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Società partecipate e “Legge di Stabilità”: tutto si trasforma, nulla cambia.
di
Gerardo Guzzo
La legge n. 190 del 23 dicembre 2014, in G.U. n. 300 del 29.12.2014, in Supplemento Ordinario n. 99, doveva rappresentare il segnale tangibile del Parlamento italiano a porre mano agli sprechi pubblici incidendo su uno dei capitoli di spesa più scandalosi degli ultimi venti anni: le società partecipate. Invece, sin dalla stesura della prima bozza del testo del d.d.l. riguardante la “Legge di Stabilità 2015”, approvata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15 ottobre scorso, è riemersa quella sorta di patologica ed atavica noluntas nell’affrontare seriamente e definitivamente il problema. Infatti, la primitiva versione del testo di legge in parola conteneva una disposizione, l’articolo 43, che riguardava da vicino le società partecipate. In particolare, l’articolo 43, rubricato pomposamente “razionalizzazione delle società partecipate locali”, pur racchiudendo delle interessanti “novità” mutuate da alcune indicazioni fornite dal Commissario della revisione della spesa (spending review), Carlo Cottarelli, inserite nel documento del 7 agosto 2014, tuttavia, evidenziava come le stesse, in realtà, fossero prive di una effettiva portata cogente, nonostante la rubrica della norma recasse la stessa dicitura del titolo della relazione innanzi richiamata. Nello specifico, i risparmi previsti dal Commissario Cottarelli per l’esercizio 2015 venivano stimati in un ammontare pari a circa cinquecento milioni di euro, con un incremento fino a due miliardi nel triennio 2015/2017. Per traguardare questo obiettivo di risparmio, il numero delle partecipate, sempre secondo la stima del Commissario per la spending review, avrebbe dovuto essere ridotto di circa duemila unità per attestarsi intorno a circa seimila unità nel 2015. Dalla relazione del Commissario Cottarelli, poi, emergono dei dati significativi la cui razionalizzazione è stata demandata proprio alla “Legge di Stabilità” per l’anno 2015. Ad esempio, emerge che oltre milletrecento società hanno un fatturato inferiore a centomila euro ed oltre duemilaseicento hanno un fatturato con meno di 1 milione di euro. Sono state censite oltre tremila partecipate senza o con pochi dipendenti (meno di sei) ed in molti casi il numero dei dipendenti è inferiore a quello dei componenti dei consigli di amministrazione. A questo si aggiunga che in diversi casi è stato accertato che le partecipate danno corpo a scatole vuote che gestiscono affidamenti in house esclusivamente attraverso subappalti. Infine, risulta che circa il sedici per cento delle partecipate, pari ad oltre milleduecento, o hanno già cessato l’attività, oppure sono in liquidazione volontaria, oppure soggette a procedure concorsuali. Le ragioni di tali fenomeni discendono, fondamentalmente, dalla lentezza del processo di liquidazione che, pertanto, necessiterebbe di nuove regole, anche in ragione del fatto che per circa il quaranta per cento esso è iniziato prima del 2012. Questo il quadro generale all’interno del quale si collocava l’articolo 43 del primitivo d.d.l. riguardante la “Legge di Stabilità” per l’anno 2015. Non a caso, la norma in discorso si divideva in due gruppi di prescrizioni: il primo prevedeva un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente ed indirettamente possedute; il secondo interveniva sulla disciplina dell’organizzazione delle gestioni dei servizi pubblici locali a rilevanza economica e a rete, incidendo la lettera dell’articolo 3 bis del d.l. 138/2011. La norma era indirizzata alle Regioni, Province, Comuni, Camere di Commercio, Università, Istituti di istruzione universitaria pubblici e Autorità portuali. Restavano fuori dal fuoco di applicazione della stessa le amministrazioni centrali dello Stato e il parastato. Per conseguenza, gli effetti delle disposizioni contenute nell’articolo 43 colpivano le società e le partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute da tali soggetti pubblici. Trattandosi di una previsione normativa orientata alla riduzione di un cospicuo numero di società partecipate, gli strumenti utilizzati dal Legislatore erano diversi: 1. la cancellazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali, anche mediante la messa in liquidazione o la cessione; 2. l’eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; 3. l’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; 4. il contenimento dei costi di funzionamento, anche per il tramite di una riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni. Il termine ultimo entro il quale la razionalizzazione doveva compiersi veniva individuato nel 31 dicembre 2015, cioè veniva posticipato di un anno rispetto alla precedente previsione normativa. Il percorso da seguirsi prevedeva la predisposizione di un piano operativo di razionalizzazione che doveva contenere le modalità e i tempi di attuazione, nonché il dettaglio dei risparmi da conseguire. L’articolo 43, inoltre, stabiliva che il piano operativo di razionalizzazione fosse supportato da una relazione tecnica che doveva necessariamente indicare: