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La nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
di Germano Scarafiocca 27 gennaio 2010
Materia: servizi pubblici / disciplina

LA NUOVA DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA

 

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Prima analisi della disciplina dei servizi pubblici locali, così come risulta dall’art. 23 bis del d.l. 112/08, convertito nella legge 133/08 e modificato dal d.l. 135/09, convertito nella legge 20 novembre 2009, n.166 e dalla bozza di regolamento di attuazione approvata dal Consiglio dei Ministri il 17 novembre 2009.

 

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1.         PREMESSA

 

Queste brevi note sono state scritte per un commento a prima lettura delle nuove disposizioni in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Esse contengono una analisi molto sintetica e necessariamente approssimativa di tali norme. Volutamente sono stati quindi omessi sia i riferimenti alla vastissima letteratura sull’argomento che alla altrettanto numerosa giurisprudenza, con l’eccezione di quelle essenziali decisioni su cui direttamente poggiano alcune novità legislative.

 

2.         IL REGIME ORDINARIO.

 

In una prima analisi della nuova regolamentazione, occorre distinguere innanzitutto la disciplina ordinaria, concernente le modalità di affidamento e gestione dei servizi, da quella transitoria, non meno importante della prima e destinata, in prima battuta, a suscitare le maggiori attenzioni. E’ stato osservato da parte di alcuni commentatori come, in un contesto in cui la regolazione dell’economia è presso che integralmente attratta nell’ambito comunitario, le norme transitorie costituiscono uno degli strumenti residui con cui gli stati continuano a svolgere la “politica economica”.

 

2.2. Le disposizioni generali.

 

Facciamo solo un brevissimo cenno alle pur importanti disposizioni a carattere generale contenute nel novellato art. 23 bis e nella bozza di regolamento.

a)         Il collocamento della disciplina nel sistema delle fonti.

Il comma 1 dell’art. 23 bis stabilisce che tale disciplina è dettata “in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici”, nonché al fine di “garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione”. Tale disposizione non è stata modificata dal d.l. 135/09.

Il richiamo alla tutela della concorrenza [art. 117, lett. e)] ed alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”[art. 117, lett. m)], sancisce definitivamente quanto aveva stabilito la Corte Costituzionale (1) durante la vigenza dell’art. 113 TUEL, ovvero l’appartenenza di tale disciplina all’ambito della potestà legislativa esclusiva dello stato. Questa è, per così dire, la regola. I successivi approfondimenti e gli sviluppi applicativi consentiranno di stabilire quali spazi vi siano in tale corpo normativo per una autonoma disciplina regionale riguardanti aspetti specifici e di dettaglio. Certo è che tale autonomia, come aveva già precisato a suo tempo la Corte, non investe la disciplina delle modalità di affidamento del servizio, sottratta alla potestà legislativa regionale.

b)        Il rapporto con le normative di settore.

L’art. 23 bis fa salve espressamente la disciplina relativa al servizio di distribuzione del gas (d.lgs. 164/00 e art. 46 bis d.l. 159/07); quella relativa alla distribuzione di energia elettrica, che peraltro è assai difficilmente qualificabile come servizio pubblico locale (l. 239/04); la gestione delle farmacie comunali (l. 475/68 e s.m.i.); il trasporto ferroviario regionale (l. 422/97).

La bozza di regolamento aggiunge al novero di queste esclusioni “i servizi strumentali all’attività o al funzionamento degli enti affidanti di cui all’art. 13, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 233”, convertito dalla l. 248/06 e successive modifiche. Viene in questo modo ribadito il differente ambito di applicazione dell’art. 13 del c.d. decreto Bersani e della disciplina dei servizi pubblici locali, già sancito peraltro a suo tempo dagli emendamenti apportati al d.l. 233/06 in sede di conversione.

Al di fuori di questi casi, le disposizioni dell’art. 23 bis e quelle dell’emanando regolamento si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle contrarie normative di settore. Questa è la regola generale. Si intende tuttavia che il coordinamento tra la disciplina generale e quelle di settore è molto più complesso e necessita di puntuali approfondimenti.

