Orbene, è evidente che in una simile circostanza non si può parlare di una vera cooperazione o collaborazione. Ciò renderebbe impraticabile, lo ricordo, anche una cooperazione intercomunale pura. Gli enti locali operanti in cooperazioni intercomunali dovrebbero in tal caso sempre fare i conti con l’obbligo di affidare l’esecuzione dei loro servizi a terzi privati migliori offerenti, fatto che equivarrebbe ad una privatizzazione dei servizi di interesse generale, imposta utilizzando gli strumenti del diritto in materia di aggiudicazione degli appalti Un’interpretazione tanto restrittiva del primo requisito Teckal accorderebbe una preponderanza inadeguata agli obiettivi del diritto della concorrenza e inciderebbe, al contempo, in modo eccessivo sull’autonomia amministrativa dei comuni e, di conseguenza, sulla competenze degli Stati membri .

L’Avvocato Generale aggiunge che "gli stessi Comuni devono decidere se adempiere ai compiti di interesse pubblico loro incombenti mediante propri strumenti amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligati a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi, ovvero se adempiere agli stessi con l’ausilio di un ente da essi giuridicamente distinto, che agirebbe in qualità di amministrazione aggiudicatrice o concedente. Se essi scelgono la seconda alternativa, sono di nuovo liberi di adempiere a tali loro essenziali compiti limitandosi ad esercitare autonomamente i propri poteri ovvero agendo in «pura» cooperazione con altre autorità pubbliche" mantenendo un «controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi» ed escludendo l’applicazione delle norme comunitarie in materia di aiuti di stato o di appalti pubblici".

Di rilievo, anche se sembrerebbe scontata, appare la considerazione secondo cui è talora arduo per i Comuni e per gli enti locali in genere portare a compimento i molteplici compiti tradizionali e nuovi concezione loro incombenti, soprattutto per i più piccoli tra loro ed in tempi di budget ridotti. In questa luce, conclude l’Avvocato Generale "..si spiega quindi la necessità del ricorso alla cooperazione intercomunale per via dei suoi effetti sinergici, quale strumento di efficace e conveniente fornitura dei servizi pubblici" .

7.3 Il Regolamento CEE n° 1370/07 in materia di trasporto pubblico di passeggeri.

Il 3 dicembre 2007 è stato pubblicato Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (L. 315/1) il Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23/10/07 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.

Il Regolamento entrerà in vigore il 3 dicembre 2009, in base all’art. 12 dello stesso; sino a tale data, quindi, continuerà a trovare applicazione la normativa previgente (Regolamento n. 1191/1969 e, per quanto attiene alla normativa nazionale, D.Lvo n° 422/1997 e successive modifiche).

In via preliminare, è opportuno rammentare che i Regolamento comunitari hanno le caratteristiche tipiche, nel nostro ordinamento, della legge. Hanno portata generale, nel senso che non si rivolgono a soggetti determinati, ma pongono norme generali ed astratte; sono obbligatori in tutti i loro elementi, nel senso che non possono essere applicati solo parzialmente nei singoli Stati (salvo che non sia il Regolamento stesso a prevederlo); è, infine, caratteristica più importante, il Regolamento è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (55).

Diretta applicabilità significa che non occorre (ma non è neppure ammesso) un’atto dello Stato che ne ordini l’esecuzione nell’ordinamento nazionale, perché il Regolamento si impone per forza propria, e la sua applicazione è obbligatoria per tutti, compresi i giudici e la pubblica amministrazione.

Non è questa la sede per una compiuta disamina della disciplina introdotta dal Regolamento, peraltro già oggetto di autorevole commento, cui si rinvia (56).

Per quanto qui interessa, corre tuttavia l’obbligo di rimarcare come, in un atto normativo cogente della Comunità Europea, siano contenute una serie di previsioni che, sia pure rivolte al servizio di trasporto passeggeri, paiono in realtà espressione di un principio più generale.

Si legge, anzitutto, nei considerando del Regolamento "18) Fatte salve le pertinenti disposizioni della legislazione nazionale, ogni autorità locale o, in assenza di questa, ogni autorità nazionale può decidere se fornire essa stessa i servizi pubblici di trasporto di passeggeri nel suo territorio o se affidarli a un operatore interno senza ricorrere a procedure di gara. Tuttavia, per garantire eque condizioni di concorrenza, questa facoltà di autoprestazione deve essere soggetta a controlli rigorosi. Il necessario controllo dovrebbe essere esercitato dall’autorità competente o da un gruppo di autorità competenti che forniscano servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri in modo collettivo o tramite i propri membri. Inoltre, un’autorità competente che fornisca i propri servizi di trasporto o un operatore interno non dovrebbero poter partecipare a procedure di gara al di fuori del territorio della suddetta autorità. L’autorità che controlla l’operatore interno dovrebbe anche poter vietare a quest’ultimo di partecipare a gare organizzate nel suo territorio."

