HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
La Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimità della normativa nazionale in materia di affidamento diretto della gestione di servizi pubblici locali.
di Valerio Marinelli 7 dicembre 2010
 

LA CORTE COST. CHIAMATA AD ESPRIMERSI SULLA LEGITTIMITA’

DELLA NORMATIVA NAZIONALE IN MATERIA DI AFFIDAMENTO DIRETTO DELLA GESTIONE DI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

 

Corte Costituzionale, sent. 3 novembre 2010, n. 325, Pres. Amirante, Red. Gallo

 

***

 

NOTA

 

Con la sent. 3 novembre 2010, n. 325 (le cui massime ufficiali non sono ancora disponibili), il Giudice delle Leggi si è espresso su alcune questioni di legittimità dell’art. 23-bis, comma 10, lett. a), del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, con Legge 6 agosto 2008, n. 133), in merito alla legittimità di parte della normativa nazionale in materia di affidamento diretto della gestione di servizi pubblici locali (1).

In primo luogo, la Corte non ha né accolto la richiesta di declaratoria d’illegittimità dell’art. 23-bis avanzata da talune delle Regioni ricorrenti, che avevano prospettato un’aperta violazione dell’art. 117 Cost., comma primo, per mancato rispetto, da parte del legislatore statale, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali; né ha condiviso l’impostazione difensiva dello Stato, secondo cui invece l’art. 23-bis sarebbe stato non soltanto compatibile con la Carta europea dell’autonomia locale, ma la sua stessa finalità sarebbe stata ravvisabile proprio nell’applicazione del diritto comunitario in materia di affidamento diretto.

Al riguardo, la Corte ha infatti evidenziato come, tanto negli artt. 14 e 106 del TFUE, quanto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, tanto nelle Comunicazioni della Commissione Europea, quanto nello specifico Libro Verde del 21 maggio 2003, non venga utilizzata l’espressione “servizio pubblico locale di rilevanza economica” (SPL) contenuta nell’art. 23-bis, risultando invece impiegata in ambito comunitario l’espressione, del tutto differente, “servizio di interesse economico generale” (SIEG), con ciò evidenziandosi la non riconducibilità dell’art. 23-bis all’ambito applicativo dell’ordinamento comunitario e con ciò venendo meno, pertanto, la base di entrambe le impostazioni respinte dal Giudice delle Leggi.

Evidenzia difatti la Corte Cost. come l’ordinamento comunitario, con l’espressione “servizio di interesse economico generale”, ammetta il ricorso all’in house providing, ossia alla gestione mediante affidamento diretto del servizio, solo in via eccezionale, soltanto cioè nel caso in cui l’autorità pubblica nazionale ritenga che l’applicazione delle regole dell’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica ostacoli l’effettivo raggiungimento delle finalità dell’ente pubblico (2).

La Corte evidenzia altresì come, per il ricorso alle modalità dell’affidamento diretto, l’art. 23-bis richieda, oltre alle tre condizioni individuate come indispensabili dalla giurisprudenza comunitaria nella sentenza “Stadt Halle” (3), anche ulteriori condizioni, quali la “pubblicità adeguata”, la motivazione sulla base di un’analisi di mercato e la sussistenza di condizioni eccezionali o di peculiari condizioni del contesto territoriale tali da giustificare il ricorso all’in house: condizioni ulteriori, queste, la cui adozione, se per un verso certamente non si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario (come invece sostenuto da talune delle Regioni ricorrenti), per altro verso nemmeno può essere considerata “costituzionalmente obbligata” (come sostenuto dallo Stato), giacchè rientra nel margine di apprezzamento di cui il Legislatore nazionale dispone nella concreta attuazione dell’ordinamento comunitario.

In secondo luogo, poi, il Giudice delle Leggi ha accertato se la normativa prevista dall’art. 23-bis sia o meno riconducibile all’ambito (di competenza esclusiva statale) della tutela della concorrenza, ovvero all’ambito (di competenza regionale residuale) della materia dei servizi pubblici locali, o infine a quello della potestà regolamentare degli EE.LL. ex art. 117 Cost., comma sesto, giungendo alfine alla conclusione che gli scopi della disciplina in questione attengono principalmente all’ambito della tutela della concorrenza intesa alla luce della nozione elaborata in sede comunitaria: perciò, contrariamente a quanto ipotizzato dalle ricorrenti, la competenza legislativa statale prevarrà sia sulle potestà legislative regionali, che sulle potestà regolamentari degli EE.LL.; ancor più in particolare, poi, la specifica disciplina del servizio idrico integrato dovrà essere ascritta alla competenza legislativa esclusiva statale, giacché essa rientra nelle materie della tutela della concorrenza e della tutela ambientale.