 

2.3. Le modalità di affidamento in via ordinaria.

 

In via ordinaria l’affidamento del servizio può essere disposto:

a)         in favore di imprenditori o società in qualunque forma costituiti individuati mediante procedura ad evidenza pubblica;

b)        in favore di società miste a condizione:

I.         che la scelta del socio avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica;

II.        che tali procedure “abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione dal servizio”;

III.      “che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento”.

Mentre quella di cui alla lettera a) costituisce la fattispecie tipica dell’affidamento con gara, nel caso di cui alla lett. b), dopo un lungo travaglio giurisprudenziale e normativo, si è confermata la legittimità del modello della società mista, definendone tuttavia il perimetro.

Il principio che è alla base della scelta del legislatore coincide con il definitivo chiarimento che di questa problematica sembra essersi avuto in sede comunitaria. In un primo momento con alcuni atti della Commissione e del Parlamento Europeo (2) ed infine ad opera della stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia (3), è stata sancita, con gli accorgimenti che vedremo, una regola che nella dottrina  e nella giurisprudenza interna, sia pur con molti contrasti e perplessità, era stata elaborata da tempo, ovverossia che alla mancata gara “a valle” per l’affidamento del servizio potesse supplire il ricorso “a monte” alla procedura di gara per la scelta del socio privato.

Questo principio, cui era ispirato lo stesso art. 113 TUEL, comma 5, lett. b), era stato tuttavia, dopo l’entrata in vigore di queste disposizioni, rimesso almeno inizialmente in discussione, sovrapponendosi concettualmente la disciplina delle società miste a quella degli affidamenti in house, e circondato poi dalla giurisprudenza interna da una serie di cautele, richiedendosi: a) che il socio privato fosse un socio industriale e non meramente finanziario; b) che la società avesse un oggetto sociale ben delimitato in relazione al servizio pubblico da svolgere; c) che la partecipazione del privato alla società fosse temporalmente limitata ad un periodo non superiore alla durata dell’affidamento. (4)

L’idea di fondo che percorre questa ricostruzione è che la scelta del socio privato costituisca un modo sia pur indiretto di affidamento a tale partner industriale della gestione del servizio. Ecco allora la necessità di dettare delle norme che avvicinino il più possibile la sua condizione a quella propria di un concessionario, evitando che l’acquisizione della partecipazione sociale ponga l’imprenditore in una condizione di maggior favore rispetto all’affidatario del servizio con gara, in violazione delle regole di concorrenza. Queste conclusioni sono state infine accolte dalla stessa giurisprudenza comunitaria, (5) ancorché con differenze di accento che in questa sede non è possibile analizzare.

Nell’art. 23 bis quella che sino a questo momento veniva considerata una forma implicita di affidamento del servizio viene esplicitata, richiedendosi che al socio privato siano affidati specifici compiti operativi e divenendo quest’ultima una condizione di legittimità dell’affidamento stesso.

E’ questo l’aspetto uno degli aspetti maggiormente problematici della riforma e non a caso tale specifica disposizione ha già subito una prima rielaborazione nel passaggio dal testo del decreto legge 135/09 alla legge di conversione. Nella prima versione si parlava infatti di “compiti operativi” affidati al socio, mentre in sede di conversione si è sostituita tale locuzione con quella di “specifici compiti operativi”, lasciando intendere che detti compiti possano essere “ritagliati” nell’ambito di quelli più vasti affidati alla società mista.

La bozza di regolamento stabilisce che il bando di gara per la scelta del socio privato dovrà:

a)         dare la preferenza, in sede di individuazione dei criteri per la selezione delle offerte, al corrispettivo ed alla qualità del servizio erogato piuttosto che al prezzo per l’acquisto delle quote;

b)         prevedere che “il socio privato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l’intera durata del servizio stesso e che, ove ciò non si verifica, si proceda a un nuovo affidamento

c)         far sì che “siano previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione”.

Si tratta di prescrizioni che, se da un lato confermano la sovrapposizione tra scelta del socio e affidamento del servizio, necessitano dall’altro di un consistente approfondimento, soprattutto là dove tutto ciò dovrà trovare applicazione pratica.