Conseguentemente, nell’articolato, dopo aver definito (art. 2, lett. j) l’"Operatore Interno (soggetto giuridicamente distinto dall’autorità competente, sul quale quest’ultima o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi) , il Regolamento (art. 5, comma 2), prevede che:

"2. A meno che non sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti a livello locale, si tratti o meno di un’autorità singola o di un gruppo di autorità che forniscono servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri, hanno facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l’autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture. Se un’autorità competente a livello locale assume tale decisione, si applicano le seguenti disposizioni:

a) al fine di determinare se l’autorità competente a livello locale esercita tale controllo, sono presi in considerazione elementi come il livello della sua rappresentanza in seno agli organi di amministrazione, di direzione o vigilanza, le relative disposizioni negli statuti, l’assetto proprietario, l’influenza e il controllo effettivi sulle decisioni strategiche e sulle singole decisioni di gestione. Conformemente al diritto comunitario, la proprietà al 100 % da parte dell’autorità pubblica competente, in particolare in caso di partenariato pubblico-privato, non è un requisito obbligatorio per stabilire il controllo ai sensi del presente paragrafo, a condizione che vi sia un’influenza pubblica dominante e che il controllo possa essere stabilito in base ad altri criteri;

b) il presente paragrafo si applica a condizione che l’operatore interno e qualsiasi soggetto sul quale detto operatore eserciti un’influenza anche minima esercitino le loro attività di trasporto pubblico di passeggeri all’interno del territorio dell’autorità competente a livello locale, escluse eventuali linee in uscita o altri elementi secondari di tali attività che entrano nel territorio di autorità competenti a livello locale vicine, e non partecipino a procedure di gara per la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri organizzate fuori del territorio dell’autorità competente a livello locale;

..e) in caso di subappalto ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 7, l’operatore interno è obbligato a prestare egli stesso la maggior parte dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri in questione."

Sembra significativo che proprio da un atto legislativo della Comunità (che, peraltro, prevede la possibilità per gli Stati membri di vietare il ricorso all’autoproduzione) sia possibile enucleare una serie di principi che si pongono in linea di assoluta continuità con quanto si qui esposto.

Ed infatti, sintetizzando:

17 la possibilità di ricorrere all’autoproduzione ("Operatore interno) rappresenta una facoltà per gli Enti Locali;

18 perché un’Autorità possa legittimamente ricorrere a tale modello deve ricorrere il requisito del controllo analogo di cui, per la prima volta a livello legislativo, viene tentata una esemplificazione degli indici rivelatori (57), individuati in a) livello di rappresentanza dell’ente negli Organi di Amministrazione e direzione b) disposizioni degli Statuti c) influenza e controllo su decisioni strategiche e sulle singole decisioni di gestione (indicazione, questa, che presenta qualche elemento di novità);

19 estremamente significativo appare come, contrariamente alla giurisprudenza comunitaria e nazionale, si definisca come requisito non obbligatorio il 100% del capitale in capo all’autorità pubblica competente;

20 nel caso di più Autorità associate, è sufficiente che il controllo analogo sia esercitato da almeno una di esse;

21 L’Operatore Interno deve prestare egli stesso la maggior parte dei servizi oggetto dell’affidamento.

La Comunità Europea, quindi, sembrerebbe avviata verso un percorso di riconoscimento del fenomeno dell’auto – produzione dei servizi di interesse economico generale da parte delle autorità locali, sia pure prefissando rigorosi limiti di carattere sostanziale. A ben vedere, ciò sembrerebbe confermare che, come si tentava di sostenere più sopra, l’eccezionalità dell’in house providing non pare legata tanto a quella una sorta di devianza dal generale principio della concorrenza che esso rappresenterebbe, bensì dall’esigenza di delineare contorni sufficientemente precisi per il ricorso all’istituto, in modo, certamente, da evitare distorsioni ma, al contempo, di facilitare le scelte di quegli enti che scelgano di avvalersene.

 

8 . Conclusioni.

