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I servizi strumentali alle attività delle amm.ni pubbliche, tra attività amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici. I divieti dell’art. 13 del D. Bersani e le società c.d. di 3° grado nella più recente giurisprudenza
di Luca Manassero 22 gennaio 2010
 

 

I servizi strumentali alle attività delle amministrazioni pubbliche, tra attività amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici. I divieti dell’art. 13 del Decreto Bersani e le società c.d. di terzo grado nella più recente giurisprudenza.

 

1. L’art. 13 del Decreto Bersani e la problematica delle società partecipate in via indiretta.

 

Il TAR Lazio, con il recentissimo arresto della Sez. II, del 5 gennaio 2010 n° 36 (1), offre l’occasione per una sintesi degli orientamenti giurisprudenziali sin qui emersi sul tema dell’applicabilità dei divieti previsti dall’art. 13 del d.l. 223/2006 (c.d. decreto Bersani) alle c.d. società di terzo grado ( o di terza generazione), ossia quelle società costituite o partecipate non già da amministrazioni pubbliche regionali o locali, ma da società strumentali delle stesse.

La casistica, nella prassi, è assai ampia: comprende società costituite per svolgere parti o fasi delle attività strumentali a finalizzazione pubblicistica affidate alle società madri, ma anche società (magari partecipate anche da privati o da Imprese Pubbliche operanti sul mercato) costituite o partecipate per svolgere attività destinate ad essere collocate sul libero mercato, anche partecipando a gare.

Le società regolate dal Legislatore con il d.l. n° 223/2006 non possono, tra l’altro, “partecipare a società od enti aventi sede sul territorio nazionale”. Sono escluse da tale divieto le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria di cui  al d.lgs. n. 385/1993. 

Il periodo transitorio previsto dal decreto Bersani per la cessazione delle attività non consentite (dunque anche per l’effettiva cogenza del divieto di partecipazione ad altre società o enti), più volte prorogato (2), è scaduto al 4 gennaio 2010. Da tale data, pertanto, non è più possibile per tali società possedere partecipazioni in società di terzo grado.

Peraltro, dato che la scadenza del detto termine è assai recente, è ben possibile che si prospettino ulteriori fattispecie del tipo di quella esaminata dal TAR Lazio con la pronuncia in commento, in quanto talune attività – svolte da società di terza generazione – ben avrebbero potuto dispiegarsi per tutto il 2009, in cui il periodo transitorio non si era ancora concluso.

E’, quindi comunque interessante (anche in una prospettiva de iure condendo, alla luce di quanto si dirà più oltre), analizzare le tematiche sviluppate dalla pronuncia in questione.

Nel caso esaminato dal TAR Lazio, Centostazioni S.p.A (società controllata da Ferrovie dello Stato, ma indirettamente partecipata anche da amministrazioni regionali e locali per il tramite di alcune imprese pubbliche (3) ) ha preso parte, in raggruppamento temporaneo con altri soggetti, al concorso di progettazione “Campidoglio due: la casa dei cittadini”, indetto dal Comune di Roma e finalizzato alla redazione del progetto preliminare della nuova sede degli uffici centrali (4).

La procedura ha visto aggiudicatario il raggruppamento di cui faceva parte Centostazioni SpA; il Raggruppamento classificatosi al secondo posto, fra gli altri motivi di ricorso, lamentava che Centostazioni è caratterizzata da una notevole partecipazione pubblica da parte di soggetti strettamente collegati al territorio; pertanto, la partecipazione della stessa Centostazioni SpA alla procedura, avrebbe comportato la violazione delle norme volte ad evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato, e segnatamente dell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006 (5) .

 

 

2. Le disposizioni dell’art. 13 del d.l. n° 223 del 2006.

 

Come noto, l’art. 13 del d.l. n° 223/2006 (6), recante “Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza”, prevede una serie di disposizioni finalizzate ad evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e assicurare la parità degli operatori, secondo cui:

“1. Le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti (7).