Il legislatore, come aveva già fatto altre volte, ha preso a prestito alcune affermazioni contenute nelle decisioni giurisprudenziali per trasformarle in prescrizioni normative. Allo svolgimento di compiti operativi da parte del socio privato fa riferimento il citato parere del Consiglio di Stato n. 456/07. Nel rispondere al quesito in ordine alla compatibilità con il diritto comunitario della società mista, esso così si esprime: <<la Sezione […] ritiene possibile affermare che tale compatibilità possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di Giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico - economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni di cui si dirà infra […] – non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo. In altri termini, in questo caso, indicato di regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio di Stato ritiene che l’attività che si ritiene affidata (senza gara) alla società mista sia nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privati scelto con una procedura ad evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della qualità di socio>>.

Come si vede, alcune di queste espressioni sono state letteralmente trasferite nel testo legislativo. Non può tuttavia sfuggire come il Consiglio di Stato intendesse descrivere, con esse, gli assetti di carattere sostanziale che distinguono il rapporto tra soci pubblici e soci privati, rinvenendo nella scelta con gara del socio industriale una traslazione di fatto dell’affidamento del servizio dalla società al socio.

Concetti identici si rinvengono nell’ultima decisione della Corte di Giustizia: <<dato che i criteri di scelta del socio privato si riferiscono non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma altresì alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, e dal momento che al socio in questione viene affidata [...] l’attività operativa del servizio di cui trattasi e, pertanto, la gestione di quest’ultimo, si può ritenere che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo effettuata al termine di una procedura che rispetta i principi del diritto comunitario, cosicché non si giustificherebbe una seconda procedura di gara ai fini della scelta del concessionario>>.

Come si vede, anche qui si parla di concessione indiretta in favore del socio privato, ma ciò non toglie che, sul piano formale e contrattuale, l’affidatario del servizio resti la società mista.

Se questo è il senso anche della novella legislativa, ciò vuol dire che gli specifici compiti operativi che il privato è chiamato a svolgere potranno anche costituire degli apporti che lo stesso potrà dare uti socius, all’interno della società. Viceversa, se l’attribuzione al socio di tali compiti dovesse intendersi quale vera e propria esternalizzazione in suo favore di una parte del servizio, le nuove norme potrebbero condurre ad una modifica sostanziale della morfologia della società mista, avvicinandola ad un modello di tipo consortile o, per altri versi, a quello della società di progetto di cui all’art. 156 del Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 163/06).

La giurisprudenza da cui originano le nuove disposizioni giustifica la prima delle suddette interpretazioni, ma non può tuttavia sfuggire che la tecnica del ricopiare nei testi di legge interi brani delle motivazioni delle sentenze non evita l’insorgenza dei problemi interpretativi, i quali semmai tendono ad aggravarsi. Il legislatore tradisce in questo modo e da tempo una evidente difficoltà a tradurre nel diritto interno i parametri valutativi di tipo sostanzialistico propri della giurisprudenza comunitaria.

La questione è ovviamente molto complessa. Ciò che tuttavia preme qui sottolineare è che, nel momento in cui il parametro giurisprudenziale viene tradotto in norma precettiva, la sua natura di criterio valutativo di tipo sostanzialistico, idoneo a ricomprendere una serie di fattispecie anche diverse tra di loro purché accomunate da un identico tratto sostanziale, non può essere smarrita. Ne deriva, per quanto ci riguarda, che tutte le tipologie concrete di articolazione dei rapporti tra socio pubblico e socio privato in cui nella sostanza sono attribuiti al secondo specifici compiti operativi nella gestione del servizio sono idonee ad essere ricomprese nella previsione legislativa.

In ultimo, non deriva direttamente da norme o orientamenti comunitari la previsione di una soglia minima di partecipazione del 40% del socio privato alla società mista. La regola costituisce tuttavia il precipitato di una riflessione che era sempre stata presente ed era implicitamente contenuta nel modello, così come si era venuto configurando. Da più parti si era sottolineato che se il socio privato doveva avere le caratteristiche del partner industriale cui fosse affidata nei fatti la responsabilità della conduzione quanto meno di una parte essenziale del servizio, la sua partecipazione non poteva non assumere una consistenza adeguata. La misura del 40% era poi stata inserita in alcuni progetti di legge regionale.

 

2.4. L’affidamento in deroga.

 

Separato e distinto rispetto al modello delle società miste, con cui per un determinato periodo sembrava essersi confuso, è invece rimasto l’affidamento in house. Resta confermata la scelta di fondo dell’art. 23 bis, così come era stata concepita nella sua originaria versione scaturita dal d.l. 112/08, della eccezionalità di tale forma di affidamento.