Da quanto emerso dal presente lavoro, sembrerebbe di poter affermare, in conclusione, che:

- l’ordinamento comunitario tutela e preserva l’autonomia degli enti locali, particolarmente con riferimento alla facoltà ad essi riconosciuta di associarsi per gestire direttamente, al proprio interno anche se tramite strutture giuridiche distinte, i servizi di interesse economico generale;

- pare collidere con i principi generali dell’ordinamento comunitario e costituzionale un approccio alle realtà in house basato su criteri meramente formalistici, dovendosi invece avere riguardo alla realtà sostanziale dei diversi casi concreti;

- l’ordinamento comunitario non impone una privatizzazione totale ed indiscriminata dei servizi di interesse economico generale, lasciando al contrario ai singoli Stati ed alle autonomie locali la scelta circa l’organizzazione di tali servizi;

- una regolamentazione, in particolare, del Servizio idrico Integrato, materia che alla luce dell’esperienza gestionale e giuridica richiede particolare attenzione alle specificità locali ed alla capacità delle Regioni di strutturare una normativa maggiormente aderente alle diverse ipotesi concrete;

- la materia della libera concorrenza rappresenta – ancora oggi - un tema solo apparentemente connesso a quello delle gestioni in house che, in realtà, si fondano sul diverso principio della libertà di autoorganizzazione degli enti locali e di autoproduzione dei servizi; il doppio ruolo (controllato – controllore) svolto dagli Enti Locali che auto producono i servizi, da taluni percepito come negativo in sé, a ben vedere non è altro che l’estrinsecazione materiale della scelta di un Ente che, liberamente ed essendo soggetto al giudizio politico della collettività di riferimento, ha inteso intervenire direttamente nell’assicurazione, ai propri amministrati, di una serie di servizi pubblici.

Note:

1) In via di estrema sintesi, circa la figura dell’in house providing, ci si limita a richiamare l’art. 113, comma 5°, lettera c) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che legittima il "conferimento della titolarità del servizio: … c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano" , replicando letteralmente il contenuto della notoria sentenza Teckal della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

2) Si veda, al proposito, il perspicuo commento di G. Guzzo, Servizi pubblici locali e tutela della concorrenza (note a margine del DDL relativo alla Legge Finanziaria 2009), in www.dirittodeiservizipubblici.it, che, dopo aver esattamente osservato come la disposizione in materia di SpA miste è suscettibile di aver vita assai breve, alla luce dell’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia operata dal TAR Catania con provvedimento n° 164/08, ed aver sottolineato che il DDL prevede, addirittura, l’abrogazione dell’art. 113 bis del D.Lgs n° 267/00, già dichiarata incostituzionale dalla Consulta, evidenzia che "..viene da chiedersi se una norma del genere che sottrae alla PA la possibilità di scegliere tra diverse forme di gestione di un servizio pubblico locale e, dunque, di autodeterminarsi nell’esercizio delle proprie funzioni non si ponga in contrasto sia con i principi costituzionali di buon andamento, di economicità e di efficienza dell’azione amministrativa codificati dall’art. 97 della Carta che con quello di sussidiarietà fissato dall’art. 118." Oltre che, si aggiunga, con il principio costituzionale di autonomia degli Enti Locali sancito dagli art. 5, 114, 118 e 119 Cost.

3) Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 aprile 1998 n° 477, secondo cui "L'organizzazione autonoma delle pubbliche amministrazioni rappresenta un modello distinto ed alternativo rispetto all'accesso al mercato ..... La tutela comunitaria del mercato non interferisce sino a disconoscere ai singoli apparati istituzionali ogni margine di autonomia organizzativa nell’approntare la produzione e l’offerta dei servizi e delle prestazioni di rispettiva competenza. Pertanto non si spinge sino a giustificare un sindacato sulle scelte legislative o amministrative che consentano ai pubblici poteri, nel produrre ed offrire servizi o beni, di optare per schemi di coordinamento e formule organizzatorie, teoricamente alternative rispetto all’acquisizione delle prestazioni destinate alla collettività per il tramite del mercato. Se la costituzione di un soggetto dedicato è idonea a garantire economie di scala, riduzione dei costi o razionalizzazione del bacino di utenza, l’opzione dell’ente locale non potrebbe esporsi ad alcuna censura solo perché escludente il ricorso al confronto competitivo. …..Il ricorso alla produzione privata, disciplinato da regole di salvaguardia della concorrenza e l’esercizio del potere di organizzazione, sottratto ai vincoli concorsuali o concorrenziali validi per il ricorso al mercato, costituiscono due schemi distinti che vanno preservati da ogni equivoca commistione".

4) Così, infatti, recita la bozza di articolato con riferimento all’affidamento in house : 4. In deroga alle modalità ordinarie di affidamento indicate al comma 3(che sono la gara e la società mista: Ndr), la gestione del servizio può essere assegnata a società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house e, in particolare, nei confronti delle quali l'ente proprietario eserciti un controllo analogo a quello che esercita nei confronti dei propri uffici, nelle sole situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato. In tale caso l'ente locale deve dare adeguata pubblicità alla relativa determinazione, motivandola in base ad un'analisi di mercato e ad una valutazione comparativa con l'offerta privata, e trasmettere una relazione, contenente gli esiti delle predette verifiche, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, che esprimono il loro parere nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Alle società in house si applicano le procedure di selezione pubblica del personale e quelle ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi.