2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma  (8,9)  .

4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data (10) .”

Possono definirsi “strumentali all'attività” degli enti menzionati dalla norma, in funzione della loro attività tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, di cui resta titolare l'ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali (per le quali il decreto fa esplicita eccezione) che mirano invece a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività (11).

Residua tutt’ora una difformità di vedute in giurisprudenza e nella Prassi (segnatamente con riferimento a diverse pronunce dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (12) ) con riguardo ad un aspetto particolarmente delicato e controverso: quello dell’estendibilità dei divieti previsti dall’articolo 13 del dl 223/2006 nei confronti delle citate società strumentali alle società costituite o partecipate da queste ultime, e segnatamente del divieto di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né, soprattutto, partecipando a gare.

 

 

3. Le tesi a confronto in ordine alle partecipazioni indirette.

 

Due orientamenti, in particolare, si contendono il campo.

Secondo la prima tesi, sostenuta da parte della giurisprudenza meno recente (13) e dal costante orientamento dell’Autorità per i Contratti Pubblici (14), escludere le società di terza generazione dall’applicazione dei divieti su descritti equivarrebbe a consentire un’agevole aggiramento della sostanza della norma. In base a tale impostazione, infatti, in aderenza alla ratio pro concorrenziale della stessa, occorre impedire che attraverso il “collaudato meccanismo delle partecipazioni societarie” essa non trovi applicazione in ipotesi del tutto analoghe a quelle espressamente previste.

Anche in tal caso varrebbe, in ultima analisi, il rilievo che l'assunzione del rischio da parte delle società di terzo grado (benché non costituite da pubbliche amministrazioni e non aventi per scopo sociale quello di soddisfare esigenze della stessa) avviene con una quota di capitale pubblico, con ciò ponendo in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti. In altri termini, il fatto che la società madre fruisca di affidamenti diretti e privilegiati potrebbe rappresentare, in una simile ricostruzione, un indebito vantaggio concorrenziale (15). Viceversa, la partecipazione societaria pubblica sarebbe ormai connotata da un generale sfavor del legislatore, e l’interpretazione estensiva della norma alla partecipazioni indirette favorirebbe un mercato in cui l’imprenditorialità sia espressione di libera iniziativa che può essere anche pubblica, ma non è tale se sorge per fini istituzionali e si estende, poi, ad altre attività con i primi non del tutto collegate.

Nella medesima prospettiva è stato inoltre sostenuto che “una simile interpretazione appare del tutto conforme alla ratio legis, che non solo è volta a tutelare il principio di concorrenza e di trasparenza, ma anche -e soprattutto- quello di libertà di iniziativa economica che risulterebbe gravemente turbato dalla presenza e dalla operatività sul mercato) di soggetti che proprio per la presenza (diretta o mediata) della mano pubblica finiscono in sostanza con l’eludere il rischio di impresa” (16)

Secondo un differente e più recente orientamento, tuttavia, in primis la lettera della norma ma, soprattutto, proprio la ratio della stessa, in un’interpretazione teleologicamente e sistematicamente orientata ed attenta al parametro costituzionale, le società indirettamente partecipate da società “strumentali”, qualora non siano state costituite per lo specifico svolgimento di attività finalizzate in senso pubblicistico, non sono attratte dal divieto in discussione.

Tale impostazione, che muove dall’assunto per cui, contrariamente a quanto sostenuto dalla sopra citata giurisprudenza (17), l’art. 13 del d.l. 223/2006 non esprimerebbe un principio di portata generale (rispetto a cui la fattispecie delle società pubbliche costituirebbe un’eccezione di stretta interpretazione), ma, all’opposto, costituisce esso stesso uno strumento eccezionale rispetto alla generale capacità di agire degli imprenditori collettivi di matrice pubblica, come da tempo evidenziato da perspicua dottrina (18).

Di questo secondo orientamento dà conto la sentenza in commento, con argomentazioni analitiche, diffuse e persuasive.