Alla scelta in questo caso deve essere data “adeguata pubblicità” ed essa deve essere motivata con l’esistenza di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un’efficace ed utile ricorso al mercato”. La motivazione deve essere stilata sulla base di una “analisi di mercato” e deve tradursi in una apposita relazione da trasmettersi all’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato per l’acquisizione del relativo parere che deve essere rilasciato entro 60 gg. dalla sua ricezione. Decorso tale termine il parere si intende espresso in senso favorevole.

Rispetto alla precedente formulazione della norma si chiarisce quindi definitivamente la natura preventiva del parere e si introduce il meccanismo di silenzio assenso in caso di inutile decorso del termine per la sua emissione.

Il parere è obbligatorio ma non vincolante, ancorché sia facile ritenere che esso eserciterà inevitabilmente una forte influenza sulle decisioni degli enti locali ed altrettanto rilievo eserciterà in caso di impugnazione innanzi al giudice amministrativo della eventuale scelta di segno contrario.

Nei pochi mesi di vigenza dell’art. 23 bis i pareri resi dall’Autorità sono stati sostanzialmente tutti di segno negativo. La prova dell’inesistenza di un’alternativa di mercato alla gestione in house viene richiesta in forme tali da renderla di fatto impossibile nella generalità dei casi. Solo recentemente si è assistito ad un paio di pronunciamenti di segno positivo derivanti tuttavia dalla considerazione che l’affidamento “non appare in grado di incidere in misura apprezzabile sulle condizioni concorrenziali del mercato interessato, in ragione della sua ridotta dimensione in termini di popolazione interessata e dell’esiguo valore del servizio” (pareri AS 621 e AS 644 del 10 e dell’11 settembre 2009).

Con ciò l’Autorità ha anticipato quanto, pur essendo già previsto dalla legge, necessitava ancora di attuazione. La bozza di regolamento elaborata nel febbraio 2009 sulla base del previgente testo dell’art. 23 bis, prevedeva che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dovesse stabilire, con propria delibera, “le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali […] assumono rilevanza ai fini della tutela della concorrenza” (art. 2, comma 2, della bozza). Il principio della soglia di rilevanza è stato ripreso in sede legislativa ed introdotto nella novella all’art. 23 bis, demandando l’individuazione di tale soglia, nella versione dell’art. 15 del d.l. 135/09 antecedente la conversione, all’Autorità e, nella versione definitiva, al regolamento.

La bozza di regolamento prevede ora un doppio limite: 200.000,00 euro di valore economico dell’affidamento ed una popolazione interessata di 50.000 unità. E’ sufficiente che uno dei due parametri sia superato perché si oltrepassi la soglia di rilevanza. Questa, peraltro, è posta ai fini dell’acquisizione del parere dell’Autorità Garante, nel senso che, sotto la soglia il parere non è necessario. La legge e la bozza di regolamento non escludono viceversa che anche sotto la soglia gli affidamenti in house siano sottoposti al regime di eccezionalità ed al rigoroso obbligo di motivazione previsti dal comma 3 dell’art. 23 bis. Se è quindi vero che la mancanza del parere renderà più agevoli le scelte degli enti locali, il mancato rispetto di tali regole sarà sempre sindacabile in sede giurisdizionale. Va detto comunque che la natura molto bassa della soglia escluderà per lo più che tali problematiche possano venire in considerazione in ordine ai più importanti servizi pubblici locali di rilevanza economica (rifiuti, trasporto pubblico locale). (6)

 

3.         IL REGIME TRANSITORIO.

 

La nuova disciplina del regime transitorio è contenuta nel comma 8 dell’art. 23 bis, come novellato dal d.l. 135/09. Su tale disciplina si sono peraltro concentrati i più rilevanti emendamenti in sede di conversione.

Essa non distingue a seconda del tipo di servizio, come accadeva nel testo previgente dell’art. 23 bis, bensì detta regimi e scadenze differenziate per tutti i servizi pubblici locali (fatta eccezione per quelli esclusi di cui si è già trattato) a seconda della modalità di affidamento.