5) Si segnala, inoltre – senza voler entrare nel merito dei contenuti del disegno di legge - , la Proposta di Legge n° 948, d’iniziativa dell’On. Linda Lanzillotta, recante "Disciplina dei servizi pubblici locali", presentata il 9 maggio 2008;

6) Che consiste, in realtà, nell’individuare un perimetro ragionevole, non meramente formale e rispettoso per quanto possibile dell’autonomia degli enti locali, del legame che deve intercorrere tra l’Ente Pubblico ed il soggetto in house, particolarmente con riguardo al profilo del c.d. controllo analogo, senza peraltro agevolare elusioni ma, al contempo, senza renderne impraticabile la concreta attuazione.

7) E, secondo alcuni, ormai anche nell’ordinamento giuridico nazionale, in virtù del recepimento automatico della normativa comunitaria operato per il tramite dell’art. XX della Costituzione

8) Si farà, qui, riferimento alla versione del Trattato istitutivo della Comunità europea attualmente in vigore, ossia come modificato dal Titolo II (art. G) del Trattato di Maastricht, dal Trattato di Amsterdam e dal Trattato di Nizza, essendo il Trattato di Lisbona attualmente in corso di ratifica; laddove ci si riferisca, comunque, ad articoli modificati dal Trattato di Lisbona, si darà conto in nota della nuova numerazione;

9) Art 14 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea come modificato dal Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 a Lisbona.

10) Art. 106 nella versione consolidata successiva al Trattato di Lisbona

11) Per un analisi compiuta e dettagliata delle origini e del portato di tali disposizioni si veda l’esaustiva disamina di L. Tessarolo, "I servizi pubblici e la tutela comunitaria della concorrenza" nella rivista online Diritto dei Servizi Pubblici

12) Cristallizzata nella nota sentenza della Corte del 19 maggio 1993 nella causa C-320/91, Corbeau/Regie des postes

13) Che sono quei servizi, di natura economica, che assolvono missioni di interesse generale e sono quindi assoggettati dagli stati membri a specifici obblighi di servizio pubblico;

14) Ossia quel servizio di interesse generale che deve essere erogato a tutti, indipendentemente dalla collocazione territoriale, ad un prezzo che renda il medesimo servizio agevolmente fruibile per la collettività.

15) M. Giordano, G. Montedoro "I servizi pubblici locali fra diritto interno e comunitario" in Giustizia Amministrativa, n° 1/2008

16) N. Bassi, I servizi pubblici comunitari: la loro recente comparsa, i loro primi sviluppi, in Riv. It. Di dir. Pubbl. comunitario, 2006, p. 69 e ss.

17) Cfr. R. Giovagnoli, Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi, in Giustizia Amministrativa online n° 11/2007

18) Art 5: La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.

19) Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Atto di Segnalazione n° AS375 del 28 dicembre 2006, concernente "Affidamento di servizi pubblici aventi rilevanza economica secondo modalità c.d. in house e ad alcuni contenuti della Legge Delega in materia di tali servizi"

20) O quasi in house, secondo la terminologia utilizzata dalla giurisprudenza comunitaria nel descrivere il fenomeno nelle ipotesi in cui il soggetto controllato sia una persona giuridica formalmente distinta dall’amministrazione controllante ed affidante i servizi.

21) Va, anzi, notato che, dal momento che tutti i soggetti in house rientrano nelle nozioni di impresa pubblica od organismo di diritto pubblico (e, dunque, di amministrazione aggiudicatrice), contenute nelle Direttive comunitarie sugli appalti pubblici, tali soggetti sono comunque tenuti a rivolgersi al mercato per l’esecuzione delle prestazioni a loro commesse dall’Ente controllante; l’accesso al relativo mercato da parte delle imprese private è, quindi, tutelato, perlomeno per ciò che attiene all’esecuzione di lavori, forniture e servizi

22) C. Giust CE, 6 aprile 2006, C 410/04 ; C.Giust. CE 11 maggio 2006, C-340-04 ; Cons. Stato, Sez. II, n° 456/2007 del 18 aprile 2007; Cons. Stato, Sez. VI, 1 giugno 2007 n° 2932