 

 

4. La ricostruzione di TAR Lazio, Sez. II, del 5 gennaio 2010 n° 36.

 

Secondo la sentenza in commento, infatti, il divieto di partecipazione alle gare previsto dall'13 d.l. n. 223 del 2006 non è applicabile nel caso di una società partecipata solo indirettamente da enti locali.

Il TAR perviene a tale conclusione dopo una puntuale ricostruzione degli orientamenti registratisi in materia, con argomentazioni su cui giova soffermarsi.

Va osservato in punto di fatto che, come emerge dai fatti di causa, Centostazioni SpA, non è direttamente partecipata da amministrazioni regionali e locali (pur se partecipata da società a capitale pubblico, alcune espressione di tali amministrazioni); essa inoltre svolge attività  (gestione, riqualificazione e valorizzazione di complessi di stazioni e infrastrutture nodali di trasporto) non ricollegabili e non strumentali a quelle degli enti pubblici territoriali che indirettamente la partecipano.

Il TAR Lazio pur consapevole che l’opposta opzione trova un qualche riscontro giurisprudenziale, ha ritenuto di non accedere al postulato che la disposizione debba ritenersi estesa alle forme di partecipazione indiretta o mediata e, quindi, anche alle società di terzo grado.

In primo luogo, il TAR rammenta come recente giurisprudenza del giudice di appello abbia chiarito che il carattere eccezionale della disposizione in argomento richiede una stretta interpretazione, che ne fa escludere l’applicazione oltre i casi in essa previsti (19).

Inoltre, secondo il giudice amministrativo la tesi negativa risulta in contrasto anche con un'interpretazione sistematica e teleologica della norma di riferimento. In sintesi :

?         l’art. 13, comma 1, diversamente da altre fattispecie ( ad es. l’art. 90, comma 8 del Codice dei Contratti), non ha fatto riferimento alle figure del controllo e del collegamento societario ex art. 2359 c.c., al fine di ricomprendere nell’ambito di applicazione anche le società di terza generazione; come evidenziato dal resistente Comune di Roma, inoltre, laddove il legislatore ha inteso estendere il divieto in parola oltre le partecipazioni dirette lo ha fatto espressamente (art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla l. n. 133 del 2008);

?         inoltre, significativamente, il comma 3 dello stesso articolo 13, evidenzia che l'effettività del divieto di cui al comma 1 è efficacemente assicurata, alla fine del periodo transitorio previsto, anche mediante lo "scorporo" delle attività non consentite, ovvero mediante la costituzione di una "separata società", cui riservare le attività rivolte al mercato. Dunque, prosegue la Sezione “deve concludersi, con perspicua giurisprudenza (Tar Liguria, Genova, II, 9 gennaio 2009, n. 39; vedasi anche Tar Molise, I, 18 luglio 2007, n. 628) che “per il legislatore la separatezza delle società operanti sul mercato con soggetti terzi (e dei rispettivi bilanci) rispetto a quelle direttamente partecipate dagli enti locali (e dirette fornitrici di beni e servizi strumentali agli stessi) sembrerebbe costituire - di per sé - una sufficiente garanzia di non distorsione della concorrenza, in quanto il capitale apportato dagli enti locali non affluirebbe direttamente nel capitale di rischio delle imprese operanti in regime di concorrenza.”.

?         sulla base dell’assunto che le società strumentali rappresentano strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico,  infine, la Sezione, anche sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 13.8.2008 n° 326, ritiene superato (20) l’orientamento che considerava il divieto introdotto dall’art. 13, comma 1 rivolto in via generale a tutte le società costituite o comunque partecipate da amministrazioni locali, per concludere che deve ormai ritenersi che solo alle società strumentali sia applicabile il divieto di operare con enti diversi da quelli di riferimento

 

 

5. Conclusioni

 

In sostanza, a giudizio del TAR, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 13 del d.l. 223/2006 conduce ad escludere la possibilità di un’estensione dei divieti posti dall’articolo stesso alle società c.d. di terzo grado che non abbiano ad oggetto la prestazione di servizi strumentali all’attività di pubbliche amministrazioni regionali e locali.