 

3.1. Gli affidamenti in house.

 

“Le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta “in house” cessano improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell' ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011”. Così stabilisce il comma 8, lett. a) dell’art. 23 bis novellato il quale richiede, perché ciò possa accadere, che si tratti di affidamenti disposti nel rispetto dei principi comunitari relativi all’in house providing (“controllo analogo” a quello esercitato dall’ente sui propri servizi e “prevalenza” dell’attività in favore dell’ente locale, secondo le modalità con cui tali requisiti sono stati fissati e precisati dalla giurisprudenza comunitaria).

Viceversa, le gestioni in house che non corrispondono a tali requisiti scadono, in base alla previsione residuale di cui al comma 8, lett. e), alla data del 31 dicembre 2010.

Le gestioni conformi ai principi comunitari possono proseguire sino alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2001 le amministrazioni cedano almeno il 40% del capitale ad un socio privato selezionato con procedura di gara ad evidenza pubblica, dando luogo al modello della società mista di cui al comma 2, lett. b) dell’art. 23 bis e pertanto anche affidando al privato “specifici compiti operativi relativi alla gestione del servizio”.

La “salvezza” di tali gestioni è quindi legata alla trasformazione del soggetto gestore in società mista avente le caratteristiche di cui abbiamo precedente trattato.

Il legislatore, inoltre, nel trattare delle gestioni in house conformi al diritto comunitario, si riferisce a quelle esistenti alla data 22 agosto 2008, coincidente con l’entrata in vigore della l. 133/08, di conversione del d.l. 112/08. Si intende che quelle affidate successivamente resteranno in vita sino alla loro scadenza contrattuale a condizione che siano stati rispettate tutte le previsioni dell’art. 23 bis, ovvero che la scelta sia sorretta da adeguata motivazione in ordine alla eccezionalità che la caratterizza, fondata sull’impossibilità di ricorrere ad una valida alternativa di mercato e che sia stato richiesto il prescritto parere dell’Autorità Garante. Non necessariamente deve essersi trattato di parere favorevole, attesa la sua natura non vincolante, potendo astrattamente venire in considerazione anche il caso – verosimilmente assai raro - di enti locali che si siano discostati dall’opinione dell’Autorità.

E’ stato giustamente osservato (7) che, per le gestioni in house “conformi” anteriori al 22 agosto 2008, il mantenimento dell’affidamento sino alla scadenza prevista dal contratto di servizio potrebbe rivelarsi insufficiente ai fini della ricerca di un socio privato disposto ad acquisire il 40% della partecipazione.  Ove il contratto di servizio fosse destinato a scadere a breve, difficilmente il partner industriale effettuerebbe l’investimento e comunque potrebbe porsi un problema di mancata proporzionalità tra la durata del contratto ed i tempi di ammortamento dell’investimento medesimo. Si è quindi ritenuto (8) che nulla osti a che l’ente locale stipuli con la società in house “trasformata” in società mista un nuovo contratto di servizio, la cui durata inizi a decorrere dalla stipula. Il caso non sarebbe infatti diverso da quello in cui il comune decidesse di ricorrere ex novo alla società mista, quale modello legalmente consentito di affidamento del servizio.

La soluzione è indubbiamente ragionevole, ma si tratta di un aspetto che merita di essere approfondito, stante la non agevole conciliabilità con il disposto della norma di cui al comma 8, lett. a) dell’art. 23 bis.

 

3.2.      Gli affidamenti a società miste.

 

In questo caso [comma 8 art. 23 bis, lett. b) e c) ed e)], occorre distinguere:

a)         gli affidamenti disposti in favore di società miste il cui socio privato non sia stato scelto con procedure ad evidenza pubblica, i quali cessano, secondo il criterio residuale e di chiusura della lett. e) del comma 8, alla data del 31 dicembre 2010;

b)        gli affidamenti disposti in favore di società miste il cui socio privato sia stato scelto con procedure ad evidenza pubblica che tuttavia “non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio”i quali cessano alla data del 31 dicembre 2011.

c)         gli affidamenti disposti in favore di società miste il cui socio privato sia stato scelto con procedure di ad evidenza pubblica che abbiano avuto ad oggetto “al tempo stesso la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio”, i quali cessano alla scadenza contrattuale.

Il punto maggiormente problematico risiede nelle differenze tra le fattispecie di cui alle lettere b) e c).

La soluzione sarà diversa a seconda di cosa si intende per procedura ad evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di compiti operativi.