23) E’ la tesi costantemente sostenuta, dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato: cfr., da ultimo, la segnalazione n° AS 453- Considerazioni e proposte per una regolazione proconcorrenziale dei mercati a sostegno della crescita economica, dell’11 giugno 2008, nella quale l‘Autorità afferma che l’affidamento diretto dovrebbe essere possibile esclusivamente nel caso in cui non sia possibile un utile ricorso al mercato. E’, peraltro, la medesima ratio esplicitata nel disegno di legge approvato dal Governo il 18 giugno 2008, di cui si è dato conto più sopra. Al riguardo, si veda anche La concorrenza come strumento di rinascita del Paese, di Antonio Catricalà, Presidente dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, relazione tenuta all’Università LUISS Guido Carli di Roma il 23 maggio 2008, secondo cui la realtà dei servizi pubblici locali "… resta caratterizzata da forti elementi di ambiguità .L’impresa pubblica locale, seppur in veste formalmente privatistica, continua a rappresentare il modello largamente prevalente di gestione del servizio….Infine, in assenza di efficaci assetti regolatori, l’amministrazione locale finisce spesso per cumulare su di sé i diversi ruoli di soggetto concedente, regolatore e gestore del servizio…Alla luce di questo quadro occorre in primo luogo eliminare i conflitti di ruolo derivanti dai legami proprietari tra ente pubblico (regione o ente locale) titolare del servizio, e società di gestione, al fine di garantire maggiore trasparenza ed imparzialità delle procedure di selezione del gestore e di favorire una concorrenza efficace e non distorta tra imprese operanti nell’esercizio di attività pienamente liberalizzate (vendita di gas ed elettricità agli utenti finali). L’esperienza ha ampiamente dimostrato che la proprietà pubblica non è in grado di essere efficiente, anche a causa dell’indebita commistione di funzioni commerciali e poteri di regolazione che sostanzialmente sottrae l’impresa pubblica sia alla disciplina del mercato che ad un efficace controllo regolatorio." Dinanzi ad una simile analisi, di segno autoaffermativo, resta poco da dire; si osserva, sommessamente, che : a) la concorrenza non può risultare distorta dalla proprietà pubblica di imprese operanti nei settori della vendita del gas e dell’elettricità, proprio perché inifluente in virtù dell’ormai completa liberalizzazione e della stringente regolazione dei relativi mercati ; b) per quanto attiene al passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata (e per restare in linea con il tenore tranchant delle affermazioni del Presidente dell’Autorità, l’esempio della privatizzazione delle ferrovie britanniche avvenuta tra il 1979 ed il 1993, dovrebbe, perlomeno, indurre qualche maggiore riflessione.

24) Si noti, per inciso, che TAR Lombardia, Sez. Brescia, n° 148 del 11 dicembre 2007, sulla base del diritto societario vigente, ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione se una clausola di inalienabilità delle quote non possa rendere il socio Comune "prigioniero della società", essere quindi affetta da nullità e, proprio per questo, consentire in ultima analisi che, eccependo la nullità della clausola, il socio pubblico possa comunque cedere la propria quota a privati facendo così mancare il requisito della totalità del capitale pubblico; si tratta di una tesi tanto raffinata sul piano giuridico quanto paradossale sotto il profilo logico sostanziale ma che, comunque, esemplifica magistralmente il livello di involuzione formalistica cui è pervenuto la stato della discussione in materia di in house providing.

25) Riguardo al tema della "vocazione commerciale" ed al fatto se essa impedisca o meno, in ogni caso, la qualificazione come in house di un soggetto giuridico", cfr., amplius, più oltre, al successivo punto 8), relativamente all’orientamento espresso dall’Avvocato Generale Verica Trstenjak nelle Conclusioni del 4.6.2008 nella Causa C-324/07;

26) Così Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 4 settembre 2007, n° 719

27) Quid iuris in caso di pareri discordi ?

28) A. Lucarelli (La Gazzetta degli Enti Locali 19/3/2007) Considerazioni (critiche) sul ddl Lanzillotta e il processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali in Italia

29) Cfr. al riguardo l’oggettiva ed ampiamente documentata disamina R. Giovagnoli, Gli affidamenti in house…, cit.

30) Secondo cui "Il modello societario in house "deve configurarsi come un’opportunità residuale per gli enti locali: malgrado la configurazione societaria che tale modello possiede, infatti, esso non rappresenta una reale esternalizzazione della gestione rispetto alla originaria competenza degli enti locali, bensì costituisce un modello organizzativo per migliorare l’efficienza e l’economicità dell’attività di gestione che gli stessi enti locali sono chiamati a svolgere". e che quindi "la durata della società in house, precisata nell’atto di affidamento, dovrà essere motivata e obbligatoriamente limitata al tempo necessario per il superamento degli impedimenti all’effettiva messa in concorrenza del servizi".

31) L’Autorità dà atto che, nell’affidamento del S.I.I. in house alla Multiservizi S.p.A. l’ATO riferisce di avere : 1) verificato che la composizione del capitale societario del gestore fosse interamente pubblica; 2) con riferimento al controllo analogo, verificato: a) l’effettiva presenza in qualità di soci nel soggetto gestore di tutti i Comuni gestiti facenti parte dell’ATO 2; b) l’inserimento nello statuto della Società di apposite disposizioni configuranti, in capo ai Comuni soci, gli strumenti per effettuare il controllo sull’attività richiesto dalla norma; c) l’inserimento nello stesso statuto di disposizioni volte a disciplinare e limitare la circolazione delle quote societarie. 3) verificato la prevalenza dell’attività societaria in favore degli enti locali proprietari del capitale societario.