Giova qui rammentare quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale, nella citata sentenza n° 326/2008 : “Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.”.

Decisiva risulta, quindi, la distinzione tra  attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici: la seconda non è soggetta alle limitazioni previste per la prima a tutela della concorrenza e del mercato.

Né, peraltro, potrebbe avvenire diversamente, in una prospettiva rispettosa del diritto comunitario: si rammenta al proposito quanto affermato dalla Commissione Europea nella sua comunicazione interpretativa del 5 febbraio 2008 (21) per cui “nel diritto comunitario l’entità a capitale misto è libera, come qualsiasi altro operatore economico di partecipare a gare di appalto pubbliche”, in un contesto per cui “le autorità pubbliche sono (…) libere di esercitare in proprio una attività economica o di affidarla a terzi” (22).

Come del resto autorevolmente attestato dal Supremo Organo di giustizia amministrativa (23), “il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva CEE 92/50 art. 1, lett. C), prevedono che le Società pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i prestato-ri di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono ser-vizi; con il che è esclusa ogni limitazione alla facoltà dei sogget-ti pubblici fornitori di servizi di  partecipare alle gare pubbliche (Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 2004, n. 6325)”.

Si può sommessamente aggiungere che il tema sembra, come si anticipava, meritare una riflessione de iure condendo.

L’art. 34 del Codice dei Contratti è stato fatto oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea (24), per la quale “tale articolo non sembra permettere la partecipazione di altre entità pubbliche ovvero di entità qualificabili come organismi di diritto pubblico ai sensi delle direttive appalti pubblici…” le quali “esigono il rispetto del principio di parità di trattamento degli operatori economici”. Il medesimo articolo 34, fra l’altro, è stato oggetto di recentissima modifica legislativa (25) proprio per contrasto con l’ordinamento comunitario (nella specie, con le statuizioni della Corte di Giustizia (26)), e proprio per una fattispecie  (il divieto automatico di partecipazione simultanea alle gare di imprese che si trovassero tra loro in condizione di controllo o di collegamento) in cui non era previsto dalla norma che dovesse essere dimostrato che, effettivamente, tale circostanza generasse un’alterazione della concorrenza e della par condicio dei concorrenti.

Orbene, non può non osservarsi come (particolarmente oggi, scaduto il termine del periodo transitorio di quarantadue mesi previsto dall’art. 13  citato) il divieto di partecipazione tout-court a società od enti fissato dalla norma in parola, indipendentemente dalla dimostrazione della sussistenza di una effettiva distorsione della concorrenza (27), non paia pienamente rispettoso del richiamato principio di parità di trattamento tra gli operatori economici di matrice comunitaria.

Non sembrerebbe, quindi, infondato auspicarne una revisione, nel senso di ammettere la partecipazione a società di terzo grado laddove esse, in concreto, non beneficino in alcun modo della posizione privilegiata della società strumentale controllante o partecipante, ed abbiano ad oggetto attività destinate ad essere offerte sul mercato nel libero dispiegarsi del gioco della concorrenza.

 

Note

1) In questa rivista.

2) Dapprima dall’art. 4, comma 7, del D.L. 3-6-2008 n. 97 e, successivamente, dall’art. 20, comma 1 bis, del D.L. 30-12-2008 n. 207;

3) Centostazioni SpA è società mista, con capitale maggioritariamente posseduto da Ferrovie dello Stato (interamente in mano pubblica). Il residuo 40% è di proprietà di Archimede 1 s.p.a., partecipata al 60% dalla Save – Aeroporto di Venezia – Marco Polo s.p.a., con il residuo 40% posseduto da tre diverse società private. La Save è a sua volta partecipata per il 54% dalla Marco Polo Holding s.r.l., per il 19% dal Comune di Venezia, e per il restante 26% dalla Provincia di Venezia, da S. Paolo IMI s.p.a , dalla Camera di Commercio di Venezia, dalla Provincia di Treviso, dal Comune di Treviso e da APV Investimenti s.p.a.. La Marco Polo Holding s.r.l. è posseduta al 12% dalla Veneto Sviluppo s.p.a., il cui capitale sociale è posseduto al 51% dalla Regione Veneto.