a) le società e le partecipazioni societarie oggetto della razionalizzazione. L’ente locale avvalendosi della delibera di ricognizione delle società e degli organismi partecipati individuava le società oggetto della razionalizzazione; b) I tempi di attuazione del piano di razionalizzazione. Era la norma stessa a fissare il cronoprogramma: entro il 31 marzo 2015 la predisposizione del piano operativo di razionalizzazione, entro 31 dicembre 2015 la ultimazione del processo di razionalizzazione ed, infine, entro il 15 marzo 2016, la predisposizione di una relazione sull’attuazione e sui risultati conseguiti dal piano operativo; c) le modalità di attuazione della razionalizzazione. Per ogni singola società o partecipazione azionaria doveva essere indicata la modalità di razionalizzazione del “portafoglio” societario (la dismissione, la fusione, l’aggregazione fra società o l’internalizzazione dei servizi). Il controllo sull’attuazione del piano operativo era demandato alla Corte dei Conti. Infatti, il piano di razionalizzazione e la relazione di attuazione, una volta adottati, dovevano essere trasmessi alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti. Inoltre, il piano, la relazione tecnica e la relazione di attuazione dovevano essere pubblicati sul sito internet istituzionale dell’ente, nella sezione trasparenza, in quanto tale obbligo di pubblicità discende direttamente dalle disposizioni del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Per quanto concerneva la disciplina della procedura di scioglimento, di liquidazione o di dismissione delle società costituite o partecipate, essa era demandata esclusivamente alla normativa civilistica in materia di società. Veniva escluso, quindi, qualsiasi riferimento alla normativa specifica dettata per le società partecipate in materia di razionalizzazione. La norma prevedeva, in più, alcuni incentivi volti ad incoraggiare il processo di razionalizzazione. Al riguardo, venivano riconfermati: 1. gli incentivi fiscali per le operazioni di scioglimento o alienazione; 2. le procedure di mobilità del personale per le società che si sciolgono; 3. l’esclusione dal Patto di stabilità dei proventi derivanti dalle dismissioni o di quotazione di aziende di servizi pubblici locali, a condizione che le entrate venissero utilizzate per gli investimenti. Certamente questione di non poco momento era la previsione dell’articolo 43 dedicata alla promozione dei processi di aggregazione e di rafforzamento della gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete. In sostanza, la norma introduceva una serie di modifiche all’articolo 3 bis della legge n. 148/2011. I correttivi apportati all’articolo 3 bis della legge n. 148/2011 nascevano dalla circostanza che la relazione sulla revisione della spesa aveva mostrato come le dimensioni ridotte delle partecipate che operano nei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica impedissero di sfruttare sufficientemente i rendimenti di scala. Di qui’ la necessità di incentivare la spinta verso l’aggregazione delle imprese e la crescita dimensionale che avrebbero potuto portare nel tempo a una riduzione del numero degli operatori di circa l’80-90 per cento. L’obiettivo, dunque, è sembrato raggiungibile mediante l’organizzazione dell’affidamento del servizio su aree territoriali piuttosto ampie in modo tale da rendere sostanzialmente impossibile alle piccole imprese la formulazione dell’offerta senza che ciò facesse perdere di vista le specificità del servizio. Gli enti locali, in altre parole, dovrebbero essere incentivati a sperimentare una logica di scala, magari utilizzando la leva degli incentivi economici collegati alla dismissione o fusione delle società partecipate. E’ in quest’ottica che il d.d.l. riguardante la “Legge di Stabilità” andava inquadrato nella parte in cui, intervenendo sul citato articolo 3 bis della legge n. 148/2011, sottolineava l’importanza degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), costituiti per consentire economie di scala tese a ottimizzare l’efficienza del servizio. Tuttavia, “tarare” l’estensione degli ATO sulle dimensioni territoriali delle Province potrebbe rivelarsi un grave errore, atteso che le esigenze dei territori, in termini di fabbisogno di servizi pubblici, variano da area ad area anche all’interno delle singole Province. Ciò che era assolutamente condivisibile è che essi, una volta istituiti dalle Regioni, obbligassero gli enti locali ad aderirvi. In ogni caso, veniva fatta salva l’ipotesi in cui disposizioni normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di rilevanza economica prevedessero l’attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale. A proposito dell’adesione, l’articolo 43, spostando in avanti ancora una volta il termine ultimo fissato in passato dal Legislatore, stabiliva che se gli enti locali non avessero aderito agli ATO entro il 1° marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale, il Presidente della Regione, non più il Prefetto, esercitava i poteri sostitutivi, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni. Aggiungendo che gli enti di governo di cui al comma 