32) Ossia contenente la clausola, peraltro quasi di stile negli statuti delle società di capitali, per cui la società "può promuovere la costituzione o assumere, direttamente o indirettamente, partecipazioni ed interessenze in società, imprese, consorzi, associazioni… aventi oggetto e/o finalità analogo, affine e connesso al proprio, salvo il disposto dell’art. 2361 C.C."

33) In particolare, riferisce l’Autorità "svolge una serie di attività diverse dai servizi di gestione dell’acqua, non rientranti nel campo di competenze dell’ATO; dallo statuto della stessa si rileva che scopo della società è anche la pianificazione, lo studio, la progettazione, direzione lavori, la costruzione e la gestione di linee metropolitane, tranviarie e ferroviarie di qualsiasi natura"

34) Luigi Giampaolino "Nuovi poteri di intervento ed attività di controllo per garantire la concorrenza", Relazione al Convegno Business International – Roma , 12 novembre 2007

35) Osserva l’Autorità : " ..le condizioni alle quali è consentito agli enti locali di erogare direttamente tali servizi ed evitare il ricorso al mercato ed il confronto previsto dalla gara sono da interpretarsi in senso restrittivo anche in ragione dell’obiettiva situazione di conflitto di interesse che tale modalità di affidamento – allo stesso modo, del resto, di quella nei confronti di società costituite secondo le modalità del c.d. partenariato pubblico – privato – determina in capo agli enti pubblici locali, i quali risultano essere al contempo affidatari del servizio, azionisti e amministratori della società di gestione dei servizi, nonché componenti degli organismi chiamati a vigilare e disciplinare la medesima (es. le autorità di ambito territoriale ottimale nel caso di servizi idrici e ambientali)"

36) L’Autorità, in particolare, nel commentare il disegno di legge Lanzillotta sui servizi pubblici locali allora in discussione, osserva: " .. le competenze di quest’Autorità, che si pone, peraltro, come organismo specializzato nel settore della vigilanza sul corretto utilizzo delle procedure ad evidenza pubblica, appaiano idonee a giustificare un intervento diretto della stessa, più specifico ed incisivo, del tutto pertinente con gli obiettivi che il disegno di legge intende perseguire, mentre il previsto interventi dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato parrebbe avere un significato più generale"

37) Si rinvia, al riguardo, alla lettura del Rapporto, pubblicato sul sito web del COVIRI; alla pagina 25, ed alla Tabella 10, sono riportate le forme di affidamento prescelte dagli ATO. Non si può fare a meno di notare come la delibera dell’Autorità, pur riecheggiando quasi integralmente le osservazioni del COVIRI circa il numero degli affidamenti diretti ( circa il 60% degli Ambiti insediati) a società a capitale pubblico ometta, curiosamente, la ricostruzione del quadro giuridico effettuata, poche righe prima dalla Relazione del COVIRI stesso, nella quale si elencano le possibili modalità, alternative fra loro, di affidamento del Servizio Idrico integrato in base all’art. 113, comma 5 del D.Lgs n° 267/2000 ed all’art. 150 del D.Lgs. n° 152/2006. Evidentemente, tale ricostruzione non è parsa, all’Autorità procedente, degna di menzione.

38) Come modificato dall'articolo 2, comma 13, d.lgs. n. 4 del 2008

39) Sinteticamente, la Legge Regionale della Lombardia n° 18 dell’8 agosto 2006 "Conferimento di funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla L.R. 12/12/2003, n. 26" è stata impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale con Delibera del Consiglio dei Ministri del 6 ottobre 2006. La norma regionale prevede che le Autorità d’ambito organizzino il servizio idrico integrato separando necessariamente l’attività di gestione delle reti da quella di erogazione dei servizi, con l’obbligo di affidare quest’ultimo mediante procedure di gara ad evidenza pubblica.