4) Spesa per lavori stimata in € 175 milioni. La procedura prevedeva un premio al progettista vincitore di € 500.000,00 e con possibilità per l’amministrazione di affidare allo stesso, con distinta procedura negoziata, e previa valutazione di convenienza, la successiva fase della progettazione definitiva ed, eventualmente, della progettazione esecutiva

5) Nonchè dell’art. 3, comma 27 della legge n. 244 del 2007 (Legge Finanziaria 2008)

6) Per una esaustiva disamina della materia vedi, amplius, Damiano Florenzano, “Le società delle amministrazioni regionali e locali. L'art. 13 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223”, CEDAM, 2008;

7) Comma così modificato prima dal comma 4-septies dell'art. 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e poi dal comma 1 dell’art. 48, L. 23 luglio 2009, n. 99.

8) Comma così modificato prima dal comma 720 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, poi dal comma 7 dell'art. 4, D.L. 3 giugno 2008, n. 97 ed infine dal comma 1-bis dell'art. 20, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

9) Articolo così sostituito dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.

10) Comma così modificato dal comma 720 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

11) Fra le tante, TAR Veneto, Sez. I, 31/3/2008 n. 788.

12) Cfr., AVCP, Parere n° 128 del 5.11.2009; Parere n° 61 del 7.5.2008; Parere n° 213 del 31.7.2008 ; Parere n° 92 del 20.4.2008; Deliberazione n° 135 del 9.5.2007

13) Consiglio di Stato, Sez. VI, 7/10/2008 n. 4829

14) Cfr., per tutte la Deliberazione n° 135 del 9.5.2007

15) E’ la tesi sostenuta anche da autorevole dottrina: G. Bassi, “Società strumentali di regioni ed enti locali (art. 13 decreto legge 223/2006 e s.m.i.): operatività indiretta del rapporto partecipativo pubblico ed estensione dell' obbligo di esclusività (commento a sentenza TAR Lombardia, Milano, sez. I, del 10 gennaio 2007)”, in www.appaltiecontratti.it 12/2/2007: “In definitiva potremo sostenere che il controllo partecipativo «a cascata» rappresenta un’estensione dell’esercizio dei poteri inerenti la qualità di socio del soggetto (la società strumentale, nel nostro caso) che è ubicato al vertice della piramide del controllo medesimo (holding). In effetti, ammettere che gli stringenti vincoli posti dalla norma speciale contenuta nell’art. 13 del decreto, possano agevolmente esser aggirati e vanificati, per effetto della traslazione dei meccanismi di controllo all’interno di una struttura di gruppo - che ben potrebbe esser costruita alla bisogna -, destituirebbe di ogni concreta efficacia cogente la norma stessa e ne tradirebbe la ratio fondamentale, orientata alla tutela della concorrenza e della parità di trattamento tra operatori economici, anche nell’ottica del principio sancito all’art. 295 del Trattato istitutivo della Comunità europea, circa l’indifferenza del regime giuridico pubblico o privato dei soggetti operanti nel mercato comune.”

16) Tar Lombardia, Milano, I, 31 gennaio 2007 n° 140. Sull’argomento, si veda A. Vigneri, “Sulla nozione di società partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali. Le prime sentenze sull’art. 13 d.l. Bersani”, in www.astrid-online.it

17) Cons. Stato V, 25 agosto 2008 n° 4080.