Se l’interpretazione è nel senso che deve esservi stato un bando di gara che espressamente abbia previsto l’acquisto delle quote o delle azioni e l’assunzione della gestione diretta in capo al socio di tutto o parte del servizio, la grande maggioranza, se non la totalità delle società miste esistenti, anche là dove sia stata esperita una procedura di gara per la scelta del partner, non corrisponderebbero a questo modello.

Ciò in quanto, prima della novella legislativa, l’assunzione di un ruolo operativo ad opera del socio industriale avveniva egualmente, ma in altre forme. Il modello maggiormente collaudato era ed è tuttora costituito, nella prassi, dalla attribuzione al partner della facoltà di esprimere, in sede di corporate governance, soggetti destinati a ricoprire cariche di primo piano nella gestione sociale, riservando viceversa al pubblico una funzione di controllo. Tipicamente al privato si attribuisce la facoltà di designare l’amministratore delegato ed al pubblico il presidente del consiglio di amministrazione della società. Ciò avviene tuttavia per mezzo di patti parasociali e non mediante l’affidamento diretto al socio di parti del servizio. L’affidamento è effettuato in favore della società e non del socio e la ripartizione dei compiti  tra il pubblico che controlla ed il privato che gestisce si realizza all’interno della società.

Solo se si accede ad una interpretazione di tipo sostanziale (9) delle nuova norme, cui abbiamo fatto cenno precedentemente, l’esperienza delle società miste il cui socio privato industriale sia stato scelto con gara affidandogli, per mezzo dei su riferiti assetti di governance, un ruolo di primo piano nella gestione della società, potrà essere traguardata sino alla scadenza contrattuale.

 

3.3.      Le società quotate.

 

Il comma 8, lett. d) si ricollega a quanto previsto dall’art. 113, comma 15 bis, TUEL, come novellato dal d.l.269/03, convertito nella legge 326/03. Questo, salve diverse previsioni delle norme di settore, stabiliva che gli affidamenti che non fossero stati disposti per mezzo di procedure ad evidenza pubblica sarebbero scaduti ope legis alla data del 31 dicembre 2006. Tra le eccezioni vi erano ricomprese le “concessioni affidate alla data del 1° ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio”, prevedendosi altresì che queste “cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore”.

Il legislatore ha ora ridisciplinato il regime giuridico di quelle stesse società che erano già quotate al 31 dicembre 2003 per stabilire dei termini di durata degli affidamenti indubbiamente più chiari rispetto alle previsioni del comma 15 bis dell’art. 113.

Le società quotate e le loro controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. potranno mantenere gli affidamenti in essere sino alla scadenza del contratto allorché la partecipazione pubblica si riduca ad una quota non superiore al 40% entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30% entro il 31 dicembre 2015. A tal fine gli enti locali soci potranno cedere le loro partecipazioni mediante procedure ad evidenza pubblica “ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali”. A parte questi ultimi riferimenti alle modalità di vendita, che necessiterebbero di riflessioni che non possono farsi in questa sede, basterà ricordare che là dove gli obiettivi di progressiva riduzione della quota pubblica non dovessero essere conseguiti, gli affidamenti cesseranno rispettivamente alle date del 30 giugno 2013 e 31 dicembre 2015. (10)

 

 

1) Corte Cost. 23 novembre 2007, n. 401 e Corte Cost. 14 dicembre 2007 n. 431.

2) Da ultimo, v. la Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico privati istituzionalizzati (2008/C-91/02) del 12 aprile 2008, preceduta dal Libro Verde sui PPP COM(2004) 327 del 30 aprile 2004 e dalla risoluzione del Parlamento Europeo del 26 ottobre 2006.

3) Corte di Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, n. C- 196/08.

4) V. sia pur con le differenze che le caratterizzano, Cons. Stato, Sez. II, parere n. 456/07; Cons. Stato, Ad. Plen, 3 marzo 2008, n.1.

5) Corte di Giustizia, C-196/08, cit.