Tali norme, secondo il Governo, "risultano in contrasto con quanto previsto dagli articoli 141, comma 2, 147, 148 e 150 del decreto legislativo n. 152/2006, che affermano, rispettivamente, che il servizio idrico integrato deve essere gestito nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie, sulla base del principio della unicità della gestione e secondo i criteri previsti dall’articolo 113 del d.l.vo n. 267/2000 (T.U.E.L.), tra cui quello che stabilisce tre diverse opzioni per l’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica, disponendo ,poi, particolare disciplina per i comuni al di sotto dei 1000 abitanti. Tali disposizioni statali hanno carattere generale e, per uniformità di trattamento, vanno applicate su tutto il territorio nazionale , costituendo la disciplina generale di modalità di gestione e di affidamento dei servizi pubblici locali , cui le regioni sono tenute ad adeguarsi". Tali osservazioni del Governo, si noti per inciso, risultano ancor più significative se comparate ai contenuti del disegno di legge presentato dal Governo in data 18 giugno 2008, più in appresso analizzato. Altrettanto significativo circa la necessità di salvaguardare le specificità territoriali nell’ambito della gestione dei servizi idrici, appare che numerosi Comuni della Lombardia abbiano deliberato la richiesta di, ai sensi di promuovere, ai sensi dell’art. 63 del titolo VIII dello Statuto Regionale della Lombardia, un referendum abrogativo parziale della Legge Regionale n. 26 del 12 dicembre 2003 come modificata dalla Legge Regionale n. 18 del 8 agosto 2006, nelle parti relative alla gestione del servizio idrico, poichè: 1) consentono la partecipazione di privati al capitale delle società proprietarie delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali destinati all’esercizio dei servizi e che costituiscono, per definizione della stessa legge, dotazione di interesse pubblico; 2) obbligano a separare la gestione delle reti e degli impianti dall’erogazione del servizio idrico, prevedendo obbligatoriamente l’affidamento dell’erogazione tramite gara ad evidenza pubblica; 3)precludono agli enti locali, anche in forma associata, la scelta della forma di affidamento dell’erogazione del servizio idrico; scelta che, invece, la normativa nazionale consente secondo le tre opzioni: interamente pubblica, mista pubblico-privata, interamente privata. Ciò in quanto, si legge nella proposta di referendum abrogativo "..tale legge è incostituzionale e in palese contrasto con la legge Galli e con le modifiche introdotte con le finanziarie al Testo Unico sui servizi locali ed, in generale, è in contrasto con tutta la legislazione nazionale ed europea esistente, dal momento che non vi è alcuna altra norma che obbliga ad andare a gara per privatizzare";

40) In tal senso, v. CDS, A.P. 3 marzo 2008 n° 1. Cfr., per tutte, la nota sentenza della Corte di giustizia, 15 giugno 2000, Arge Gewasserschutz c. Bundesministerium fur Land- und Forstwirtschaft, causa C-94/99,

41) Che recita: L'affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell'Autorità d'ambito, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale;

42) Cfr. Tar Campania, Napoli, n° 8055/2006; Tar marche n° 500/2007; cfr. inoltre, TAR Lazione n° 9988 del 16.10.2007, secondo cui non sono trasponibili, per il controllo nei confronti di società, i concetti propri del diritto amministrativo, come per esempio la subordinazione gerarchica, in configurabile nei confronti di organismi con struttura societaria; nemmeno, inoltro, sono trasponibili diretti poteri decisionali o sostitutivi in ordine alla gestione ordinaria delle attività. Il controllo analogo, pertanto, in tale chiave deve essere pensato soprattutto sotto forma di meccanismi o poteri inibitivi di iniziative o decisioni in contrasto con gli interessi dell’ente locale.

43) G.U., Serie generale, n° 291 del 13 dicembre 2004.

44) Cfr. JACOPO BERCELLI , Le società miste e le società in house per i servizi pubblici locali: la legge e le ipotesi interpretative; Considerazioni sull'efficacia giuridica delle due circolari del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio, in Giust Amm n° 3-2005, alla cui ampia ed esaustiva analisi si rinvia per un approfondimento del tema.

45) La Circolare in questione (come pure quella, in pari data, concernente l’affidamento del Servizio idrico Integrato a società a capitale misto pubblico privato), come autorevolmente osservato (J. Bercelli, cit.), rappresenta non già un mero atto di manifestazione di conoscenza o di giudizio ma un vero e proprio atto di indirizzo che detta (e non "richiama", come afferma l’Autorità nella delibera n° 16/2008) condizioni integrative ed applicative, "ineludibili", per l’affidamento in house del Servizio Idrico Integrato.

E’ noto, al riguardo, che un simile provvedimento assume, nel nostro ordinamento amministrativo, la natura di circolare intersoggettiva " circolari che hanno per destinatari organi od uffici appartenenti ad enti pubblici distinti". Tali atti debbono, per unanime opinione della dottrina, trovare il proprio fondamento espresso in una norma giuridica attributiva del potere e della funzione che attraverso di esse si intende esercitare.

E’ stato autorevolmente dimostrato che una simile norma attributiva del detto potere al Ministero dell’Ambiente nel nostro ordinamento non sussiste; al contrario, in base a quanto desumibile dalla sentenza della Corte Costituzionale n° 272 del 27 luglio 2004, il potere di definire le linee di indirizzo in base all’art. 113 del TUEL compete alle Regioni ed agli Enti Locali. Non sembrerebbe, dunque, che un’analisi che prenda le mosse predetta Circolare possa giovarsi di basi giuridiche solidissime.