18) Simona Rostagno, “Verso la discriminazione delle società a partecipazione pubblica ovvero della deriva dell’interpretazione dell’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006 n° 223 convertito in l. 4 agosto 2006 n° 248 (cd. decreto Bersani) lontano dai principi del Trattato UE e dai modelli comunitari di collaborazione fra pubblico e privato”, in www.giustamm.it , 27.10.2008

19) Consiglio di Stato, V, 7 luglio 2009, n. 4346. Il Consiglio di Stato, in questa pronuncia, opera un chiaro revirement rispetto al precedente arresto della Sez. VI, 7/10/2008 n. 4829, cit. Merita, inoltre, evidenziare come il Consiglio di Stato chiarisca l’impossibilità di estendere l’applicazione dell’art. 13 in parola alle società miste multi-utilities, che svolgano sia attività strumentali che servizi pubblici locali:  “la norma dettata dall'art. 13, comma 1 ha carattere eccezionale e deve essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti. La disposizione esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione il settore dei servizi pubblici locali e pertanto deve essere applicata esclusivamente alle "società costituite o partecipate dalle amministrazioni ... locali per la  produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, in funzione della loro attivita’ .” Con riguardo alle società miste per la gestione di servizi pubblici : “Contrariamente all’assunto del primo giudice rileva la Sezione che  le società che svolgono servizi pubblici locali, partecipate integralmente o in parte dagli enti locali per altri fini, non devono avere un "oggetto sociale esclusivo"  e non sono soggette alle limitazioni imposte dall'art. 13 per sua espressa previsione; pertanto non era consentita alcuna differente interpretazione. Ed invero l'assimilazione fatta dalla sentenza tra le società "strumentali" e quelle miste non trova riscontro nelle norme vigenti.  Le società "strumentali" costituiscono una "longa manus" delle Amministrazioni, tant'è che l'affidamento delle attività "strumentali" avviene in via diretta (ovvero secondo il c.d. "in house providing"): "la situazione di in “house” legittima l'affidamento diretto, senza previa gara, del servizio di un ente pubblico a una persona giuridicamente distinta, qualora l'ente eserciti sul secon-do un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi e la seconda realizzi la parte più importante  della propria attività con l'ente o con gli enti che la controllano (C. giust.CE, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal;  Cons. Stato, A.P. n. 1/2008 cit.)”.

20) Conformemente ad un recente arresto dello stesso segno della medesima Sezione: Tar Lazio, III-ter, 6 novembre 2009, n. 10891

21) Commissione UE, “Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)”, 5 febbraio 2008 C (2007) 6661

22) Sul tema, v. amplius l’illuminante analisi di S. Rostagno “Verso la discriminazione…”, cit.

23) Consiglio di Stato, V, 7 luglio 2009, n. 4346, cit.

24) Nota della Commissione UE C (2008) 0108 del 30 gennaio 2008

25) Legge 20 novembre 2009, n. 166, recante conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

26) Corte di giustizia Europea, Sez. IV, 19 maggio 2009, n. C-538/07, secondo cui deve ritenersi contraria al diritto comunitario la norma nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul  rispettivo comportamento nell’ambito di  tale gara.

27) Ad esempio perché consente al soggetto indirettamente partecipato, in virtù degli affidamenti diretti e privilegiati di cui eventualmente disponga la capogruppo, di formulare offerte innaturalmente basse (Consiglio di Stato, V, 25.8.2008 n° 4080, cit., che peraltro finisce poi per concludere per la sussistenza di una sorta di presunzione in tal senso)

Sentenza: TAR Lazio, sez. II, 5/1/2010 n. 36
Sull'inapplicabilità del divieto di partecipazione alle gare previsto dall'13 d.l. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani), nel caso di una società indirettamente partecipata da enti locali.
 I servizi strumentali alle attività delle amm.ni pubbliche, tra attività amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici. I divieti dell’art. 13 del D. Bersani e le società c.d. di 3° grado nella più recente giurisprudenza di Luca Manassero

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