6) Frutto di un evidente aggiustamento del tiro rispetto a tale regime sono le speciali norme introdotte all’art. 4 della bozza di regolamento per ciò che riguarda il servizio idrico integrato, dirette chiaramente a salvaguardare realtà specifiche. Si prevede che, in sede di rilascio del parere, l’Autorità, limitatamente al solo servizio idrico integrato, effettui una valutazione in termini di vantaggiosità della gestione in house rispetto alle modalità alternative di gestione che è assai diversa da quella prevista dall’art. 23 bis e comunque da quella cui sinora si è ispirata l’Autorità Garante. L’adozione di un criterio differenziato e molto più favorevole alle gestioni in house per il solo servizio idrico integrato suscita forti dubbi di legittimità.

7) C.TESSAROLO, Il regime transitorio nel nuovo sistema dei servizi pubblici locali, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 5 gennaio 2010.

8) C.TESSAROLO, op. cit.

9) Una simile interpretazione a noi appare necessaria. Ciò non solo per le ragioni connesse al modo di operare dei principi comunitari di cui abbiamo già trattato, ma anche per il fatto che, precedentemente, non vi era alcuna norma che consentisse un affidamento diretto di parti del servizio al socio il quale, se realizzato – indipendentemente da quanto è potuto accadere nella prassi – avrebbe posto seri dubbi di legittimità. Le società miste, infatti, per l’affidamento di lavori, servizi e forniture erano e restano tuttora soggette al rispetto delle norme dell’evidenza pubblica (v. art. 32, comma 1, lett. c, del d.lgs. 163/06, ma la regola è molto più risalente) e non si aveva alcuna particolare disposizione che consentisse di disapplicare tale regola solo per il fatto che il servizio venisse affidato al socio.

L’art. 32, comma 3, del Codice dei Contratti esclude l’obbligo dell’evidenza pubblica per le società miste solo per la realizzazione dell’opera o per lo svolgimento del servizio per cui la società è costituita “se ricorrono le seguenti condizioni:1) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica; 2) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal presente codice in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; 3) la società provvede in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo.”

L’art. 6, comma 2, della bozza di regolamento, richiama ora il suddetto comma 3 dell’art. 32 e ne conferma l’applicabilità “se la scelta del socio privato è avvenuta secondo quanto previsto dall’articolo 23-bis, comma 2, lettera b)” e cioè se la scelta del socio sia avvenuta “mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto del principi di cui alla lettera a) del presente comma, le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione dal servizio”.

Quindi, ricapitolando, se la scelta del socio è avvenuta con procedure di evidenza pubblica che abbiano ad oggetto sia l’acquisto della partecipazione che l’attribuzione di specifici compiti operativi e la società provveda in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio, almeno per il 70%, questa non è tenuta ad applicare le norme del Codice dei Contratti.

Ciò potrebbe forse essere interpretato in due modi. Da un lato si potrà sostenere che la legge presuppone sempre che il servizio sia svolto dalla società e non dal socio, quanto meno in misura superiore al 70%. Dall’altro lato, la previsione di una gara finalizzata, tra l’altro, a scegliere un partner cui affidare specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio potrà essere interpretata quale deroga alla previsione di cui al n. 3) del comma 3 dell’art. 32 del d.lgs. 163/06. Nel primo caso l’attribuzione di specifici compiti operativi si concretizzerà, almeno prevalentemente, in un apporto che il socio privato darà dall’interno della società, mentre nel secondo siamo in presenza di un vera e propria esternalizzazione del servizio in favore del socio.

A noi pare che la corretta lettura delle norme sia la prima, ma una cosa è certa: prima dell’entrata in vigore del d.l. 135/09 questa era l’unica soluzione consentita, fatta eccezione per i moduli di tipo consortile. Non è quindi immaginabile che, negli anni trascorsi, gli enti locali avessero bandito delle gare a doppio oggetto, al fine di selezionare soci industriali ed attribuire loro contestualmente gli ormai noti specifici compiti operativi. In realtà sono state bandite gare dirette a selezionare partners di tipo industriale, richiedendo il possesso in capo a questi di specifiche caratteristiche tecniche e di esperienza in funzione dell’apporto operativo che essi avrebbero potuto dare sì allo svolgimento del servizio, ma nella loro veste di soci.

10) Anche in questo caso si pone il problema della durata dei contratti in essere rispetto alla appetibilità delle partecipazioni che vengono poste sul mercato e ci si potrebbe egualmente chiedere se, effettuata la vendita, possa o meno stipularsi un nuovo contratto di servizio con una nuova decorrenza dei termini che si sostanzia di fatto in un nuovo affidamento.   

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