1 (Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) dovevano predisporre la relazione esplicativa dei motivi e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta. Le loro deliberazioni venivano validamente assunte senza necessità di ulteriori “validazioni” da parte degli organi degli enti locali. La relazione, oltre a dare conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta, era tenuta a motivarne le ragioni, con particolare richiamo agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio. La relazione doveva contenere, in merito alle infrastrutture da realizzare da parte dell’affidatario, un piano economico-finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenesse anche la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell’ipotesi di affidamento in house, dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento da aggiornare ogni triennio. Il piano economico-finanziario, proprio per l’importanza che riveste ai fini della tutela economica e patrimoniale dell’affidatario, doveva essere asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall’istituto di credito stesso o da una società di revisione. Nel caso in cui l’affidamento rivestiva le caratteristiche dell’in house providing, gli enti locali proprietari dovevano procedere, contestualmente all’affidamento, ad accantonare pro quota parte nel primo bilancio utile, e successivamente ogni triennio, una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house. A seguito dell’aggregazione delle società partecipate, la gestione dei servizi fino alle scadenze previste veniva mantenuta in capo al nuovo soggetto economico. La norma prevedeva ancora che venisse accertato il permanere delle condizioni di equilibrio economico finanziario e dei criteri qualitativi. In caso contrario si sarebbe dovuto procedere alla loro rideterminazione prolungando, se del caso, anche le scadenze delle concessioni, salvo la verifica effettuata dall’Autorità di regolazione competente. Il nuovo comma 4 dell’articolo 3 bis della legge n. 148/2011, nella nuova formulazione dettata dall’articolo 43 del d.d.l. riguardante la “Legge di Stabilità”, stabiliva che, fatti salvi i finanziamenti già assegnati, a decorrere dall’entrata in vigore della nuova legge di stabilità, i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali (ai sensi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione) e relativi ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, erano attribuiti solo agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio a condizione che dette risorse fossero aggiuntive o garanzia a sostegno dei piani di investimento approvati dai menzionati enti di governo. Le relative risorse venivano prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura di gara ad evidenza pubblica. La differenza rispetto la precedente previsione normativa è evidente giacché essa riteneva sufficiente che l’Autorità di vigilanza del settore competente verificasse solo l’efficienza gestionale mentre ora l’Autorità di vigilanza deve attestare anche la qualità del servizio reso sulla base dei parametri posti dalla medesima Autorità. Nel caso quest’ultima non dovesse essere stata istituita, l’attestazione sarebbe stato compito dell’ente di governo dell’ambito nei settori in cui l’Autorità di regolazione non è stata ancora istituita. Una ulteriore novità introdotta dall’articolo 43 del d.d.l. in commento era costituita da uno specifico incentivo alla razionalizzazione rappresentato dal fatto che i proventi delle dismissioni, se non utilizzati per acquisto di nuove partecipazioni, venivano automaticamente esclusi dal patto di stabilità e di crescita, aggiungendo al comma 4 dell’articolo 3 bis della legge n. 148/2011 il comma 4 bis. Infine, la norma in parola aggiungeva il comma 6 bis all’articolo 3 bis della legge n. 148/2011, precisando che, salvo deroghe espresse, le disposizioni contenute nell’articolo 43 si applicavano anche al settore dei rifiuti urbani ed ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un’Autorità indipendente. Le successive vicissitudini che hanno accompagnato l’approvazione della legge di stabilità per l’anno 2015 non hanno inciso i contenuti del primitivo articolo 43 ma hanno semplicemente introdotto una diversa collocazione delle norme nell’architettura del testo. Infatti, l’intero articolo 43, in tutte le sue originarie declinazioni, è stato traslato prima all’interno dell’articolo 2, commi 267-272 e poi all’interno dell’articolo 1, commi 609-614, della legge n. 190/2014, licenziata dal Parlamento il 23 dicembre 2014 e pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014. In conclusione, come ampiamente prevedibile, neanche la versione definitiva della “Legge di Stabilità” per l’anno 2015 è riuscita ad imprimere quella svolta tanto attesa in termini di tagli, atteso che nessuna sanzione è stata introdotta a carico degli enti pubblici cui viene fatto carico di ridurre gli sprechi, se risulterà, al 31 marzo 2016, che il piano operativo di razionalizzazione non sarà stato in tutto o in parte attuato. Che dire: tutto si trasforma, nulla cambia.
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