46) Costantino Tessarolo, La gestione in house di pubblici servizi, nella rivista online Diritto dei Servizi Pubblici, 24 febbraio 2005

47) Ci si permette di rinviare a quanto esposto più sopra circa i principi del diritto societario al riguardo

48) Nell’ottica, già menzionata, secondo cui il diritto societario non consente che un socio rimanga indefinitamente "prigioniero della società"

49) Per tutte: Corte di Giustizia europea, Grande Sezione, 21 luglio 2005 n° C-231-03 , Coname

50) Perfino inutile, al riguardo, rammentare il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia dell’11 maggio 2006 n° C-340-04, Comune di Busto Arsizio, Agesp, Carbotermo e Consorzio Alisei, secondo cui "l’eventuale influenza del comune di Busto Arsizio sulle decisioni della AGESP viene esercitata mediante una società holding. L’intervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale." La Corte prosegue concludendo, nel caso specifico, che "si deve di conseguenza risolvere la prima questione nel senso che la direttiva 93/36 osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice".

51) E ciò per diversi motivi, per altro rappresentati in diverse pronunce della giurisprudenza italiana e comunitaria: 1) il margine residuo del 45% è assolutamente considerevole; 2) manca qualsiasi considerazione di carattere qualitativo sulla natura delle attività svolte per gli enti locali;

52) Queste le questioni pregiudiziali formulate dal Consiglio di Stato Belga: "– se un comune possa, senza bandire una gara d’appalto, associarsi ad una società cooperativa che raggruppa esclusivamente altri comuni e associazioni di comuni (detta "intercomunale pura"), al fine di trasferirle la gestione della sua rete di teledistribuzione, quando la società cooperativa realizza la parte essenziale delle proprie attività con i suoi associati e liberandoli dai loro obblighi e che le decisioni ad esse relative vengono adottate dal consiglio di amministrazione e dai consigli di settore, nei limiti delle deleghe che questo loro accorda, quali organi statutari composti da rappresentanti delle autorità pubbliche e che statuiscono a maggioranza; – se i poteri così esercitati, tramite organi statutari, da tutti i cooperatori, o da una parte di questi nel caso di settori o sottosettori di gestione, sulle decisioni della società cooperativa possano essere considerati tali da consentire loro di esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello esercitato sui loro propri servizi; – se tali poteri e tale controllo, per poter essere qualificati analoghi, debbano essere esercitati individualmente da ciascun associato o se sia comunque sufficiente che vengano esercitati dalla maggioranza degli associati".

53) Dal citato Rapport 2006 di Brutelè: "Procédure de regroupement des câblo-opérateurs wallons. Faisant suite à l’étude Mc Kinsey, réalisée au sein d’ACM afin de fournir des orientations stratégiques au secteur, un certain nombre d’intercommunales actives en Wallonie ont pris la décision en 2006 devendre leur activité câble. Il s’agit de l’ensemble des sept intercommunales mixtes (IGEHO, Inatel, Interest, Intermosane, Séditel, Simogel et Telelux), toutes gérées par Electrabel, ainsi que de l’intercommunale pure IDEA. Ces sociétés regroupent environ 700.000 abonnés au câble, soit un peu plus de la moitié des foyers wallons. Trois candidats ont marqué un intérêt pour la reprise de ces activités : Altice, Telenet et un consortium formé de l’ALE et de Brutélé, unis dans un groupement d’intérêt économique (GIE). Il s’agit là d’une opportunité exceptionnelle d’unir, au sein d’une seule société et sous une seule marque, l’ensemble des activités des réseaux câblés en Wallonie et sur une partie du territoire de la Région Bruxelloise. C’est ce qu’ont parfaitement compris, de manière unanime, les Administrateurs de l’ALE et de Brutélé qui ont décidé de mettre ensemble des moyens considérables en vue de réaliser cette opération, qui passera par ailleurs inévitablement par la fusion des deux sociétés. La procédure de vente a toutefois subi un parcours assez chaotique et à l’heure de publier ce rapport, rien n’est encore décidé de manière irréversible dans ce dossier."

54) Cfr. l’attenta analisi di M. Nico " Affidamenti in house: il "controllo analogo" è un requisito da accertarsi in concreto", nella rivista Online Diritto dei Servizi Pubblici, 23 maggio 2008

55) Bin – Pitruzzella, Diritto Costituzionale, ed Giappichelli, Torino, 2005, pagg. 382 e ss.

56) Costantino Tessarolo La disciplina comunitaria del trasporto pubblico di passeggeri, in questa Rivista, 13 giugno 2008

57) Che sembrerebbe essere solo esemplificativa e non esaustiva (cfr. C. Tessarolo, La disciplina..,cit)

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