La Corte ha invece ritenuto fondata la questione, sollevata dalle Regioni ricorrenti, relativa alla legittimità della previsione, contenuta nell’art. 23-bis, comma 10, lett. a), circa l’esercizio della potestà regolamentare statale ai fini dell’assoggettamento degli affidatari diretti dei servizi pubblici locali al Patto di stabilità interno all’UE.

A questo riguardo, la Corte ha infatti affermato che l’ambito applicativo del Patto di stabilità interno attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica, ossia attiene non già a materia di competenza legislativa esclusiva statale, bensì ad ambito di competenza legislativa concorrente ex art. 117 Cost., comma terzo.

Per tale ragione, il Giudice delle Leggi ha quindi dichiarato la parziale illegittimità dell’articolo in questione limitatamente alle sole parole: «(…) l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e (…)».

La Corte è stata infine chiamata ad esprimersi sulla questione del necessario rispetto di quel “principio di ragionevolezza” che il legislatore statale è tenuto ad osservare, sotto il profilo della proporzionalità e dell’adeguatezza, nel concreto esercizio della potestà normativa esclusiva attribuitagli dalla Carta Fondamentale.

Nel caso di specie, la Corte non ha ravvisato violazioni di tale principio da parte del legislatore statale, non potendosi considerare l’emanazione di norme auto-applicative e di dettaglio come una violazione dei criteri di riparto delle competenze legislative, né potendosi qualificare come “ingiustificata” l’apposizione, da parte del legislatore statale, di vincoli ulteriori rispetto a quelli già previsti per la disciplina dell’in house dall’ordinamento comunitario.

Inoltre, la Corte ha categoricamente escluso che le norme censurate dalle ricorrenti possano considerarsi “sproporzionate” o “inadeguate” soltanto perché, sensibilmente riducendo le ipotesi di eccezionale affidamento diretto dei servizi pubblici locali, rafforzano la regola pro-concorrenziale dell’affidamento effettuato con procedure competitive ad evidenza pubblica.

Per queste ragioni, la Corte non ha ritenuto di accogliere le deduzioni formulate dalle Regioni ricorrenti in merito alla presunta violazione del principio di ragionevolezza da parte del legislatore statale, in quanto tali deduzioni sono risultate infondate.

Questa articolata sentenza della Corte Cost., qui sommariamente analizzata, acquista particolare importanza alla luce dei più recenti interventi attuati in materia di affidamento diretto della gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica, ossia alla luce dell’emanazione del Regolamento attuativo dell’art. 23-bis, mediante adozione del DPR 7 settembre 2010, n. 168 (4).

 

1) Si riporta il testo dell’art. 23-bis, comma 10, lett. a), della Legge n. 133/2008:

«Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, emana uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:

           a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale;».

2) Come evidenziato dalla sentenza CGUE - 11 gennaio 2005, C-26/03, “Stadt Halle”, ai punti 48 e 49 e dalla sentenza CGUE - 10 settembre 2009, C-573/07, “SEA s.r.l.”

3) Ossia: il controllo esercitato dall’aggiudicante sul soggetto affidatario deve effettivamente avere “contenuto analogo”  rispetto a quello esercitato dal medesimo aggiudicante sull’attività dei propri uffici interni; la parte più rilevante dell’attività del soggetto affidatario deve essere svolta in favore dell’aggiudicante; deve esservi assenza di onerosità nella prestazione del servizio (che pertanto avrà luogo nell’ambito di un rapporto giuridico non riconducibile alla categoria del contratto d’appalto).

4) Pubblicato in Gazzetta Ufficiale - 12 ottobre 2010, n. 239

 

 

Sentenza: Corte Costituzionale, 17/11/2010 n. 325
Art. 23 bis del d.l. 25/06/2008, n. 112, conv. con mod. in l. n. 133/08 nel testo originario ed in quello mod. dall'art. 15, c. 1, del d.l. n. 135/09, conv. con mod. in l. n. 166/09; art. 15 c. 1 ter del d.l. n. 135/09, conv. con mod. in l. n.166/09
 La Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimità della normativa nazionale in materia di affidamento diretto della gestione di servizi pubblici locali. di Valerio Marinelli
 Nota di segnalazione in relazione al punto 8.2 del considerato in diritto di La Redazione

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici